Musica

Torna alla Scala l’Aida in versione inedita ed intimista

Pubblico limitato e niente scene nell’opera verdiana in forma di concerto diretta da Riccardo Chailly che, comunque, non manca di affascinare
Il cast dell’Aida in forma di concerto andato in scena a Milano (Foto: Brescia e Amisano / Teatro alla Scala)
Elsa Airoldi
07.10.2020 21:58

Non siamo all'Arena di Verona e nemmeno rapiti dagli allestimenti di Zeffirelli o di Ronconi. Anzi la platea del Teatro alla Scala è semideserta e mancano le scene: ukase covidiani. Per una volta Verdi e la sua Aida che stanno alle italiche glorie come Garibaldi e Vittorio Emanuele, vengono interpretati in chiave soprattutto intimista. Un aspetto che, accanto a quello della spettacolarità, è certo il volto più amato da un Verdi maturo che gioca sulla psicologia e qui pennella il funereo triangolo di morte Rademès-Aida-Amneris. È un Verdi che non va liquidato con l’esotismo o con l'impianto kolossal da grand-opéra completo di danze, fanfare e marce. Ma analizzato battuta per battuta e sospiro per sospiro. Un Verdi a due facce e un po' wagneriano ( Radamès e Tristano sono imparentati e il finale di Aida ricorda il Liebestod di Tristano e Isotta ) che parla anche di liturgia, poesia del Nilo, notti sotto la volta stellata. Mentre racconta l'amore, il dolore, la gelosia, la furia. Nel mezzo della bufera pandemica, che vuole limare ulteriormente i 600 posti, avevamo già visto Traviata in forma semiscenica con costumi di Dolce&Gabbana.

Il direttore Riccardo Chailly (Foto: Brescia e Amisano / Teatro alla Scala).
Il direttore Riccardo Chailly (Foto: Brescia e Amisano / Teatro alla Scala).

Ora manca tutto. I cantanti tuttavia studiano arte scenica e i più dotati sono di per sé eccellenti attori. Così anche collocati di fila in proscenio riescono a darci un’idea dell’opera per certi versi persino più interessante di quando tutto è come tradizione comanda. Ogni ugola ha il suo colore, ogni abilità il suo carisma, il coro ( ridotto e diviso ) istruito da Bruno Casoni sussurra sotto la bacchetta di un Riccardo Chailly in stato di grazia che dirige senza eccessi né trionfalismi, senza esaltazioni e senza indugi. Muscoloso, accorato, sentimentale. Curioso e intelligente ricercatore propone sempre qualche novità. Oggi, appena saltata fuori dall’archivio di Sant’Agata, è la prima stesura dell’opera che studiata con consueta precisione mostre come nei mesi trascorsi tra la composizione sullo scenario dall'egittologo Auguste Mariette e la messa in scena voluta dal bey Ismail Pascià chedivè d'Egitto per festeggiare il taglio del Canale di Suez e inaugurare il teatro del Cairo (dicembre 1871) l’inizio atto III sia cambiato. Meno esotismo se si vuole ma una lunga nenia di sapore gregoriano affidata in pianissimo al coro a cappella (in parte torna nel Requiem). Commovente.

Il soprano Anita Rachvelishvili (Foto: Brescia e Amisano / Teatro alla Scala.
Il soprano Anita Rachvelishvili (Foto: Brescia e Amisano / Teatro alla Scala.

L'opera del bussetano sedotto del tema "archeologico" è double face e difficile da dirigere: importanti direttori ne hanno preso le distanze. Tuttavia Chailly l’affronta e trionfa. Domina l’Amneris della superba georgiana Anita Rachvelishvili, un mezzo soprano che regala al personaggio un inusuale tutto tondo. Con lei l’eccelle Francesco Meli, un Radames un super-tenore che sa declinare voce e sentimenti. Quindi il potente basso coreano Jongmin Park Ramfis e il buon baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat. Perfetta senza picchi la seducente Aida del soprano spagnolo Saioa Hernàndez e ottimo il Re del basso Roberto Tagiavini. Che dire? Un miracolo per la Scala assediata e miracolati noi che siamo lì felici di tanta arte e tanta bellezza.