Il viaggio di Final Fantasy VII Rebirth
Raccontare l’evoluzione del franchise di Final Fantasy richiederebbe un articolo a sé stante, e anche di quelli belli lunghi. Il capitolo originale risale al (videoludicamente parlando) antidiluviano 1987, e da allora si contano 16 titoli, una mezza vagonata di spin-off e crossover, un film su grande schermo (Spirits Within, classe 2001), interi scaffali di fumetti e romanzi.
La particolarità di questo titanico setting è che ogni capitolo si svolge in una ambientazione unica, che ha solo alcuni tratti in comune con il resto del franchise: alcuni personaggi che spuntano dalle pieghe narrative, o elementi iconici come le cavalcature Chocobo. Pur essendo una serie che resiste da oltre trent’anni e si reinventa generalmente con invidiabile efficacia, gli ultimi capitoli (diciamo, da Final Fantasy X) hanno visto scemare l’interesse dei fan, con risultati di vendite e di critica lontani dalla fasti del primo decennio di vita. Square Enix, il publisher del videogioco, ha quindi deciso di rispolverare il capitolo più amato della serie, Final Fantasy VII, con un remake a dir poco epico.
Il remake di Final Fantasy VII è diviso in tre parti. La prima, che si chiama proprio Final Fantasy VII Remake, è uscita su PlayStation 4 nel 2020, e riprende circa il primo terzo dell’avventura originale, in cui il protagonista Cloud e i suoi compagni di viaggio esplorano e combattono in Midgar, la mega metropoli del capitolo originale. La conclusione di Remake vede la distruzione di buona parte della città: Rebirth parte proprio da qui, e racconta la seconda parte del viaggio.
L’ambientazione di Final Fantasy VII è rimasta grossomodo la medesima: siamo in reame fantasy, in cui il nostro alter ego combatte con una gigantesca spada grossa tre volte il personaggio. Ci sono magie e incantesimi, e creature che attingono in maniera equivalente tra cultura occidentale e dell’estremo Oriente. Tuttavia, a fianco degli aspetti decisamente fantasy, c’è anche la tecnologia: nel mondo di Final Fantasy VII incontriamo elicotteri, strade asfaltate, computer, industrie enormi, centrali energetiche, treni. Questo setting viene spesso definito «Diesel punk», intendendo che è ancora più tecnologico e simile al nostro mondo rispetto allo steam punk tradizionale.
Più che un remake, Rebirth è una vera e propria re-immaginazione della parte centrale di Final Fantasy VII. La storia più o meno è quella, i personaggi anche, ma cambiano parecchie cose. E questo è un bene, perché il titolo originale era stato compresso nei limiti tecnici delle console del 1997, mentre ora può esplodere in tutta la sua ricchezza, raccontando con maggiore cura e profondità personaggi e situazioni. Quello che nel gioco originale era magari una location di due stanze, qua diventa una missione secondaria di due o tre ore, con combattimenti e boss finali.
Anche le battaglie sono state completamente riviste: in Final Fantasy VII del 1997 erano scontri a turni in perfetto stile da gioco di ruolo giapponese, ora sono combattimenti in tempo reali, molto più veloci e snelli, ma in cui rimane fondamentale l’aspetto strategico. Dovremo mettere in pausa e scegliere gli attacchi migliori, magari combinati con i compagni di viaggio, oppure decidere di lanciare un incantesimo o utilizzare un oggetto. Il risultato è più dinamico, ma altrettanto saporito e sfaccettato. Non fatevi ingannare, siamo ben lontani dai giochi piatti, con combattimenti in cui bisogna solo pigiare velocemente lo stesso tasto.
C’è molta azione, ma anche tanti, tantissimi dialoghi. Final Fantasy VII Rebirth è un gioco fortemente narrativo, che racconta moltissime storie di una moltitudine di personaggi. Preparatevi quindi a seguire tanti fili paralleli, anche con toni molto diversi, che vanno dal drammatico a quello ironico e persino paradossale specie nelle missioni secondarie. Per fortuna, mentre nel 1997 l’originale settimo capitolo era tradotto solo in inglese, e pure piuttosto male, qua troverete i dialoghi nella nostra lingua.
L’avventura di Rebirth vi terrà incollati alla vostra PS5 facilmente per 70 e più ore, specie se vorrete esplorare a fondo la mappa di gioco: rispetto al primo capitolo Remake, qua il mondo è assai più vasto e vario, con location affascinanti e uniche.
È necessario aver giocato al Final Fantasy VII originale? Assolutamente, no. La nuova «re-immaginazione» di Square Enix si regge perfettamente sulle proprie gambe. Dato che i capitoli del franchise sono separati tra loro, potrete giocarci con soddisfazione anche senza aver mai toccato un altro gioco della serie. Discorso diverso rispetto a Remake, la prima parte di questo immenso reboot: è possibile godersi Rebirth senza aver giocato il primo terzo di questa trilogia di remake, ma capirete tutto meglio se lo avrete giocato.
Final Fantasy VII Rebirth è una esclusiva PS5 ed è disponibile solo per l’ammiraglia Sony, e ha un PEGI 16+. Probabilmente, in futuro arriverà anche su PC, come è successo per Remake. Il gioco è tradotto (solo testi) nella nostra lingua. C’è anche un demo che potete scaricare gratuitamente, se volete provarlo senza spendere un centesimo.