Serie tv

Le vite dei truffatori su Netflix

Da Inventing Anna a Tinder Swindler - in italiano, il truffatore di Tinder - dolce è la vita dei truffatori (finché dura) – Ci si identifica con le vittime, ci si interroga sui motivi, sui meccanismi, si cercano di dare spiegazioni razionali a una lucida razionalità che può far male
© Netflix
Sara Mauri
26.02.2022 17:00

Soldi, bella vita, lusso, corse su jet privati. Da Inventing Anna a Tinder Swindler - in italiano, il truffatore di Tinder - dolce è la vita dei truffatori (finché dura). La capacità di fingersi qualcun altro e di ingannare il prossimo, vivendo esistenze che sono così lontane dalle canoniche fa spettacolo. Il fascino che ne deriva è abbastanza magnetico; le serie sull’inganno vanno fortissimo. Inventarsi un’identità può essere anche faticoso, ma le storie che guardiamo su Netflix e in streaming hanno un fondo di verità. Ci si identifica con le vittime, non ci si capacita di come sia stato possibile creare personalità così diverse da quelle reali. Ci si interroga sui motivi, sui meccanismi, si cercano di dare spiegazioni razionali a una lucida razionalità che può far male.

Anna Sorokin
Nella serie su Anna Sorokin, in arte Anna Delvey, la finta ereditiera tedesca, la prima cosa che viene detta (o meglio, scritta sullo sfondo) è: «Questa storia è del tutto vera, tranne che per le parti assolutamente inventate». E così Anna, l’antipatica e poco chiara protagonista, interpretata dalla bravissima Julia Garner di Ozark, ci incanta per 9 episodi. Addirittura, pare ci sia grande richiesta del colore di capelli «red money». Ma cosa c’è di vero e cosa c’è di falso, in questa nuova serie televisiva di Shonda Rhimes (ndr la Rhimes è colei che ha ideato la famosa serie Grey’s Anatomy)?

Un articolo
La serie tv si ispira ad un articolo del 2018 scritto da Jessica Pressler, intitolato “Maybe she had so much money she lost track of it, probabilmente lei aveva così tanti soldi che ne ha perso le tracce”. L’articolo intero si può trovare qui, su The Cut. Jessica Pressler è la giornalista che si è occupata del caso Sorokin, anche se il suo nome di finzione è Vivian Kent.

Chi è Anna
Il vero nome di Anna Delvey, come si dice nella serie, è Anna Sorokin. Nata nel 1991 in una città satellite di Mosca, a Domodedovo, si trasferisce in Germania da adolescente. Finta ereditiera tedesca, riesce a truffare banche e conoscenti per 275 mila dollari, cercando di ottenere un prestito ben più consistente. Delvey finisce a processo nel 2019, viene condannata per otto capi d’accusa, respingendo prima un patteggiamento, nel tribunale di New York City. Da qui si capisce che, nonostante il monito, la serie rispetta molto la realtà, conche se la fa apparire quasi amica agli occhi dell’avvocato e della giornalista che indaga sul suo caso. La Sorokin apparirà in tribunale con gli abiti confezionati, si rifiuterà di indossare abiti non curati. L’account Instagram @annadelveycourtlooks esiste davvero e ha 33 mila follower, anche se non si sa da chi sia gestito. Ora Sorokin, in libertà da febbraio 2021, sarebbe sotto custodia da parte dell’immigrazione per aver ritardato la richiesta di visto. Anna ha concesso a Netflix i diritti d’autore sulla sua storia per 320 mila dollari, con cui pagherà (si spera) i suoi debiti.

Il libro di Rachel
Nella serie appare anche Rachel Deloache Williams, ex dipendente di Vanity Fair, autrice del libro “my friend Anna: the true story of the fake heiress of New York City”, a cui la Sorokin avrebbe sottratto 62.000 dollari durante un viaggio a Marrakech. L’American Express ha fortunatamente tutelato la Williams, perché Anna non è stata ritenuta colpevole del capo d’accusa sollevato da Rachel. Sorokin, infatti, è stata dichiarata non colpevole per l’accusa di tentato furto aggravato in primo grado in merito a un prestito di 22 milioni di dollari e per il furto di 62.000 dollari a Rachel Williams.

Rachel e Anna
Williams, delusa dal modo in cui è stata raffigurata la realtà nella fiction e amareggiata da come è stata ritratta la sua persona, ha rilasciato una lunga intervista al suo ex giornale. In particolare, ha dichiarato: «Penso sia sbagliato promuovere l’intera narrazione e celebrare una criminale sociopatica, narcisista riconosciuta». La Sorokin ha risposto con un post Instagram, accusando Rachel di «disperati tentativi di attirare l’attenzione».

L’anno scorso, in un’intervista con la BBC a Sorokin è stato chiesto se il crimine pagasse e lei ha a risposto che «in un certo senso lo ha fatto». E ancora: «Non ho mai chiesto a Netflix di comprare la mia storia, è semplicemente successo».

Il truffatore di Tinder
Quanto a Tinder Swindler, il truffatore di Tinder, anche qui c’è della verità. Già dall’inizio la vicenda è stata presentata in maniera differente rispetto a quella di Anna: il format non è quello della serie, ma è quello del documentario con persone reali. Simon Leviev, nato Shimon Hayut, ha cambiato il suo nome. Originario di Tel Aviv, è stato due anni in una prigione finlandese dopo aver truffato tre donne conosciute sulla famosa applicazione di incontri online.

L’inchiesta di VG
Su VG, il giornale norvegese che si è occupato della vicenda, c’è una bella sliding new. I giornalisti dicono che hanno trascorso sei mesi sulle tracce di Simon prima di trovarlo a Monaco, in uno degli hotel più fashion d’Europa. Alla fine del 2019, Simon è stato arrestato ad Atene in un’operazione congiunta tra Interpol e polizia israeliana e poi estradato in Israele. Ha trascorso 15 mesi in carcere per furto e frode. Rilasciato dopo 5 mesi, ora vive libero. La prima a raccontare, la ragazza che ha dato il via alle ricerche su Leviev è Cecilie Fjellhøy. Cecile racconta ad Abc che Simon si presentava come un principe, il principe dei diamanti, figlio del magnate dei diamanti Lev Leviev. Dopo il match su Tinder, il loro primo appuntamento è stato a bordo di un aereo per la Bulgaria.

Il fascino dell’inganno
Hayut, gentile e romantico, ingannava le sue vittime attraverso una specie di schema Ponzi dell’amore, fornendo loro una falsa sicurezza. Una volta ottenuta la fiducia, dichiarava di sentirsi in pericolo e incominciava a richiedere denaro motivando la richiesta con la necessità di operazioni non tracciate, promettendo di restituirlo. Cecile racconta di essere stata derubata per una cifra che si aggirerebbe attorno ai 200 mila dollari. Ma Cecile non è sola. Lo schema si ripeteva e ogni donna precedente pagava per le spese folli di Simon con la fidanzata successiva. Nell’articolo di VG e nel documentario si racconta anche di Pernilla Sjoholm, una ragazza svedese truffata da Simon e di Ayleen Koeleman.

Solo un ragazzo?
La novità? Qualche giorno fa, Simon che dichiara ora di essere un uomo d’affari, ha respinto le accuse: «Non sono l’uomo che cercano di dipingere. Ero solo un ragazzo single che voleva incontrare ragazze su Tinder», ha detto in esclusiva ad Inside Edition. E mentre le sue vittime pagheranno i debiti per anni, lui possiede diversi profili social in cui sembra che non se la passi affatto male.