Il lutto

Addio a Sergio «Seo» Dell’Acqua, il simbolo dello sport ticinese

Si è spento a 85 anni colui che, per vari decenni, è stato l’emblema del nostro basket
Sergio dell’Acqua in un’immagine degli anni Settanta in quello che è stato il suo «tempio», la palestra luganese della Gerra. © cdt/archivio
Mauri Rossi
10.03.2023 22:45

Credevamo fosse immortale, il discendente ticinese della stirpe nordica degli «highlander», visto che fino a non troppo tempo fa lo si poteva incontrare con regolarità al campetto dove, nonostante le sue ottanta primavere, sfoggiava una forma fisica, una determinazione e, soprattutto, lo spirito di un ventenne. Invece una breve malattia ci ha strappato all’età di 85 anni quello che può essere considerato l’autentico simbolo non solo della pallacanestro ma dell’intero sport ticinese, Sergio «Seo» Dell’Acqua. Una vita dedicata allo sport, la sua: al basket principalmente di cui è stato uno dei protagonisti sia nel periodo della sua evoluzione sia negli anni del «boom» quando, per una strana e irripetibile combinazione, il Ticino oltre ad avere la maggioranza relativa delle squadre partecipanti alla Serie A calamitava stranieri di primissimo piano internazionale con i quali rivaleggiava senza problemi, dentro e fuori dal campo. Ma anche al calcio (nel 1990 si aggiudicò la Coppa Svizzera Seniori con il Savosa, giocando poi in Seconda e in Terza Lega quando ormai era abbondantemente entrato negli «anta») e a qualsiasi altra disciplina sportiva, nella quale, se capitava l’occasione o se veniva coinvolto, non esitava a tuffarsi trascinato dalle stessa indomabile passione.

È stata tuttavia la pallacanestro la sua principale passione, sport all’interno del quale non solo ha creato una dinastia pari a quella italiana dei Maldini, ma facendo addirittura meglio. Nell’ormai lontano 1974 riuscì a compiere infatti un’impresa epica: giocare in serie A assieme al figlio Ivano (un primato che pubblicamente gli veniva invidiato da un suo grande amico nonché tra i giganti del basket europeo, Dino Meneghin, che riuscì sì a scendere sul parquet di Serie A assieme al figlio Andrea, ma da avversario…). Ma questo è solo uno dei tanti episodi legati alla carriera di «Seo», che lo ha visto avvicinarsi alla pallacanestro da adolescente, nei primi anni Cinquanta, quando si giocava ancora all’aperto sui campetti di Molino Nuovo e del Campo Marzio e quando, non esistendo ancora la regola che obbligava di andare a canestro entro 30 secondi, erano necessarie molto più di oggi qualità da fromboliere per mantenere il possesso della palla: doti che il giovanissimo Seo dimostrò quasi immediatamente di possedere, assieme ad un’invidiabile precisione al tiro. E infatti nel 1953, a 16 anni, esordì in prima squadra con la maglia di quella Federale Lugano cui è sempre stato legatissimo, tanto da rifiutare varie offerte provenienti non solo dal resto del Paese ma anche dall’Italia. Colori, quelli della Federale, che vestì ininterrottamente fino al 1977, conquistando tre titoli nazionali e altrettante coppe, risultando per cinque edizioni il miglior marcatore del torneo (con un record personale di 54 punti segnati in una sola partita, contro il Losanna), facendo per un certo periodo pure da allenatore-giocatore e vestendo per una trentina di volte la casacca della nazionale rossocrociata. Un legame talmente indissolubile che lo spinse, dopo la fusione avvenuta nel 1981 della società con il Viganello (che portò alla nascita della FV Lugano, antesignana degli odierni «Tigers» e allora bonariamente soprannominata «frutta & verdura»), a partecipare alla rifondazione del sodalizio nel quale militò a livello di Prima e Seconda Lega per qualche stagione (una curiosità: per qualche anno questa «nuova» Federale dei «vecchi» dominò i campionati in cui militava, salvo poi perdere, volontariamente, le finali per evitare di essere promossa e dover affrontare... trasferte particolarmente impegnative). Poi, smesso con l’agonismo «vero», Seo ha continuato praticamente fino quasi alla sua scomparsa a frequentare i campi di gioco: sia con il pallone in mano, sia per controllare la sua eredità, passata dapprima al figlio Ivano (che però oltre alla maglia bianconera vestì, con grande successo a livello nazionale e internazionale, pure quella del Bellinzona nei primi anni Novanta) ed ora al nipote Massimiliano che da un paio di stagioni è entrato a far parte del roster di quel Lugano e la cui maglia, da oggi, sarà ancora di più un orgoglio indossare.

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