Grande schermo

Una storia d'amicizia scomoda nei vicoli malfamati di Napoli

Mario Martone dirige un eccellente Pierfrancesco Favino nei panni di un uomo tormentato dal proprio passato in una vicenda interamente ambientata nel quartiere di Rione Sanità e ispirata all’omonimo romanzo scritto da Ermanno Rea
Pierfrancesco Favino è Felice, nato a Napoli e che a Napoli vuole morire. © Xenix filmdistribution
Antonio Mariotti
15.10.2022 06:00

È ancora possibile girare dei film sui «grandi sentimenti» come la nostalgia della giovinezza o l’amicizia spezzata dalla tragedia? Non è un’impresa facile, ma alcuni registi ci riescono, a condizione che questi «macigni» affettivi vengano inseriti in un contesto estremamente preciso e affidati a personaggi talmente veri da riuscire a sconfiggere il rischio del déjà vu e a condurre per mano lo spettatore in un’avventura avvincente, anche se non tutta rose e fiori. Il napoletano Mario Martone, i cui interessi spaziano ben oltre il cinema (dal teatro all’opera lirica), è uno di questi rari «creatori», animati dalla passione e che possono contare su un savoir faire fuori dal comune e sul radicamento in una microrealtà che sanno far assurgere ai crismi dell’universalità. Chi ha visto il suo penultimo film Qui rido io, ispirato alla vita del popolare commediografo Eduardo Scarpetta, non potrà che apprezzare anche questo Nostalgia (presentato in concorso all’ultimo Festival di Cannes) di ambientazione contemporanea ma sottilmente legato a quell’universo «eduardiano» (nel senso del grande De Filippo, figlio illegittimo di Scarpetta) che è praticamente impossibile ignorare se si vuole narrare la Napoli di oggi.

Il ritorno a casa di Felice

Nostalgia, sceneggiato dallo stesso Martone insieme alla sua abituale collaboratrice Ippolita di Majo, è tratto dall’omonimo romanzo di Ermanno Rea pubblicato nel 2016, l’anno della morte del noto scrittore e giornalista, È la storia di un ritorno a casa, quello dell’ultracinquantenne Felice, cresciuto nel rione Sanità e reduce da 40 anni di brillante attività imprenditoriale in Egitto. E proprio il quartiere dove si svolge l’intera vicenda non può non richiamare alla memoria la celebre pièce eduardiana Il sindaco di Rione Sanità, portata sullo schermo da Martone, con un impianto molto teatrale, nel 2019. Un ritorno, quello di Felice, dapprima provvisorio, finalizzato a prendersi cura dell’anziana madre, ma che dopo la morte della donna diventa definitivo, poiché l’uomo (interpretato da Pierfrancesco Favino) capisce che, nonostante la macchia del fatto di sangue giovanile che lo lega indissolubilmente ad Oreste - diventato nel frattempo il «Malommo», temuto boss locale della camorra -, quella è la città in cui è nato e in cui vuole morire.

Tra dubbi e presa di coscienza

Una presa di coscienza sofferta e costellata di dubbi esistenziali che coinvolge di riflesso anche la moglie di Felice che segue la situazione dall’Egitto, per il cui efficace sviluppo Mario Martone aveva bisogno di un protagonista capace di essere presente praticamente in ogni scena facendo trapelare gli sconvolgimenti interiori che lo agitano. Il regista trova questa «perla» in un Pierfrancesco Favino al top della forma. Contrariamente a quanto accaduto in alcune sue recenti interpretazioni in ambito autoriale come Hammamet di Gianni Amelio (2020) dove vestiva i panni di Bettino Craxi o Il traditore di Marco Bellocchio (2019) dove era il pentito di mafia Tommaso Buscetta, Favino non deve celarsi dietro la maschera (e il pesante trucco) di un personaggio pubblico. Per trasformarsi. In questo caso, gli basta un lieve accento straniero che dà al suo Felice la profondità e il distacco necessari. La Napoli che l’uomo ritrova al suo arrivo è la stessa che ha lasciato quindicenne per sfuggire ai rimorsi e alla galera, ma lui è un altro (si è convertito all’islam) e grazie al sorprendente legame che sviluppa con Don Luigi (Francesco Di Leva), prete impegnato con le idee ben chiare su cosa si può e non si può fare in quel contesto, riuscirà ad incontrare il vecchio amico Oreste (Tommaso Ragno) che vive come un recluso in completa solitudine. Riflessione amara sulla propria città e i suoi eterni drammi, per Martone Nostalgia rappresenta una prova importante e riuscita nell’ambito di una già ricca e interessante filmografia che raramente l’aveva visto far uso così duramente dell’arma della denuncia.