Van de Sfroos e quel piacere ritrovato di fare musica

Dopo quattro anni di assenza dalla discografia Davide Van de Sfroos è tornato. E lo ha fatto in con un disco live, intitolato «Quanti nocc», con il quale l’artista comasco dà l’impressione di aver chiuso un cerchio che dopo la grandissima fama e palchi importanti – da Sanremo a San Siro – l’ha riportato, musicalmente – ma non solo – alle sue origini. Ne abbiamo parlato con lui.
«Questo disco arriva dopo un periodo nel quale sono state fatte tante cose e nel quale ho anche creato – volutamente – un vuoto per cercare di capire cosa volevo fare di me stesso e cosa mi mancava che non avevo più. È stato un periodo di confusione mentale, di depressione, di angosce, in cui avevo perso la fiducia nella musica che fino a quel momento mi era appartenuta. E dal quale sono uscito recuperando il contatto con la natura, con i boschi, le montagne, dedicandomi alla famiglia e facendo con i miei cari cose normali, che poi sono quelle veramente speciali che ti permettono di capire chi sei e cosa vale la pena ancora di fare. Una volta capito tutto ciò, è stato facile imbracciare di nuovo la chitarra e ripartire».
Una ripartenza avvenuta anzitutto sulla scena...
«Sì, anche se in una dimensione diversa, più intima in cui il contatto con la gente era immediato, a portata di mano. E con un gruppo di musicisti con il quale mi sono reso conto sin dall’inizio che stavo facendo qualche cosa di speciale, con sonorità che mi riportavano ai vecchi De Sfroos e non solo per il recupero degli strumenti che usavo allora come il sax e il flauto traverso, ma anche per i rapporti, le emozioni e le energie che si creavano tra noi e con il pubblico. Quando poi abbiamo sentito le registrazioni di questi concerti ci siamo resi conto che avevamo a disposizione un grande pozzo da cui pescare un sacco di cose buone. E così è nato Quanti nocc».
Che però, qualcuno potrebbe obiettare, non è un disco nuovo....
«Vero, però va anche detto che in questi anni di sosta le canzoni ho continuato a scriverle. Solo che non me la sentivo di farle uscire. Non c’era il contesto, lo spirito giusto. Spirito che invece è emerso durante questo tour e dal quale si ripartirà a gennaio per finalmente dare forma a tutte le idee che sono nel cassetto e che, se tutto va bene, la prossima stagione riusciremo a presentare al pubblico».
In attesa di ascoltare queste nuove canzoni parliamo di quelle contenute in Quanti nocc che, in molti casi, fanno parte di un repertorio rimasto per tanti anni in un cassetto dei ricordi. Che sensazione ha avuto a riprenderle in mano?
«Le canzoni sono un po’ come dei figli: possono essere rimasti lontani, però sono sempre li nel tuo cuore. E c’è un momento in cui hai bisogno di riavvicinarti a loro, riabbracciarli, capirli. E così è stato anche per questi brani...».
Recuperare vecchie canzoni significa anche fare i conti con il tempo che passa e con i cambiamenti che porta con sé. Quanto è cambiato Davide van De Sfroos dagli inizi ad oggi?
«Tanto ma non troppo. Diciamo che mi sento come un aratro che ha continuato a scavare ma rimanendo sempre nel solco. Mutamenti chiaramente ci sono stati, anche perché l’esperienza ti fa cambiare la visione delle cose. Artisticamente poi la conoscenza di tanti musicisti e compagni di viaggio ti aiutano a modificare il tuo approccio alla musica. L’importante però è rimanere fedeli a se stessi. Cosa che credo di aver fatto andando avanti, cercando di seguire ma anche di anticipare la mia ombra».
L’ombra sembra essere uno degli elementi più ricorrenti nelle sue canzoni...
«Sì è un’immagine cui faccio spesso riferimento. È un qualcosa che per me ha a che fare con la psiche, l’anima, il modo di essere. Tanto che quando stavo poco bene dicevo che avevo perso un po’ la mia ombra, come Peter Pan. Ma l’ombra non è qualcosa di oscuro di negativo e di malevolo. È l’immagine di un qualcosa di molto profondo , è la somma di tanti colori non ancora svelati. L’ombra che proietti tu è come ti presenti, l’ombra che di segue è come gli altri ti vedono mentre l’ombra che ti attraversa è quello che tu hai più di nascosto. E se hai la forza di farle fare un giro di valzer, se sei in grado di diventare un danzatore con questa tua terza ombra, allora scoprirai che questa uscirà allo scoperto e darà l’opportunità agli altri di vedere cose di te che nemmeno si aspettano».
Immagini molto poetiche queste, che si ritrovano non solo nelle sue canzoni anche nei suoi libri. A proposito: come sta andando la sua attività letteraria?
«Bene. L’ultimo biennio è stato un periodo importante dal punto di vista della penna e della carta. Non frequentando i palchi ho infatti potuto lavorare su questo fronte. Per l’editrice La nave di Teseo ho pubblicato il libro di racconti Ladri di foglie e subito dopo un altro libro, Taccuino d’ombre con una serie di racconti inediti nonché una selezione degli articoli che ho scritto per il Corriere della Sera. Inoltre si stanno ristampando anche alcuni miei vecchi libri. Ed è una cosa che mi ha fatto estremamente piacere in quanto – come dicevo prima – pur non pubblicando dischi ho continuato a scrivere. E la carta stampata è stata in questo senso un’importante valvola di sfogo. In attesa del disco nuovo».