Tendenze

La fine delle serie TV

Dopo anni, per non dire decenni, in cui si è discusso della fine dei giornali, della radio e del cinema, adesso è arrivato il turno delle fiction che alimentano le piattaforme di streaming e poi le televisioni tradizionali
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Stefano Olivari
02.05.2023 13:30

Le serie televisive sono morte? Dopo anni, per non dire decenni, in cui si è discusso della fine dei giornali, della radio e del cinema, adesso è arrivato il turno delle fiction che alimentano le piattaforme di streaming e poi le televisioni tradizionali. Un fenomeno che è stato certificato dalle piattaforme stesse, visto che nel 2022 i budget per le nuove produzioni sono stati ridotti del 25% rispetto all’anno precedente e del 40% rispetto al mitico 2019 pre-COVID.

Golden Age

In realtà l’era delle serie televisive è iniziata ai tempi della vecchia televisione, quando si chiamavano telefilm e si guardavano al pomeriggio, ma è soltanto con Netflix e i concorrenti arrivati dopo che sono diventate la base di un modello di business che ha rivoluzionato il nostro modo di guardare la televisione. La Golden Age delle serie televisive, di cui si parla spesso cambiandone l’inizio a seconda della serie preferita (la maggior parte delle persone considera Twin Peaks, quindi i primi anni Novanta, il vero punto di svolta), coincide in realtà con un’epoca in cui le produzioni erano relativamente limitate e lo streaming ancora agli albori. Basti confrontare il modo in cui guardavamo Sex & the City o Mad Men con quello in cui guardiamo la nuova stagione di Stranger Things o di Succession, anche senza binge watching. L’onda lunga di questa supposta Golden Age è comunque arrivata fin quasi ai giorni nostri ed è inutile fare un elenco dei titoli di successo mondiale: di sicuro le serie hanno tolto al cinema prima i migliori sceneggiatori, poi i registi ed infine gli attori, visto che nemmeno i più intellettuali hanno la puzza sotto il naso nell’accettare le offerte di Netflix o di Amazon. Il successo di questi contenuti è stato alla base del successo o per lo meno della nascita anche di Apple TV+, Warner Bros-Discovery, Paramount+, HBO, Disney, eccetera. Ed è evidente che si è arrivati a un punto di saturazione, come testimoniato anche dal crollo delle produzioni ma anche da una mini-rinascita del cinema, magari non nelle sale ma certo come tipo di racconto. Chi ha più voglia di impegnare 20 ore della propria vita per una storia stiracchiata con i soliti Casa Bianca, CIA, FBI, serial killer, eccetera?

Ritirata

L’inizio del ridimensionamento è avvenuto nella primavera del 2022, quando Netflix ha annunciato di avere perso abbonati per la prima volta in un decennio. Poca cosa, secondo persone sane di mente, vista la massa di abbonati di Netflix (230,75 milioni a fine 2022, con una crescita del 7,7% sul 2021), ma un dramma per Wall Street che vive di annunci e di potenzialità, insomma di fumo, più che di presente. Sta di fatto che da allora molte televisioni e piattaforme di streaming hanno messo attenzione più sul contenimento dei costi e sull’andare sul sicuro che sulla creatività. Così centinaia di dirigenti che si sono trovati sulla scrivania il poco metaforico scatolone da licenziamento sono stati cancellati al pari di nuove serie giudicate troppo rischiose o di nuove stagioni di serie che attraversavano fasi di relativa stanca. Clamoroso il caso di Westworld, la cui quinta stagione è stata lo scorso novembre cancellata da HBO dopo essere stata più volte annunciata. In questo 2023 non è un caso che le nuove produzioni siano sostenute soprattutto da Apple e Amazon, cioè aziende che i soldi li fanno da altre parti, con gli smartphone e con il cloud, anche se sognano di far tornare i conti anche con gli abbonamenti ai loro contenuti. A proposito di big tech, un segnale importante è che dal mercato delle produzioni originali si siano di fatto ritirate Facebook e YouTube, quindi Google: avere miliardi di dollari da buttare non significa che li si debba buttare per forza. Certo le serie televisive a livello commerciale sono tutt’altro che finite: è soltanto che come in altri campi sopravviveranno soltanto poche mega-aziende, che oltre al prodotto di punta propongono anche film, documentari e videogiochi. In qualche caso, e con risultati pessimi, show da tivù generalista.

Correttezza

I discorsi economici sono più facili di quelli sui contenuti, perché il momento di stanca delle serie televisive ha anche ragioni politiche visto che una parte del pubblico si è stancata di un politicamente corretto che rende impossibile criticare in pratica chiunque, o anche soltanto scherzare. In questo campo Netflix è indiscussa leader, ma tutti gli altri si sono accodati per non passare come i retrogradi della situazione. Certo è difficile, anche nel nome dell’inclusività, raggiungere le vette di Bridgerton, che ha fatto interpretare ad attori neri alcune parti di nobili inglesi dell’Ottocento, di Troy con Achille nero (e pazienza se Omero lo ha descritto come biondo) e di The Witcher, con i protagonisti e anche alcuni elfi interpretati da attori di minoranze etniche, non proprio ciò che uno si aspetta da una saga fantasy di ambientazione slava e medioevale. Stesse logiche per i cattivi della sceneggiatura: ormai possono essere soltanto bianchi eterosessuali, preferibilmente dell’Est Europa e ancora meglio se russi. Di culto le polemiche dello scorso dicembre per Mercoledì, la serie di Tim Burton basata sui personaggi della Famiglia Addams: in pratica il problema era che fra i vari personaggi negativi due fossero neri… È chiaro quindi che il mondo delle serie venga percepito da molti, soprattutto negli Stati Uniti ma ormai anche in Europa, come un ambiente liberal di sinistra che voglia imporre come pensiero unico i propri valori. Magari non è così, semplicemente per viltà e quieto vivere i produttori vogliono evitare accuse di razzismo o sessismo, ma il risultato non cambia.

America

Le serie vengono prodotte in tutto il mondo e le principali piattaforme per non sembrare troppo americane hanno sempre qualcosa di locale da giocarsi: in Italia da Romanzo Criminale a Gomorra questi esempi non mancano, ma non c’è dubbio che l’immaginario trainante sia quello americano e del resto anche nel cinema è così. Impossibile anche per i maggiori istituti di statistica calcolare il numero di serie con CIA ed FBI coinvolti, oltre a poliziotti dei vari stati USA, presidenti più o meno improbabili, avvocati che sembrano usciti da una sartoria, soldati invincibili che non sbagliano un colpo, donne manager in ogni posizione di comando, eccetera, sempre con etnie e preferenze sessuali gestite con il bilancino. E con trame per forza di cosa ripetitive, anche perché le dimensioni di questa industria fanno sì che si debba per forza andare sul sicuro. Le stagioni delle serie di successo si moltiplicano senza un perché narrativo ed il pubblico si sta stancando. Troppa scelta uguale nessuna scelta, come aveva capito decenni fa, prima dello streaming, del web e di tutto, lo Springsteen di 57 Channels (And Nothin’ On). E così la serie di maggior successo è il lunghissimo processo di scelta della serie da vedere, ormai incubo di tante famiglie.