Un paesaggio di container, simbolo della globalizzazione

Pur spaziando in vari campi della sua arte, il luganese Marco D’Anna ha sempre coltivato il filone della fotografia di viaggio. In particolare nell’ultima quindicina d’anni, grazie alle lunghe (e talvolta avventurose) peregrinazioni intorno al mondo (spesso via mare) per ritrovare le tracce del personaggio di Corto Maltese e del suo autore, Hugo Pratt. Viaggi che sono al centro di diverse pubblicazioni, tra cui il volume Le Marin et le Photographe, pubblicato nel 2012 dalle edizioni Infolio di Ginevra, che raccoglie appunto 130 immagini scattate da Marco D’Anna in Europa, Africa, Asia e America del Sud nei luoghi dove sono ambientate le peripezie del celebre marinaio nato dalla fantasia e dalle matite di Pratt.
Nel testo che accompagna queste fotografie, la studiosa e curatrice italiana Giovanna Calvenzi traccia un interessante parallelismo tra il mestiere di marinaio e quello di fotografo. I due possono viaggiare insieme per un tratto di strada, ma poi i loro percorsi irrimediabilmente si separeranno. Il primo proseguirà la sua strada senza fine, il secondo avrà invece bisogno di tempo «per mettere ordine nei sogni altrui e nei propri, per ricostruire la peregrinazione durata diversi anni, per mettere in sequenza le sue immagini».
Come navicelle spaziali
Non è quindi un caso che anche One Belt One Road - il nuovo lavoro di Marco D’Anna che consiste in un libro-oggetto pubblicato da Artphilein Editions e in una piccola mostra che si può visitare fino al prossimo 11 settembre nello Spazio Choisi in via F. Pelli 13 a Lugano - trovi la sua origine durante un viaggio. Come racconta lo stesso fotografo nel testo contenuto in questo libro: «Il progetto è nato in un momento chiave: anni fa, durante uno dei miei viaggi ero imbarcato su una nave da guerra italiana per raggiungere il Golfo di Aden, in Somalia, passando dal Canale di Suez. Arrivammo di notte alla fonda che è come un grande parcheggio dove le navi si fermano, formano dei convogli e poi attraversano il canale (...). Ci ancorammo anche noi e la mattina seguente, quando stava iniziando ad albeggiare, mi ricordo di una visione: ho visto apparire delle navi portacontainer, di dimensioni che non avevo mai visto prima nella mia vita, sembravano delle navicelle spaziali che uscivano dalla notte, erano gigantesche, in una scala che non avevo mai visto nel Mediterraneo. Un’apparizione. Era come leggere un romanzo di Asimov o guardare Guerre Stellari, erano enormi ed era ancora buio, per cui non capivo con certezza cosa fossero».
Parallelepipedi contemporanei
Un’immagine mentale forte e indimenticabile, che il fotografo decide allora di «mettere da parte» in attesa di approfondirla e poterla così «dominare» attraverso i suoi scatti.
Quel momento arriva lo scorso anno, in un grande retroporto della Toscana, dove migliaia di container provenienti dall’Asia vengono depositati in attesa di fare il viaggio di ritorno. Con queste montagne di parallelepipedi tutti delle stesse dimensioni Marco D’Anna compone un paesaggio astratto e multicolore, unendo gli scatti tra loro grazie a delle precise articolazioni che vanno a formare un unicum di rara imponenza.
Dietro la perfezione estetica - che si esprime anche attraverso dettagli delle scritte e delle sigle misteriose di cui sono disseminati questi enormi mattoncini Lego - emerge però in maniera inequivocabile anche un discorso etico e una riflessione profonda sulle dinamiche (spesso distorte) che governano il mondo di oggi.
Questioni in discussione
In questo periodo storico ricco di interrogativi, questa riflessione acquista nuovi significati. I container sono infatti la metafora tangibile della globalizzazione e, in particolare, di quella nuova «via della seta» che è uno dei progetti più ambiziosi (e per certi versi terrificanti) lanciati dalla Cina sotto la guida di Xi Jinping. Globalizzazione le cui storture sono oggi sul banco degli imputati per ciò che riguarda le cause indirette della pandemia da coronavirus e nuova «via della seta» che pare vacillare sotto i colpi della crisi economica scoppiata di conseguenza.
Con One Belt One Road, oltre a firmare un nuovo convincente capitolo della sua ultratrentennale attività, Marco D’Anna si conferma in perfetta sintonia con ciò di più controverso che accade nel mondo contemporaneo. E questo, soprattutto per un fotografo, non è per nulla scontato.