Teatro

Un’inquietante indagine sull’atto creativo

Al Sociale di Bellinzona ha debuttato «Frankenstein, autoritratto d’artista» di e con Margherita Saltamacchia
Un momento dello spettacolo. © TSB/ROCCO SCHIRA
Lea Ticozzi
23.10.2020 18:24

Ma chi era davvero Mary Shelley, l'autrice del romanzo Frankenstein, o il moderno Prometeo? Giovedì al Teatro Sociale di Bellinzona è andato in scena in prima assoluta Frankenstein, autoritratto d'autrice, una narrazione a frammenti della tormentata vita della scrittrice che nel 1816, a diciannove anni, inventa il famoso personaggio, il mostruoso assemblaggio di cadaveri concepito dal dottore che dà il titolo al romanzo.

Palcoscenico spoglio

Sul palcoscenico spoglio, solo un tavolino, uno sgabello e l’attrice Margherita Saltamacchia che si alterna nei ruoli di Mary Shelley, leggendo dalle pagine dei suoi diari, e dei suoi due personaggi, appropriandosi ora della voce maschile del dottor Victor Frankenstein, ora dei suoni gutturali della creatura. La chitarra elettrica di Christian Zatta, autore delle musiche, accompagna dal vivo lo spettacolo. La giovanissima Mary diventa l'amante del poeta Percy Shelley; ripudiata dal padre, fugge dall’Inghilterra e giunge sulle rive del lago di Ginevra, dove risiede Lord Byron, anch’egli poeta, eroe romantico per eccellenza. Durante le giornate tempestose di quell’estate, i tre amici discutono del principio vitale, interessandosi agli esperimenti pseudoscientifici volti a rianimare la materia morta. Introducendo l'edizione del 1831 del suo romanzo, Mary scrive che fu a quel tempo che aveva visto «a occhi chiusi ma con una percezione mentale acuta, il pallido studioso di arti profane inginocchiato accanto alla cosa che aveva messo insieme, l'orrenda sagoma di un uomo sdraiato» che avrebbe poi iniziato a muoversi goffamente.

Narrazione essenziale

Lo spettacolo insinua che la creatura immaginaria possa essere un sostituto della primogenita di Mary, morta a sole due settimane dalla nascita. In una narrazione scarna ed essenziale i sogni iniziano così a intrecciarsi con la realtà, tematizzando il processo creativo e artistico che si declina in modi diversi a seconda del punto di vista da cui lo si considera. Nello scienziato Victor Frankenstein nascono il desiderio di conoscenza e l'ambizione che lo conducono a emulare Dio nella creazione dell’uomo; mentre il mostro implora lo scienziato di fabbricargli una compagna e di liberarlo dalla sua tremenda solitudine. Mary Shelley, intanto, condensa questa inquietante indagine sull’atto creativo nella sua gotica fantasmagoria, con la consapevolezza che per generare la vita bisogna partire dalla morte.

Il mito di Prometeo

Non a caso, il sottotitolo del romanzo richiama il mito di Prometeo, simbolo di ribellione e di sfida all’autorità divina, di cui Frankenstein incarna una replica moderna, tanto che alla fine vuole strangolare la creatura a cui ha dato la vita, perché «terrificante sarebbe stato il risultato del tentativo umano di imitare lo stupendo meccanismo del Creatore del mondo». Ma non è forse una ribellione altrettanto ardita, quella di Mary, che a dispetto della volontà paterna insegue il suo amore per un uomo già sposato, considerato un «selvaggio» dai suoi contemporanei, che diventa madre a diciotto anni nell’Inghilterra puritana del primo Ottocento? E non è una sfida alla società letteraria dominata dagli uomini, quella di farsi autrice di un romanzo dal contenuto scabroso, blasfemo, tanto da essere pubblicato anonimamente prima di diventare un classico della letteratura horror? Questo è quanto sembra suggerire la messa in scena di Saltamacchia, coadiuvata dalla drammaturga Cristina Galbiati, quando la voce femminile deve trasformarsi in quella maschile dei suoi personaggi. È una Mary-Prometeo quella che alla fine appare quando l’attrice si spoglia - letteralmente - dei suoi abiti per indossare un costume di gusto gothic (creato da Marianna Peruzzo) e diventare la donna che ha passato la vita ad affermare la sua identità e le sue passioni.