LuganoMusica

Una «cannoniera» sonora al servizio di Mahler

Calorosissima accoglienza domenica per Daniel Harding e la maestosa Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam che al suo interno ha anche un po’ di Ticino
I centodieci elementi dell’Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam al LAC. © Sabrina Montiglia
Giovanni Gavazzeni
15.11.2022 06:00

Il pubblico di Lugano ha accolto con un calore particolare l’Orchestra del Concertgebouw di Amsterdam al suo ingresso nella Sala Teatro del LAC in occasione del concerto diretto da Daniel Harding, ospite domenica di LuganoMusica. Addirittura dal settore destro delle prime file di platea si sono levate grida e salve di applausi speciali all’ingresso di un giovanissimo violinista che ha preso posto nell’ultimo leggio dei «secondi». Essendo il settore festante quello solitamente occupato dagli studenti del Conservatorio di Lugano, la perspicacia dello Sherlock Holmes che si annida nello scrivente critico musicale, ha sospettato si trattasse di un ex-compagno di studi entrato in una delle maggiori orchestre del mondo. Così era: Alessandro Di Giacomo è il nome dello studente diplomato a Lugano che ci pareva, forse per la simpatia dovuta alla giovane età, forse per l’orgoglio della sua provenienza, avesse perfino più suono dei colleghi delle prime file. E quello del «suono» varrebbe un discorso a sé, perché l’orchestra di Amsterdam si è presentata con una formazione di 110 elementi, la cui potenza fonica si poteva solo paragonare a quella di una cannoniera ammiraglia della flotta olandese. Più di trenta fra violini primi e secondi, 13 viole, 11 celli, 7 contrabbassi, fiati a quattro ecc. hanno sciorinato un combinato disposto di polpa e sostanza sonora da lasciare senza parole. Non meno brillante il suono di trombe e tromboni, maestoso l’apporto della muta di corni e pregnante la personalità dei fiati. Dunque sorge quasi spontaneo domandarsi, con una simile orchestra, quale è lo spazio del direttore d’orchestra, soprattutto quando viene eseguita la Nona sinfonia di Mahler, autore che ebbe ad Amsterdam l’accoglienza e la comprensione non goduta in patria e che ha lasciato una tradizione senza precedenti nei direttori stabili del Concertgebouw? Lo spazio di un pilota di Boeing (essendo Harding appassionato nel volo) che garantisce un viaggio sicuro, senza sussulti e senza problemi all’equipaggio. Nella super espressività del discorso di Mahler è molto apprezzato chi come Harding cerca di asciugare la retorica, ma più sostanziale è la cura delle dinamiche, necessarie a rendere il fraseggio vario e avvincente. Compiti per solito affidati alla mano sinistra del direttore, che nel nostro caso passava dall’appoggiarsi alla balaustra al seguire quasi sempre la destra battitempo, senza mai attenuare la navigazione costante fra il forte e il fortissimo. Dopo i ländler e la Burlesca centrali con il loro accumulo di effetti speciali grotteschi e di nevrosi in cui oggi sentiamo specchiati i nostri traumi, è venuto il tempo finale, quello straordinario movimento che Leonard Bernstein ha spiegato come la descrizione del moriendi, attraverso lo spegnersi di un grande arco musicale. E anche il pubblico di Lugano ha sentito in quella «radiosa apocalisse, un barlume di quello che deve essere la pace».

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