Zurich film festival

Tutte le emozioni di Juliette Binoche

La grande attrice francese ha ricevuto il premio alla carriera e ha incontrato il pubblico
Juliette Binoche a Zurigo. © KEYSTONE/ALEXANDRA WEY
Antonio Mariotti
02.10.2020 06:00

È certamente una delle più grandi attrici europee in attività, ha lavorato con grandi autori come Kieslowski, Godard, Téchiné o Kiarostami ma non ha disdegnato nella seconda metà degli anni Novanta una parentesi hollywoodiana che le ha fruttato anche un Oscar come attrice non protagonista per il ruolo dell’infermiera Hana ne Il paziente inglese di Anthony Minghella. E una bella fetta della sua carriera Juliette Binoche l’ha passata in rassegna ieri al Filmpodium di Zurigo, davanti a un pubblico generoso di applausi, durante la Maserclass organizzata dal festival in onore della vincitrice del Golden Icon Award alla carriera 2020.

Sul set de «La bonne épouse»

E proprio di Minghella (scomparso prematuramente nel 2008), l’attrice ha fornito un commosso ricordo: «Era uno dei pochi registi che conosco che sanno dirigere gli attori: quando c’era una scena che non sapevo come recitare si prendeva tutto il tempo necessario per farmi arrivare al risultato migliore anche grazie all’improvvisazione». Un caso emblematico di quello scambio continuo, a quell’essere l’una lo specchio dell’altro che per Juliette Binoche è essenziale nel rapporto tra attore e regista. Anche se ogni volte le dinamiche sono diverse e non sempre è facile trovare il modus vivendi ideale fin dai primi giorni di riprese. È quel che è accaduto, ad esempio, sul set del suo ultimo film: La bonne épouse di Martin Provost (presentato in suo onore qui a Zurigo), una commedia ambientata in Alsazia nel 1968 in cui è alle prese con un ruolo «doppio»: da una parte severa direttrice di un prestigioso collegio dove le aspiranti spose imparano tutti i segreti dell’economia domestica, dall’altra donna che non rinuncia all’amore vero e finisce per battersi in favore dell’emancipazione femminile. «La sceneggiatura mi è piaciuta molto, il regista era convinto che fosse un personaggio fatto su misura per me, ma i primi giorni, in quella scuola tetra e con i costumi scuri che indossavo, non sono stati facili. Tutto però è cambiato quando ho capito che a un certo punto quella storia doveva fare le bollicine, come una bottiglia di champagne». Leggerezza e naturalezza che caratterizzavano anche il lavoro di un altro grande regista scomparso con cui Binoche ha lavorato: Krzysztof Kieslowski che la volle come protagonista di Trois couleurs: Bleu nel 1993. «Ho lottato per tutte le riprese - ha ricordato - per far sì che Kieslowski girasse più di uno o due ciak di ogni scena, ma è stato inutile, perché era un’abitudine che aveva preso in Polonia, quando c’erano pochissimi soldi a disposizione per sviluppare le pellicole. In compenso ci faceva provare ogni scena almeno cinque volte». Da quei tempi l’attrice ha imparato ad osservare accuratamente le dinamiche di ogni nuovo set, per poter dare il meglio di se stessa, perché «l’aspetto più importante della recitazione è raggiungere quella concentrazione che ti permette di dimenticare te stessa, di diventare uno “strumento“ ed essere consapevole delle emozioni che in quel momento attraversano il tuo corpo, la tua mente e il tuo cuore. È un’esperienza mistica insomma».

Ritrovare l’innocenza

Emozioni che per Juliette Binoche sono tutto, anche nella vita quotidiana, e che dovrebbero contare di più per ciascuno di noi, soprattutto in questi tempi d’incertezza. «Oggi - dice - ognuno dovrebbe prima di tutto chiedersi quali siano i suoi veri bisogni. È una domanda che ci può aiutare ad avvicinare la verità, ad essere di più noi stessi, perché non dobbiamo scordarci che la nostra più importante creazione è la nostra vita e il tempo ci aiuta a capire chi siamo, a ritrovare l’innocenza perduta da bambini, a individuare cosa ci impedisce di trasformarci in meglio, a percepire quelle emozioni profonde che non contano solo per gli attori ma per ogni essere umano». Perché, in fondo, siamo tutti attori, chi più chi meno, per tutta la vita.