Personaggi

Tullia Zevi e quella strana estate ticinese

Il ricordo di una delle più grandi figure dell’ebraismo italiano nel centenario della nascita
Tullia Zevi (1919-2011) fu la prima donna a presiedere l’Unione delle comunità ebraiche italiane.
Adam Smulevich
01.02.2019 06:00

Le giornate lunghe, il clima favorevole, l'incanto del lago. Una estate in apparenza promettente e che invece fu l’anticamera a numerose peripezie per sfuggire alla dittatura fascista e all’applicazione dei suoi disumani provvedimenti. Inizia dalla Svizzera e da Lugano il viaggio nella consapevolezza di una giovane ebrea italiana destinata a farsi strada nella vita.

Protagonista di un lungo impegno al femminile nella società, per quindici anni alla guida dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, nel 1992 candidata al premio Donna europea dell’anno ma anche giornalista in prima linea nella Storia, testimone di due eventi chiave del Novecento come il Processo di Norimberga e quello ad Adolf Eichmann, Tullia Calabi (poi Zevi dopo il matrimonio con Bruno, futuro architetto e critico d'arte di fama internazionale) è il simbolo di una stagione di conquiste che hanno lasciato il segno. A poco più di otto anni dalla scomparsa e nell'imminenza del centenario dalla nascita, che cadrà domani sabato 2 febbraio, una figura che ha ancora molto da dirci.

Tutto comincia in quell’estate ticinese del 1938: in Italia il fascismo si avvia a promulgare le Leggi razziali che estrometteranno gli ebrei dalle professioni, dalle scuole, dalle università. Al sicuro, oltre frontiera, per i Calabi è tempo di decisioni improcrastinabili. Non c’è futuro, ci si rende conto, sotto Mussolini e le camicie nere. E così il capofamiglia Giuseppe, che faceva parte di un gruppo di antifascisti liberali che si riunivano in una libreria di Milano tra cui spiccava la figura del Maestro Arturo Toscanini, che è anche il primo a metterlo in allarme sulla stretta antisemita del regime, è chiamato a svolgere un’ultima decisiva missione. «Rischiando se non la pelle certamente la sua libertà» raccontava Tullia alla nipote Nathania nel libro autobiografico «Ti racconto la mia storia» pubblicato nel 2007 da Rizzoli.

Giuseppe prende infatti il necessario per assicurare ai suoi cari una vita dignitosa in Svizzera e alimentare una prospettiva di futuro, in considerazione di ulteriori spostamenti che presto li porteranno lontano non solo dall’Italia ma anche dall’Europa. Un’iniziativa che è anche una sfida alle restrizioni del regime, che puniva severamente l’esportazione di valuta all’estero. Dall’Italia Giuseppe telefona: «Aspettatemi, vi raggiungo». Appena arrivato in Svizzera, poche ma incisive parole segnano il distacco dalla patria: «Non si torna più».

Lugano - «una città che pullulava di spie fasciste», spiegava Tullia alla nipote - è il punto di partenza di un itinerario di migliaia di chilometri. Prima Ginevra, dove racconterà di aver sofferto una pungente solitudine. Poi Parigi, dove si iscriverà alla Sorbona e frequenterà tra gli altri il futuro Nobel per la medicina Salvatore Luria. Quindi gli Stati Uniti, raggiunti a bordo di una delle ultime navi a lasciare la Francia prima dell’invasione nazista.

La Grande Mela è luogo di incontri straordinari per chi, come lei, aveva la musica nelle corde. E la tanto amata arpa da passione diventa un lavoro, portandola ad esibirsi persino al fianco di Frank Sinatra e Leonard Bernstein. Una doppia maturazione, artistica e politica. Era stata la Svizzera a instradarla, in particolare nella figura dello studioso Gugliemo Ferrero, oppositore del regime della prima ora che incontra in riva al Lemano e col quale si confronta sulla barbara uccisione dei fratelli Carlo e Nello Rosselli. «Lì - ricostruiva Tullia - sentii anche i primi commenti al recentissimo patto fra Chamberlain e von Ribbentrop, il patto di Monaco, contro cui udii delle critiche brucianti». L’Europa in bilico, certezze che vanno in frantumi. I Calabi hanno soltanto l’intuizione di capirlo prima di altri. E così quella partenza in nave verso l’ignoto diventa inevitabile.

Oltreoceano, Tullia affina le proprie capacità di musicista, fa il suo esordio come giornalista e declina l’antifascismo sul modello del Partito d'Azione. Nel luglio del 1946, non a caso, la troviamo al fianco di quel che resta della famiglia Rosselli nel viaggio di ritorno in Italia. È una scelta dalla forte valenza simbolica, come ricorda in un suo intervento per il centenario di Carlo tenutosi a Firenze nel 1999: «Perché siamo tornati in Italia così in fretta? Per loro c’erano dei richiami fortissimi e molto comprensibili. E per me? Si erano scoperti da poco gli orrori della guerra, lo sterminio di massa di ebrei, di zingari e di oppositori politici, la devastazione delle comunità ebraiche. E mi sembrava giusto, avendo avuto la ventura di essere sopravvissuta, tornare e partecipare alla ricostruzione di queste comunità allo sbando, traumatizzate, ed anche di partecipare, sconfitto il fascismo, alla rinascita della democrazia in Italia».

È un proposito che tramuta in fatti concreti, vivendo al fianco di Bruno (sposato nel 1940 a New York, in una sinagoga di rito sefardita) questa intensa ripartenza. Come giornalista incontra e intervista tra gli altri Golda Meir e Ben Gurion, Krushev e Hussein di Giordania. Parallelamente inizia il suo impegno nelle istituzioni ebraiche, nell’allora Unione delle Comunità Israelitiche Italiane (poi UCEI). Dopo oltre trent'anni di servizio, nel 1983 ne diventa la presidente. Un incarico che ricoprirà per tre lustri consecutivi. È lei nel 1987 a siglare le Intese con lo Stato, ed è sempre lei, a nome di tutti gli ebrei italiani, a dare il benvenuto a Karol Wojtyla nella sua visita al Tempio Maggiore di Roma di qualche mese precedente. Una giornata che rappresenterà un nuovo inizio nei rapporti tra ebrei e cristiani. Non sorprende quindi che, tra i primi a intervenire a poche ore dalla sua morte, con una nota di cordoglio in cui si ricordava «l'alto profilo morale» e «l'autorevole contributo» di Tullia Zevi al dialogo interreligioso vi sia stato il successore di Wojtyla, l'allora pontefice Benedetto XVI.
Da Milano a New York, dalle macerie alla ricostruzione: un percorso tutto d’un fiato che prende il via da una estate ticinese un po’diversa dal solito.