«Un film è credibile grazie ai dettagli»

Bellinzonese di origini grigionesi, trapiantata a Roma, Sonia Peng sarà insignita stasera in Piazza Grande del Premio Cinema Ticino 2021. Lavora da più di vent’anni, come scenografa di successo in produzioni italiane cinematografiche e televisive. Ha firmato film come Ovosodo di Paolo Virzì, Viola bacia tutti di Giovanni Veronesi, e serie tv anche recenti come Baby per Netflix e Sei bellissima (RAI1).
Ben tornata in Ticino, Sonia Peng. Perché è partita e che cosa l'ha attratta di questo lavoro?
«Finita l'Accademia a Brera, a vent'anni non avevo le idee molto chiare sul da farsi, ma ho avuto la fortuna di essere chiamata dalla Polivideo di Riazzino a lavorare nella produzione italiana di una sitcom. Questo mi ha spalancato le porte e gli occhi su un mondo. Ricordo che uno di quelli che lavoravano lì mi disse: adesso che l'hai conosciuto non ne potrai fare più a meno. E così è stato. Dopo il diploma ho continuato a vivere a Milano e ho iniziato a lavorare come volontaria con Maurizio Nichetti. È stata la moglie di Maurizio, a sua volta scenografa, con la sua dolcezza e professionalità, a indirizzarmi verso questo percorso. Da allora ho sempre lavorato in Italia ed eccomi qua»
Parlando della specificità del suo lavoro, da che cosa comincia?
«Comincio dalla sceneggiatura. All'inizio la leggo come un libro, cercando di non analizzarla tecnicamente. La lascio depositare nella mia mente un momento e poi comincio a fare quello che in gergo si chiama lo spoglio: la divisione degli ambienti, le necessità, e tutto quello che viene suddiviso nella lettura, gli interni, gli esterni e così via. Immediatamente dopo c'è l'incontro col regista, che a volte è anche l'autore della sceneggiatura».

Come fa a entrare nella chiave di lettura di un film, nello spirito del racconto?
«Avviene tutto molto a livello empatico-emotivo. Entrano in gioco le sensazioni e l'immaginario. Nella lettura hai iniziato a immaginare delle cose; allora le confronti con il regista che a sua volta ha una visione sua. Tutto fila per il meglio quando le visioni coincidono. A volte i registi si appoggiano a te, perché sulla scenografia non hanno le idee chiare. O meglio ce le hanno ma non le analizzano tecnicamente (ride) perché altrimenti farebbero gli scenografi».
Ha un genere di film che preferisce?
«Mi piace lavorare sulle ricostruzioni d'epoca. Alcuni anni fa feci Maria Montessori, la miniserie televisiva, poi ho ricostruito la RAI degli anni Quaranta col maestro Alberto Manzi, quello che ha insegnato a leggere e scrivere in televisione. Anche quest'anno ho seguito una commedia ambientata ancora negli anni Quaranta, della trilogia Non ci resta che il crimine. Quest'ultimo episodio dovrebbe uscire a fine anno, Covid permettendo, perché i nostri film ce li hanno congelati tutti».
Parlando di film di ambientazione storica, come si prepara?
«I canali attraverso cui raccolgo le idee sono i quadri, la documentazione fotografica e i film, se esistono, che hanno raccontato l'epoca. A seconda delle epoche, vado a vedere la documentazione storica. Nel caso di film d’ambientazione recente raccolgo vecchie fotografie, filmati, altre opere dedicate all'argomento. Quando si tratta di epoche più antiche, come l'Ottocento, mi baso sulla pittura. Mi piacerebbe tanto potermi dedicare solo alla pittura nella lettura dell'epoca, perché vorrebbe dire che mi è capitato un bel film del Settecento o del Seicento, cosa che non è ancora avvenuta».
Come avviene il processo di allestimento di un interno?
«Partendo dal presupposto che di un interno storico si sia trovata una location che ci permette strutturalmente la ricostruzione, quello che mi piace è non dover iniziare proprio da zero, avere già a disposizione locali, finestroni, colori alle pareti che già, pur nel vuoto, raccontano molto. Poi, col supporto di un'arredatrice, decidiamo lo stile fino all'ultimo fabbisogno, perché poi i dettagli sono ciò a cui è affidata la credibilità del film. Quindi partiamo dai mobili e dall'oggettistica: una scrivania importante, una lettera, una sigaretta. Per fare un esempio, quando leggo le dinamiche di una sceneggiatura, se c'è un personaggio che sfascia tutto in una casa devo avere a portata di mano degli oggetti da ricomporre».

Con quale figure professionali si deve confrontare come scenografa? E come funziona il rapporto con il direttore della fotografia?
«Il reparto di scenografia è costituito dalla scenografa, l'arredatrice, i responsabili dell'oggettistica e gli assistenti. È un gruppo piuttosto numeroso. Il rapporto con il direttore della fotografia è fondamentale. C'è tutto un discorso cromatico che va deciso insieme. Se si lavora sulle luci, ci vogliono tante lampade di scena che servono da atmosfera a cui vengono poi aggiunte le luci di rinforzo».
E immagino si debba tutti essere in sintonia con la chiave di lettura del film...
«Siamo come una specie di band musicale che si compone di bassista, chitarrista, batterista. Senza questa band ogni singolo non vale niente. Anche il truccatore è importante così come il costumista: il film esce bene se tutte queste componenti lavorano in sintonia».
Con quali altri ostacoli deve confrontarsi?
«C'è la fatica dello scenografo: restare nel budget, motivare economicamente il perché delle scelte, arrivare anche a soluzioni di compromesso. Comunque ancora prima di iniziare a cercare le location e progettare, prendo contatto con l'organizzatore e capisco in che fascia economica gravita il film. Questo ci risparmia molte sorprese. Oltre alla disponibilità di denaro, bisogna anche calcolare la disponibilità di personale: attrezzisti e aiuti che ogni giorno devono montare e smontare».
E per quanto riguarda gli esterni come si procede?
«Sottopongo al regista foto o video e poi scegliamo. A volte si tratta di trovare le strade giuste, e in questo senso i film on the road sono impegnativi. Bisogna che si percepisca il cambiamento. A volte si tratta di cercare punti panoramici. In generale comunque l'estetica del film deve essere rispettata».