La recensione

Midnight Mass: sai distinguere sacro da profano?

Fra canti gospel e grida di terrore, la miniserie arrivata nelle scorse settimane su Netflix sta avendo, pur mitigato dal fenomeno «Squid Game», un buon successo – Il piccolo capolavoro di Mike Flanagan è in grado di mescolare tematiche difficili come fede e razzismo - GUARDA IL TRAILER
Il parroco Paul Hill si rivolge alla comunità di Crocket Island durante una celebrazione. / © Netflix
Giacomo Butti
29.10.2021 16:27

Squid Game, Squid Game, Squid Game. Sul web non si parla d’altro. In poco tempo la produzione coreana ha scalato le classifiche dello streaming mondiale, concentrando su di sé tutte le attenzioni del pubblico. Logica conseguenza, nelle ultime settimane lo sbarco su Netflix di altre serie TV di pregevolissima fattura è passato (diciamolo, purtroppo) in secondo piano. Ad aver pagato lo scotto di una tempistica sfortunata, v’è sicuramente la statunitense Midnight Mass, miniserie scritta, prodotta e diretta da Mike Flanagan. Giocando su una sottile linea che divide sacro da profano, il cineasta originario di Salem (Massachusetts) ha portato sullo schermo un prodotto in grado di stregare tutti gli appassionati del genere horror, uno che non ha paura di affrontare e mescolare tematiche difficili quali fede e razzismo, dipendenze e morte.

Un gioco di binomi

«Hallelujah». Unirsi ai canti gospel che fanno da colonna sonora a Midnight Mass viene quasi automatico: finalmente un horror intelligente, dalla trama tutt’altro che scontata e dai dialoghi profondi e impegnativi. Tranquilli, non vi faremo spoiler: per farci un’idea di quanto sia densa l’ossatura della miniserie non è necessario andare troppo in là, basta analizzare la prima scena della prima puntata, Libro I: Genesi. Una manciata di minuti dal forte valore narrativo ma soprattutto contenutistico: una perfetta presentazione delle numerose (paradossalmente permeabili) dicotomie che compongono l’opera.

Riley Flynn a terra, ammanettato, dopo aver causato un grave incidente per guida in stato di ebbrezza. / © Netflix
Riley Flynn a terra, ammanettato, dopo aver causato un grave incidente per guida in stato di ebbrezza. / © Netflix

Luce e buio. È con questo contrasto, fil rouge della serie, che si apre il primo capitolo. Nella scena ad illuminare la notte sono i lampeggianti di polizia e soccorsi, intervenuti sul luogo di un grave incidente. In pochi attimi Flanagan presenta i filoni che attraverseranno tutta Midnight Mass. Dipendenza e senso di colpa: Riley Flynn (Zach Gilford), ubriaco al volante della propria auto, ha appena ucciso una giovane donna. In silenzio, shockato, osserva gli inutili tentativi di rianimazione. Religione e morte: seduto a terra, Riley inizia a pregare ad alta voce, causando la reazione stizzita di uno dei soccorritori: «Già che ci sei, chiediGli perché porta via i ragazzini mentre gli ubriachi se la cavano con un graffio». Il costo di un miracolo: ben visibile nei primi fotogrammi, sull’auto distrutta del protagonista, un ichthys, il pesce stilizzato usato come simbolo dai protocristiani. Un «talismano» in grado di far uscire Riley illeso dal terribile incidente. La vita terrena continua, ma a che prezzo?

Ad adornare il realismo della scena (e, più in generale, della miniserie), quel tocco che solo l’autobiografismo può dare. In diverse recenti interviste ai media statunitensi, Flanagan ha ammesso di aver attinto delle proprie esperienze personali per la creazione dell’opera. Dalle radici cattoliche alla propria battaglia contro l’alcolismo: «Vengo da una lunga stirpe di irlandesi ubriachi e la mia più grande paura non era quella di morire, ubriaco, in un incidente d’auto, ma quella di uccidere qualcun altro e vivere. Questo è il cuore pulsante di Midnight Mass».

© Netflix
© Netflix

IL TRAILER

L’isola che non c’è

Quello creato in Midnight Mass è un gioco di delicate opposizioni, un confortante caos. Impossibile capire, per esempio, chi sia il vero protagonista: tanti i punti di vista adottati, e così ben costruiti, da cambiare rapidamente simpatie e antipatie nella mente dello spettatore. Indossare la pelle dei numerosi personaggi, immedesimarsi e soffrire con loro, è facilissimo. Ad aiutare questo processo, probabilmente, la clamorosa prestazione messa in campo dal cast in toto. Da Hamish Linklater, nei panni dell’intraprendente parroco Paul Hill, a Rahul Kohli, lo sceriffo Hassan. Da Robert Longstreet, bravissimo nel portare sullo schermo la tragedia dell’alcolista Joe Collie, a Samantha Sloyan, interprete della «zelota» Bev Keane (pensavate di odiare Joffrey Baratheon? Ricredetevi).

L’immaginaria Crockett Island, luogo dove si svolgono i fatti, gioca poi una parte importantissima. Localizzata da qualche parte a 30 chilometri dalla West Coast statunitense, è un fazzoletto di terra fuori dal tempo: una vera isola che non c’è. O meglio, «che presto non ci sarà più», se il calo demografico (sole 127 anime l’abitano) e la voglia di evasione delle giovani generazioni verranno confermati. Crockett Island è una realtà sull’orlo del baratro.

Ma l’horror dove sta?

Tutto molto bello, ma dove sta la componente horror? Con sette libri (episodi), fra Genesi e Salmi, Proverbi e Lamentazioni, Vangelo e Atti degli apostoli, concludendo (ovviamente) con l’Apocalisse, Midnight Mass è in grado di creare un forte senso di claustrofobia sostenuto dall’ambientazione insulare, così ineluttabile. Ed è quando sull’isola cominciano a verificarsi eventi straordinari (frutto di un potere divino o demoniaco?), che la serie prende il volo.

Benché presenti, non è sugli ormai abusati jumpscare che Flanagan ha voluto costruire la propria miniserie, ma su una lenta e inesorabile climax di inquietudine. Lo spettatore si trova avvolto nella sua ragnatela senza nemmeno accorgersene, forzato ad arrivare, con occhi sbarrati, ai titoli di coda finali.