Beat Magyar e l’emozione delle stelle

Oramai ci siamo. Domenica sera, il Comunale di Bellinzona si vestirà a festa per il Galà dei Castelli. Una parata di stelle che illuminerà la notte ticinese. «Sarà un’edizione pazzesca» ci confida Beat Magyar, direttore sportivo del meeting. Se così tanti nomi hanno accettato l’invito, gran parte del merito è sua. Lo abbiamo incontrato.
La prima domanda è scontata: come avete fatto ad allestire un cast così?
«Semplice: Bellinzona è un meeting di prossimità. È famigliare, c’è calore. E un atleta sente tutto ciò. Sente ad esempio la passione del pubblico. Per dire: Asafa Powell dopo il famoso 9’’87, nel 2015, si concesse un selfie assieme alla gente di Bellinzona. E rimase a lungo all’interno dello stadio. Diciamo che, non potendo garantire ingaggi da Diamond League, compensiamo con altro».
Parla delle famose coccole?
«Sì, esatto. Merritt l’anno scorso rimase 17 giorni a Bellinzona. La usò come base per allenarsi. Noi offriamo in totale tre notti in albergo agli atleti: se decidono di fermarsi di più, devono pagare di tasca loro. Ma restano anche dopo il meeting, appunto. Siamo per le coccole, è vero. Andiamo a prendere i protagonisti, li scarrozziamo, facciamo in modo che mangino bene, che vedano il Ticino. Un servizio, nell’insieme, che altri meeting non offrono».
Dunque non siete in concorrenza con Athletissima e Weltklasse?
«Siamo loro partner. Collaboriamo sia con Losanna sia con Zurigo. E quindi con i rispettivi direttori sportivi, Hediger e Delapierre. Del resto lo sponsor, UBS, ribattezzata la banca dell’atletica, è lo stesso. Un sostegno che ci permette di avere quattro meeting di qualità in un territorio piccolissimo: oltre ai tre citati, infatti, c’è anche Lucerna».
L’atletica sta vivendo un periodo d’oro nel nostro Paese?
«I risultati suggerirebbero di sì. Però è anche merito nostro, dei meeting dico, se abbiamo atleti svizzeri così forti. Se è vero che non possiamo alzare il monte ingaggi più di tanto, è altrettanto vero che il grosso della torta a Bellinzona va proprio ai protagonisti di casa nostra. Noi siamo sciovinisti. Vogliamo atleti svizzeri e siamo disposti a pagarli tanto rispetto agli altri. Il pubblico apprezza i nostri sforzi, capisce che più investiamo nel prodotto elvetico e più il movimento cresce. Facendo da traino per i giovani».
Bellinzona per molti sarà l’ultimissima tappa prima dei Mondiali di Doha. Un vantaggio?
«Sì, anche in ottica svizzera. Non potete capire la gioia nel sapere che tutti i nostri avevano risposto presente all’invito. E questo nonostante il meeting di Zurigo. Gli svizzeri partiranno sabato sera per il Ticino. E sì, Bellinzona sarà l’ultima occasione per vederli all’opera prima dei Mondiali. Un saluto vero e proprio. E in ottica Doha attenzione: uno stadio pieno e un’atmosfera calorosa possono fare la differenza. Fabienne Schlumpf dopo l’argento agli Europei mandò subito un sms a Chico Cariboni, l’altro direttore sportivo del meeting. Disse che quella medaglia fu merito anche nostro. Per concludere, crescono gli atleti svizzeri e noi cresciamo assieme a loro».
Perché il Galà e l’atletica sono meglio di altri spettacoli e altri sport?
«L’atletica piace anche a chi non è così addentro. Mia moglie, ad esempio, se la porto a vedere una partita di calcio non si diverte. Soprattutto se c’è un tatticismo esasperato. C’è il rischio di annoiarsi, ecco. Un meeting di atletica, al contrario, è un’emozione continua. C’è qualcosa di forte praticamente ogni 5 minuti. Pam. Pam. Pam. Fuochi d’artificio. E vedere l’atletica dal vivo è impressionante. Vi basti pensare al salto in alto: parliamo di gente che, volendo, potrebbe superare una porta di calcio. Per tacere dei 100: dei mostri che passano via a 40 chilometri all’ora. In televisione queste emozioni sono mediate, diciamo. È dal vivo che il nostro sport si fa apprezzare. Non a caso il pubblico di Bellinzona è cresciuto di anno in anno. E poi c’è il villaggio degli sponsor fuori dallo stadio. È adorabile e dà una dimensione di festa popolare al meeting».
L’ingaggio del grande nome straniero quali logiche segue?
«Deve fungere da traino. Anche uno che non ama il calcio prima o poi vorrà vedere dal vivo Messi o Ronaldo. Almeno una volta nella vita. Se vuoi ammirare Gatlin, campione del mondo in carica sui 100 metri, hai cinque o sei posti al mondo per farlo sull’arco di una stagione. Lui, a Birmingham, non c’era. E parliamo di un meeting della Diamond League. Il Galà ha un 100 superiore, visto che fra gli altri ci saranno Powell e Rodgers. Avere dei nomi così è qualcosa di unico».
Justin Gatlin è sempre accompagnato da un’ombra: quella del doping. Cosa risponde al riguardo?
«L’ombra del doping c’è sempre quando ingaggi un atleta. Ma se uno ha sbagliato e ha pagato, pazienza. Ciò che è stato è stato. Se un atleta può correre, sarebbe sbagliato non ingaggiarlo. Non tocca a me o ai miei colleghi decidere».
Come funziona con queste stelle? Siete voi a cercarle o vi piovono dal cielo?
«Rimanendo su Gatlin, ha chiesto lui di poter tornare a Bellinzona. E lo ha fatto perché l’anno scorso ha passeggiato. Si è impegnato, sia chiaro, ma gli americani se non hanno di mezzo le Olimpiadi o i Mondiali tendono ad avere un calo. Del resto, con quei fisici e quei muscoli non puoi andare sempre a mille. Ebbene, al termine del meeting del 2018 Justin mi disse: Beat, nel 2019 torno perché devo far capire al pubblico di Bellinzona che sono un campione del mondo. Tornerà con un ingaggio inferiore. Investe su se stesso e nel meeting. Pure Asafa Powell ha voluto fortemente esserci. Spera di scendere ancora sotto i 10’’ e vorrebbe tanto farlo a Bellinzona. Questi ragazzi daranno vita ad una gara pazzesca.Sono fenomeni, che pensano solo e soltanto a vincere. Anche a Bellinzona. Al di là del discorso sportivo, gli stranieri sanno che se vengono da noi sono trattati bene. Con affetto. E sanno che il pubblico può trascinarli. Un terzo degli atleti presenti al meeting, nel 2018, ha firmato il miglior tempo dell’anno proprio a Bellinzona».
Qual è il suo sogno nel cassetto riguardo al meeting? Un record del mondo?
«Quello sarebbe eccezionale. Ma io dico che preferirei una prestazione top di un nostro atleta. Penso ad esempio ad una come Mujinga Kambundji. Ha ottenuto già due record svizzeri da noi. Se proprio qui scendesse sotto gli 11’’ sarebbe il top. Ma pensate anche se Jacobs diventasse il primo italiano a scendere sotto i 10’’ nei 100 metri: la Gazzetta ci farebbe la prima pagina e noi ne trarremmo un beneficio enorme. Un record del mondo è quasi impossibile. Vale anche per i meeting più grossi. Ogni cosa dovrebbe andare al proprio posto perché ciò accada».
Il pubblico potrebbe fare la differenza, concorda?
«Eccome. L’ambiente è la nostra arma migliore. Non dico che a Bellinzona ci sia più tifo che a Zurigo. Ma l’atmosfera è calda, questo sì. Quanti atleti mi dicono di trovarsi meglio da noi. Faccio fatica a farli uscire dallo stadio dopo la gara. C’è un passaggio di emozioni incredibile».