Uomini del nord in fuga tra mille avventure

Diretto dallo svizzero Fäh "I vichinghi" è un b-movie convincente
Marisa Marzelli
01.12.2014 00:48

Al cinema e in tv i vichinghi sono di moda. Nel trend s'inserisce anche l'anomalo I vichinghi. Anomalo per varie ragioni. La prima è che si tratta di un film avventuroso con un look da kolossal, ma è una più modesta coproduzione svizzero-germanica-sudafricana (girata in otto settimane in un Sudafrica somigliante alla Nuova Zelanda di Peter Jackson) che disinvoltamente si mette in fila con i blockbuster del genere. La seconda ragione è che il regista Claudio Fäh è uno svizzero di Altdorf, anche se da una quindicina d'anni vive a Los Angeles. La terza è che pur non nascondendo la sua limitatezza di risorse e la sua natura di film in sostanza per ragazzi (nemmeno troppo esigenti) suscita simpatia perché non si ammanta di pretestuosi obiettivi storici o di chissà quali significati. Insomma, si propone come onesto intrattenimento, un buon b-movie.Alcuni vichinghi del nono secolo, banditi dalla propria terra, dopo una terribile tempesta naufragano sulle coste della Scozia. Finiti in territorio nemico, i rocciosi guerrieri incontrano sul loro cammino la figlia del re. Pensano di farne oggetto di scambio e chiedere un riscatto ma il re non ci pensa nemmeno e li fa inseguire da suoi feroci mercenari soprannominati «I lupi». La principessa, che non dispiace (ricambiato) al giovane capo dei vichinghi, si rivelerà un'alleata, così come un monaco-guerriero cristiano incontrato per caso. La trama è più che lineare: vichinghi in fuga per trovare una possibilità di ripartire via mare e inseguitori alle calcagna. Ogni tanto bisogna battersi, ma gli uomini del nord sono espertissimi in trappole e tranelli vari. Spade sguainate, urla di guerra, fuoco, passaggi sotterranei segreti, coraggio, lealtà, sacrificio e un finale aperto che lascia presagire, se ci sarà il debito riscontro di pubblico, una seconda puntata.Ci si rende conto di quanto sia difficile confezionare un film d'azione senza che il pubblico badi alle incongruenze narrative (qui gli sceneggiatori sono due austriaci). Ma un continuo movimento di macchina – ben assecondato dall'abile montaggio – e una certa accuratezza nei costumi e nelle armi minimizzano la pecca. E poi, le buone e semplici intenzioni di esaltare i sentimenti di fratellanza e aiuto reciproco all'interno degli eroi braccati e dei loro improvvisati alleati fanno il resto. Il cast è un miracolo di equilibrismo, ma funziona. Il capo dei vichinghi è il giovane britannico Tom Hopper; il monaco rasato a zero e irriconoscibile è l'australiano Ryan Kwanten, già fratello scapestrato della protagonista Sookie nella serie True Blood; Ed Skrein viene da Il trono di spade, Anatole Taubman è un attore svizzero (007 – Quantum of Solace, I Tudor, I Pilastri della Terra); la ragazza è l'inglese Charlie Murphy (Philomena). C'è anche una star musicale, Johan Hegg, cantante della band svedese death-metal Amon Amarth, il cui nome s'ispira alla mitologia di Tolkien.

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