Una commedia ferocemente iconoclasta sul mondo dell’arte

I film sugli artisti e sul mondo dell’arte possono essere molto seri, per non dire seriosi se non addirittura tragici, come il recente Van Gogh firmato da Julian Schnabel, ma possono anche adottare i toni dell’ironia buttando in commedia situazioni ispirate alla realtà odierna. Era accaduto, con notevole successo, nel 2017 grazie a The Square, l’esilarante (ma per certi versi anche inquietante) lungometraggio del regista svedese Ruben Östlund che a sorpresa si aggiudicò la Palma d’oro a Cannes e il cui protagonista era il direttore di un prestigioso museo d’arte contemporanea di Stoccolma. La questione si ripropone ora, con toni più leggeri e meno impegnativi, grazie a Il mio capolavoro (Mi obra maestra) del regista argentino Gaston Duprat, fattosi conoscere negli ultimi anni con il film Il cittadino illustre (2016) girato insieme a Mariano Cohn e ambientato nel mondo della letteratura. La coppia di protagonisti - l’esperto gallerista e mercante d’arte Arturo (Guillermo Francella) e Renzo (Luis Brandoni), artista quotato anche se in declino ma supponente e cinico fino all’inverosimile - è legata oltre che da un burrascoso rapporto di lavoro (Renzo pare fare di tutto per boicottare le iniziative di Arturo) da un’amicizia di lunghissima data che li spinge a continuare il proprio percorso insieme nonostante tutto. Sapendo di poter contare sull’allergia di Renzo nei confronti di qualsiasi tipo di rapporto umano, lo spregiudicato gallerista decide di «farlo fuori» convincendolo a simulare la propria morte per rilanciare la sua carriera e, soprattutto, le quotazioni delle sue opere. Detto fatto, il piano porta subito i suoi frutti e permette a Renzo, ad esempio, di tornare a dipingere quadri identici a quelli degli anni Ottanta, il periodo più ricercato dai collezionisti. Nemmeno l’intrusione di un incorruttibile giovane «allievo» dell’artista che denuncia la truffa e li cita in tribunale fermerà i due furbacchioni: la morte simulata viene considerata dalla corte come una performance in sé, un vero e proprio capolavoro dunque. Ricco di situazioni riuscite e spassose, ben recitato e animato da uno spirito ferocemente iconoclasta, il film di Duprat costituisce un’ottima occasione per ridere di un contesto che fin troppo spesso viene presentato come un sancta sanctorum sul quale è vietato persino ironizzare.