Il personaggio

Adrian Newey, l’inconsapevole genio di un mito della Formula 1

Un ritratto del 65.enne ingegnere, direttore tecnico della Red Bull in Formula 1
Adrian Newey è il tecnico le cui macchine hanno vinto di più in Formula 1. ©EPA/Diego Azubel
Pino Allievi
Pino Allievi
17.05.2023 06:00

C’è la mano – e sopratutto la mente – di Adrian Newey, nei trionfi della Red Bull. Il 65.enne ingegnere britannico è una vera e propria leggenda nel mondo della Formula 1: tra campionati piloti e costruttori, ha conquistato 23 titoli mondiali. «Credo di aver svolto un buono lavoro – afferma lui – e mi piacciono le soluzioni semplici: sono quelle che funzionano di più».

Su di lui si raccontano tante storie che il tempo ha trasformato in leggende. La prima: quando venne ingaggiato dalla March di F1, era lui ad avere le chiavi dell’ufficio progetti. Se qualcuno arrivava prima, doveva aspettare. Senonché, erano più le volte che, presentandosi trafelato, aveva dimenticato le chiavi a casa che non quelle in cui le portava. Risultato: quando si rendeva conto della dimenticanza, doveva tornare indietro, ma la sua abitazione era a 70 chilometri dalla sede…

La seconda: gli è sempre piaciuto guidare e nell’inverno successivo alla conquista del primo Mondiale (di Vettel) ricevette un invito in Austria da parte di Helmut Marko, l’uomo-chiave della Red Bull. Il quale gentilmente gli lasciò la propria auto all’aeroporto, indicandogli dove fossero le chiavi. L’aereo da Londra era in ritardo e il trasferimento verso la dimora di Marko fu molto veloce. Nevicava. Marko guardava continuamente dalla finestra per scrutare se l’ospite stesse arrivando. Sì, eccolo, ma sta andando esageratamente forte, accidenti: infatti l’Audi sbanda e va ad «abbracciare» un albero. Nessun panico: il guidatore riesce ad aprire la portiera e prosegue a piedi verso di lui…

Tanti successi e una tragedia

Si potrebbe andare avanti all’infinito con divertenti divagazioni su questo personaggio semplice, un pochino fuori dalle righe. Parliamo di Adrian Newey, 65 anni con l’aria perennemente assorta ma con idee lucidissime e illuminanti, perché è il tecnico le cui macchine hanno vinto di più in Formula 1: 23 titoli mondiali fra campionati piloti e costruttori. Una cifra incredibile dinanzi alla quale l’interessato accenna solo a una smorfia che in realtà è un sorriso: «Sì, credo di aver svolto un buon lavoro…».

Il buon lavoro continua, perché le sue Red Bull hanno trionfato in tutti i gran premi disputati quest’anno e Max Verstappen, con l’ennesima macchina firmata Newey, è avviato verso la conquista del terzo iride. Un nuovo mattoncino che potrebbe arrivare dall’eventuale successo nel Gran Premio di domenica prossima a Imola, località che lo tocca tristemente da vicino perché proprio sul circuito del Santerno, nel 1994, perse la vita Ayrton Senna con la Williams che lui aveva progettato: «Una tragedia che mi ha segnato profondamente, un incidente del quale non conosceremo mai davvero le cause».

Nessuna rivoluzione

Oggi tutti si chiedono quali siano i segreti della Red Bull RB19 che sta dominando con Verstappen e Perez. Ma Newey non ha misteri sulla sua filosofia progettuale: «Credo nell’evoluzione delle macchine sulla base di quello che è stato fatto in precedenza. Di rivoluzionario non c’è mai più dell’1 per cento. Mi piacciono le soluzioni semplici, sono quelle che funzionano di più». Fatto sta che la RB19 è la macchina più efficiente in fatto di aerodinamica, adattamento alle varie piste, consumo delle gomme. Argomento, quest’ultimo, sul quale Newey ama scherzare, rivelando una sua debolezza: «Io di gomme ne consumo parecchie: quelle per cancellare, però. Perché disegno a mano libera con la matita e poi passo gli schizzi ai miei ingegneri che fanno la bella copia al computer. Non mi sono adattato al cad-cam, preferisco il tavolo da disegno all’antica».

Una lunga storia

La sua storia comincia nel 1981 quando, fresco di laurea in ingegneria aeronautica all’Università di Southampton, Newey - che già trafficava con kart e auto nel garage che ospitava le macchine di famiglia - ricevette una telefonata come risposta alla sua ricerca di lavoro su una rivista specializzata. Arrivava dal Team Fittipaldi. Adrian si presentò ai cancelli con la sua Ducati 900 SS. Gli aprì il progettista Harvey Postlethwaite (che poi fece un carrierone in Wolf, Tyrrell, Ferrari) il quale s’informò subito della moto, di quanti cavalli avesse, di quanto pesasse: «Sai, io ho una Moto Guzzi Le Mans, vieni, te la mostro». Finì che si scambiarono le moto per tornare a casa e l’assunzione fu automatica. Poi ci furono le esperienze in March con tre vittorie a Indianapolis, quindi il ritorno in F1 con la March-Leyton House (ricordate Ivan Capelli?) quindi il passaggio alla Williams (Mansell, Prost, Damon Hill, Jacques Villeneuve campioni) l’avventura in McLaren (Hakkinen due volte iridato) e l’approdo in Red Bull nel 2006 (Vettel 4 titoli, Verstappen 2…).

La Ferrari e i cani

Radiobox sussurra che Adrian Newey guadagni attorno ai 12 milioni di dollari all’anno, forse più. Cifre da top driver, quelli che lui fa vincere. La Ferrari ha tentato più volte di ingaggiarlo. Adrian si recò persino a casa di Montezemolo, sulle colline bolognesi, per un colloquio: «C’era pure sua moglie, la quale volle sapere tutto delle scuole in Italia per i figli e mi chiese come venissero trattati i cani, da noi. Ne aveva due. Forse pensava di essere finita in un Paese sottosviluppato: non se ne fece nulla», ha raccontato colui che a quei tempi era il presidente del Cavallino. Newey diede un’altra versione: «Di proposte ne ho avute più d’una da Maranello, ma in momenti che non erano maturi per me, per la mia famiglia».

Il minimo stress

In realtà, Newey sta benissimo in Inghilterra e alla Red Bull, dove ha la massima libertà d’espressione col minimo stress, grazie all’amichevole rapporto con i vertici, ossia Christian Horner ed Helmut Marko. Tra un mondiale (vinto) e l’altro, Newey ha potuto sfogare la sua passione di gentleman driver disputando persino la 24 Ore di Le Mans, quella storica con una Jaguar (sua) del 1938 e quella vera con una Ferrari 430 GT2, oltre a diverse competizioni al volante di Jaguar S100, Ford GT40, Maserati MC12 e Lamborghini Gallardo. Un’esperienza qualche volta rischiosa (non è stato esente da incidenti) ma sicuramente arricchente per colloquiare meglio con i suoi piloti di F1. Non bastasse, Adrian nel tempo libero si dà pure allo sci, al tennis, assiste a concerti di musica rock. Una persona vulcanica, curiosa, quasi inconsapevole del proprio genio, quello che lo ha – già – fatto entrare nella storia.