Serie tv

Quando l’agente Dale Cooper arrivò a Twin Peaks

«Diane, 11 e 30 di mattina del 24 febbraio. Sono quasi arrivato a Twin Peaks»: con questa frase entra in scena il personaggio della serie cult degli anni Novanta – Torniamo nel mondo di David Lynch e Mark Frost
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Michele Montanari
24.02.2023 12:00

«Diane, 11 e 30 di mattina del 24 febbraio. Sono quasi arrivato a Twin Peaks». È con queste parole che nel 1990 entra in scena l’agente speciale dell’FBI Dale Cooper (Kyle MacLachlan), personaggio principale della leggendaria serie tv I segreti di Twin Peaks, ambientata in una fittizia cittadina nello stato di Washington, a pochi passi dal Canada. L’opera ideata dal regista David Lynch e da Mark Frost divenne in poco tempo un cult, un fenomeno di massa, ancora oggi considerata tra le più influenti della storia televisiva. Divisa in 3 stagioni (le prime due uscite nel 1990 e nel 1991, e la terza nel 2017), Twin Peaks ha segnato l’immaginario collettivo, con trovate oniriche e angoscianti, l’evocativa e tesissima musica di Angelo Badalamenti e quella domanda, «Chi ha ucciso Laura Palmer?», che ha ossessionato milioni di telespettatori in tutto il mondo. Il guizzo creativo degli ideatori fu quello di prendere gli elementi tipici delle soap opera, in voga fino a quel momento, e contaminarli con qualcosa di estremamente nuovo e per certi versi estremo: le componenti da thriller oscuro e visionario, spesso indecifrabili, che il maestro David Lynch aveva portato sul grande schermo in Velluto Blu e (in minor misura) in Cuore Selvaggio. Twin Peaks parte con il ritrovamento del cadavere della giovane Laura Palmer, ma la componente del mistery crime viene diluita, fusa e addirittura occultata dalle situazioni più tipiche del serial televisivo sentimentale a cui il pubblico era abituato. Situazioni che, in un gioco di specchi deformanti, a loro volta celano misteri, inganni e perversioni. In un sottobosco di personaggi ambigui e deviati: i loro tic, le loro nevrosi, le loro bassezze, nel mondo di Lynch e Frost esplodono sino a rasentare la follia. Il regista di Missoula, lo stesso che negli anni Settanta partorì l’incubo su celluloide di Eraserhead, nei Novanta si trova così a fare i conti con un prodotto destinato alle famiglie. E il risultato è inimmaginabile: un’opera unica, in grado di scardinare le regole del tubo catodico e anticipare quello che ancora oggi stiamo vivendo grazie alle piattaforme online. Da X-Files a Lost, da True Detective al difficilissimo e antitelevisivo Too old to die young di Nicolas Winding Refn: sono tutti figli illegittimi di Twin Peaks.

Le tre stagioni

L’attacco della serie tv è qualcosa di sconvolgente, soprattutto per chi all’epoca era adolescente o coetaneo di Laura Palmer, la bionda studentessa uccisa e avvolta in un sacco di plastica. La prima stagione di Twin Peaks è un noir che rasenta la perfezione. È una soap opera con personaggi che celano segreti impensabili. È un dipinto onirico in cui un nano parla al contrario e un gigante dà improbabili indizi come «i gufi non sono quello che sembrano». Twin Peaks, la cittadina nel Nord degli Stati Uniti, è la vera protagonista dell’opera, con i suoi boschi impenetrabili, i fiumi minacciosi e una comunità rurale apparentemente placida, ma piena di mostri interiori. È una sorta di realtà alternativa in cui l’agente dell’FBI Dale Cooper, rassicurante e razionale, entra in contatto con personaggi oscuri, distorti e distorcenti. Così, la prima stagione, tra storie di droga e prostituzione, omicidi e tradimenti, colpi di scena e cliffhanger, intrappola lo spettatore in una stanza buia: chiunque può aver ucciso Laura Palmer, perché nel mondo di Twin Peaks vale tutto, come nei sogni. Come negli incubi. Sarebbe però disonesto parlare di un lavoro privo di difetti, perché la creatura di Lynch e Frost è anche l’esempio di come l’arte possa venir deturpata dalle leggi del mercato: sono note le divergenze tra gli ideatori dello show e la produzione. La seconda stagione, nei suoi 22 episodi (la prima ne ha solo 8), conosce vistosi alti e bassi, virate narrative e la clamorosa rivelazione anzitempo dell’assassino di Laura Palmer: visto il calo di ascolti, il network premeva sulla chiusura della storia. Da metà stagione in poi ci si trova dunque a seguire puntate senza appeal, poco curate da Lynch e Frost, con una sottotrama meno interessante (quella legata a Windom Earle) che diventa la principale. La sorte di Twin Peaks sembra segnata per sempre, ma Lynch e Frost, tirano fuori dal cilindro un ultimo episodio da cineteca, forse il più memorabile dell’intera serie, in cui l’agente Cooper finisce nell’inferno onirico della Loggia Nera. Il finale è un enigma che dura 25 anni. Il tempo di tornare per una terza stagione, con attori invecchiati, nuove tecnologie e un nuovo modo di concepire le serie tv. Una sfida azzardata che i due ideatori superano liberi da qualsiasi vincolo e con una creatività inimmaginabile, scongiurando il mero effetto nostalgia. Twin Peaks 3 è praticamente un unico film di 18 ore. È cinema e meta-cinema. È un incubo oscuro, ma anche uno show televisivo che parla di se stesso. È David Lynch all’ennesima potenza, perché non c’è più bisogno di fare i conti con gli elementi della soap opera e non c’è più l’obbligo di assecondare le logiche delle emittenti televisive degli anni Novanta. Twin Peaks 3 è più di una degna conclusione, è il capolavoro di un David Lynch ispiratissimo. È la fine del viaggio dell’agente Dale Cooper, che 25 anni prima arrivò in una cittadina sperduta nel Nord degli Stati Uniti. Erano altri tempi. Era il 24 di febbraio.