Ajla è tornata serena: «Ora non ho più paura di niente»

Dopo anni turbolenti contraddistinti da tanti infortuni, Ajla Del Ponte ha quasi coronato il sogno di tornare a essere veloce. Il duro lavoro della ticinese le ha permesso di essere selezionata nella squadra svizzera della 4x100 m che volerà ai Mondiali di Tokyo. Rassegna che si svolgerà nello stadio in cui quattro anni fa la velocista di Bignasco ha conquistato il suo splendido 5. posto olimpico nei 100 m.
Ajla, come stai? Come hai vissuto questa convocazioni per i Mondiali?
«Sto bene, grazie. In realtà, il posto nella staffetta mi era stato assegnato già da qualche giorno, ma non potevo ancora renderlo pubblico. Di conseguenza, quando la notizia è stata ufficializzata, per me non è stata una sorpresa. Quello che mi ha colpita di più, a livello emotivo, è stata una piccolezza, una banalità: ricevere la convocazione ufficiale via mail. Qualcosa che, dal 2014 in poi, era diventato una routine. Ecco, tornare a riceverla dopo diversi anni mi ha emozionata e mi ha fatto sentire come se stessi tornando a una sorta di normalità. Questo mi dà molta positività».
Superare questi tre anni scanditi dagli infortuni è stata la sfida più grande della tua carriera?
«Senza ombra di dubbio. Parliamo di ore e ore di lavoro, accompagnate da tanti sacrifici. Pensavo di averne già passate di tutti i colori quando, nel 2021, avevo contratto il COVID-19 e il mio corpo non rispondeva più come doveva. Poi è arrivata l’operazione alla tibia, lo strappo al quadricipite e, infine, l’ultimo strappo a maggio del 2024. Ecco, in quel momento ho pensato che non ce l’avrei più fatta. Mi sentivo in una bolgia infernale, con l’impressione di non uscirne più. E non sono stata l’unica a soffrirne. Tante persone intorno a me hanno vissuto questa situazione, cercando insieme a me delle soluzioni. Penso al mio allenatore Laurent (Meuwly, ndr), a tutto lo staff medico, al mio psicologo. Sono estremamente grata di non aver dovuto affrontare questo percorso da sola».
Durante questi anni turbolenti non hai mai pensato di abbandonare l’atletica?
«È successo quando ho ricevuto i risultati della risonanza a fine maggio 2024. Quando mi è stato detto che il muscolo era praticamente strappato dal tendine ho pensato fosse il segnale di fine carriera. Poi il medico Daniele Angelella mi ha presa in carica e mi ha detto che avevamo una chance per prepararmi ai Campionati Svizzeri. Non smetterò mai di dirlo: lui e Emanuele Sarcinella (fisioterapista, ndr) hanno salvato la mia carriera. Loro non vogliono che lo dica perché sono convinti che abbia fatto tutto io. Ma la verità è che da sola non sarei riuscita a mettere tutta l’energia che hanno investito loro».


Un’esperienza che mentalmente ti ha rafforzata?
«Più che rafforzata mi sento estremamente serena. Ciò che dovrò affrontare in futuro non sarà mai paragonabile a quello che ho vissuto in passato. Ora vivo gli allenamenti con molta più tranquillità, anche quelli che non vanno alla perfezione. Prima tutto mi restava addosso, ora riesco a farmelo scivolare via. Sarà un aspetto difficile da gestire per le mie avversarie. Non ho veramente più paura di niente. Sento che il mio corpo è pronto. Se mi viene dato un inverno riesco a tornare forte. Ecco perché non vedo l’ora di lavorare in ottobre. Ma prima ci sono i Mondiali (ride, ndr)».
Torniamo allora alla rassegna di Tokyo. Una manifestazione che si terrà nella stessa città e nello stesso stadio in cui hai strappato quel magnifico 5. posto olimpico nel 2021. Sei emozionata di tornare allo Stadio Nazionale?
«Lì vorrei chiudere il cerchio. Le mie difficoltà sono cominciate qualche tempo dopo le Olimpiadi, dunque tornare a Tokyo sarà simbolico. Mi piacerebbe vivere lo stadio da protagonista, ma non è ancora certo che verrò scelta tra le quattro sprinter. Toccherà a me dimostrare agli allenatori che sono pronta. Non nego che sarebbe magnifico correre - tra l’altro davanti a uno stadio pieno - e poter finalmente archiviare questa fase negativa».
Gareggiare per una staffetta è diverso che farlo in singolo. Serve feeling tra le compagne. Nel gruppo svizzero che alchimia si è creata?
«È un bellissimo ambiente. Ecco perché sono stata davvero molto contenta di ritrovare le ragazze. Mi sono sempre divertita tanto durante gli allenamenti. Lavoriamo e diamo sempre il massimo con grande professionalità, ma allo stesso tempo ridiamo e scherziamo su moltissime cose, anche sulle sciocchezze. Abbiamo un bel legame e siamo una squadra in cui tutte remano nella stessa direzione. Si sono aggiunte anche alcune giovani con tanta voglia di fare».
A febbraio avevi detto che il tuo sogno era quello di tornare almeno una volta a correre veloce. Al meeting di Kortrijk hai fermato il cronometro a 11”29, segnando il tuo miglior tempo degli ultimi tre anni. Il sogno si è avverato?
«Sì e no. Quando analizzo i miei allenamenti mi rendo conto che posso fare anche meglio di così. Il sogno, quindi, non può ancora dirsi completamente realizzato. Quello che invece ho concretizzato è aver portato a termine una stagione outdoor senza problemi fisici. E questa è la più grande vittoria di quest’anno. Per raggiungere il sogno di tornare veloce, invece, mi manca ancora un decimo o due (ride, ndr). Ma arriveranno a tempo debito.».
Ti sorprendi ancora per quello che è capace di fare il tuo corpo?
«Corro da quando ho 13 anni, e per certi movimenti noto che nel mio cervello si è ormai instaurata una forte memoria muscolare. È invece interessante osservare come l’Ajla di 21 o 22 anni si preparasse in modo molto diverso rispetto a oggi. Un aspetto che mi affascina».


Come proseguono gli studi universitari? Sei ancora dell’idea che vorrai sfruttarli una volta chiusa la carriera sportiva?
«Sì, per il momento non ho intenzione di proseguire nel mondo dell’atletica una volta appese le scarpette al chiodo. D’altronde ho sempre detto che questo sport sarebbe stato una parentesi. Per quanto riguarda il mio percorso accademico, invece, ho messo un po’ in pausa il progetto. Mi manca solo la tesi di master per completarlo. Con tutti i miei viaggi intorno al mondo era difficile portarlo avanti. Voglio consegnare un elaborato che mi soddisfi, non mi piace lavorare a metà. Ora ho ripreso contatto con il mio professore, e sono contenta di avere anche questo impegno a côté. Mi mancava».
Cosa fa Ajla quando stacca la spina?
«Passo del tempo con la famiglia e gli amici. In loro compagnia mi isolo dal mondo. Lo dimostra il fatto che con loro ho pochissime foto, perché non guardo mai il telefono (sorride, ndr). Inoltre, mi piace leggere».
La lettura che ruolo ha avuto nei momenti di difficoltà?
«L’anno scorso, quando mi sono fatta male ancora, ho iniziato a leggere un manga, One Piece. Mi è piaciuto moltissimo, mi ha fatto ridere e piangere come nessun altro libro era riuscito a fare prima d’ora con tale forza. Emozioni che mi hanno permesso di andare avanti con maggior facilità.».