Tokyo 2020

Biles, Osaka e i demoni delle campionesse

Intervista al mental coach Fausto Donadelli: «Quando lo sport diventa un dovere, iniziano i problemi. La costante ricerca del risultato genera una pressione notevole, soprattutto se si ha talento»
Simone Biles. © AP/Gregory Bull
Fernando Lavezzo
29.07.2021 06:00

Sembrava che il mondo fosse ai suoi piedi. Invece lei, Simone Biles, il mondo se lo sentiva sulle spalle. La 24.enne americana, stella della ginnastica, vincitrice di quattro ori ai Giochi di Rio del 2016, ha fatto un passo indietro sul palcoscenico di Tokyo 2020. Dopo aver abbandonato la competizione a squadre di martedì, oggi non sarà in gara neppure nel concorso individuale. «In testa ho dei demoni», ha detto. Ne abbiamo parlato con un esperto, Fausto Donadelli, mental coach di numerosi sportivi d’élite.

«A volte mi sento davvero come se avessi il peso del mondo sulle spalle. Faccio sembrare che la pressione non mi colpisca, ma è dannatamente difficile: le Olimpiadi non sono uno scherzo». Pubblicato su Instagram dopo le qualificazioni di domenica, meno brillanti del solito rispetto ai suoi incredibili standard, il messaggio di Simone Biles si è successivamente rivelato in tutta la sua drammaticità. «Appena metto piede sul tappeto siamo solo io e la mia testa e ho a che fare con dei demoni», ha detto in conferenza stampa, dopo essersi fatta sostituire nella finale a squadre. Inizialmente, la federazione statunitense aveva parlato di «problemi medici». La ginnasta - da molti considerata la più forte di sempre - ha però scelto di raccontare tutto, senza nascondersi: «Non ho più fiducia in me stessa. Sono nervosa, non mi diverto come prima. Devo fare ciò che è giusto per me e concentrarmi sulla mia salute mentale». In passato, lo ricordiamo, Simone si era definita una «sopravvissuta» tra le vittime di abusi sessuali da parte del medico del Team USA Larry Nassar, condannato a una pena minima di 40 anni.

Simone Biles. © AP/Ashley Landis
Simone Biles. © AP/Ashley Landis

Se manca il divertimento
Non si sa se Biles prenderà parte alle finali nei singoli attrezzi di domenica prossima. Una decisione verrà presa dopo valutazioni quotidiane del suo stato di salute. La vicenda della ginnasta americana ricorda quella della tennista giapponese Naomi Osaka: ritiratasi dall’ultimo Roland Garros, la numero 2 del ranking WTA è tornata in campo ai Giochi di Tokyo, da lei «aperti» come ultima tedofora. La 23.enne è stata eliminata al terzo turno da un’avversaria modesta. «Ultimamente queste crisi si presentano sempre più spesso», ci dice il mental coach Fausto Donadelli. Lui, con gli sportivi, ci lavora ogni giorno. Tra i suoi assistiti ci sono Elvis Merzlikins, portiere dei Columbus Blue Jackets in NHL, la tennista Jelena Ostapenko, vincitrice del Roland Garros nel 2017, ma anche il biker ticinese Filippo Colombo, dodicesimo nel cross country a Tokyo. «Biles e Osaka sono cresciute con l’obiettivo di vincere a ogni costo. Questa costante ricerca del risultato genera una pressione notevole, soprattutto se si ha talento. Prendiamo la Biles: a 24 anni ha già vinto tutto ciò che c’era da vincere. Ormai, come ha detto l’altro giorno, sono soprattutto gli altri, e non lei, ad aspettarsi i suoi successi. Dover sempre dimostrare di essere la migliore al mondo può generare degli stati di ansia e delle crisi. È un continuo mettersi in discussione. Sia Biles, sia Osaka, hanno sottolineato la mancanza di divertimento in ciò che fanno. È grave, significa che non stanno più facendo una cosa che gli piace. La stanno facendo per altri motivi. Forse i soldi, forse il desiderio di non deludere le aspettative di familiari e tifosi. Di sicuro non lo stanno più facendo per loro stesse. Biles e Osaka hanno dato tutto per le loro discipline. Parliamo di 7-8 ore di allenamento quotidiano, tutti i santi giorni, prendendo parte ad ogni competizione con l’obiettivo di essere performanti al massimo. Ma sono esseri umani. Sono ragazze. È importante che si prendano i loro spazi».

Naomi Osaka. © AP/Seth Wenig
Naomi Osaka. © AP/Seth Wenig

Confessioni olimpiche
Nell’ultimo anno e mezzo la pandemia ha scombussolato tutto, sport compreso. «Il momento che stiamo vivendo può aver influito tantissimo sul crollo di Simone Biles», ipotizza Fausto Donadelli. «Partecipare alle Olimpiadi, l’evento più prestigioso in assoluto, sapendo che non ci sarà il pubblico, è già complicato. Andarci con la paura di contagiarsi, poi, ha generato ulteriore ansia, un’ulteriore problematica da gestire. A causa delle restrizioni, a Tokyo gli atleti non sono liberi neppure nei momenti di libertà. Un bel paradosso, oltre che una fregatura. Questo elemento può aver amplificato determinate sensazioni o emozioni negative».

Biles e Osaka hanno entrambe scelto di parlare pubblicamente del loro disagio. Un atto di forza in un momento di fragilità: «Da parte loro c’è stata una bella presa di coscienza», riconosce Donadelli. «Ancora più potente nel caso della ginnasta, perché inizialmente la sua federazione aveva deciso di proteggerla tralasciando i dettagli sul suo ritiro. Infatti si era pensato a dei problemi fisici. Invece Simone ha preferito uscire allo scoperto, informando sui suoi problemi mentali. Ha parlato di demoni, di mancanza di divertimento. Ha capito che nulla vale più della sua salute e che a un certo punto bisogna fermarsi, perché così non funziona più».

Quello che nello sport chiamiamo istinto, in realtà, non è altro che un movimento automatico generato dalla libertà mentale

Un’immagine di libertà
Negli scorsi giorni, nelle gare a cui ha preso parte, Simone Biles ha commesso degli errori per lei inusuali. «Se la testa non riesce a dettare il giusto ritmo al corpo, non c’è niente da fare», afferma il nostro interlocutore. «Nello sport d’élite, la freschezza mentale è fondamentale. Quello che chiamiamo istinto, in realtà, non è altro che un movimento automatico generato dalla libertà mentale. Simone Biles ha spiegato proprio questo: negli ultimi anni ha perso fiducia in se stessa e nelle sue capacità. Quando si deve fare un volteggio, un salto carpiato, o qualsiasi gesto tecnico di una certa importanza, ma si ha un minimo dubbio di poter sbagliare, spesso e volentieri questo dubbio si concretizza nell’errore stesso. Non ci sono segreti, lo hanno confermato sia Biles, sia Osaka: quando ci si diverte, si fanno le cose senza pensarci. È tutto automatico, tutto libero. Il margine di errore non esiste, perché nella propria testa si sta già eseguendo quel gesto nel miglior modo possibile. Il corpo deve solo seguire quell’immagine».

Simone Biles. © AP/Ashley Landis
Simone Biles. © AP/Ashley Landis

La routine si spezza
Da un lato gli allenamenti e le competizioni. Dall’altro tutto ciò che non è strettamente legato allo sport. Gli atleti di successo devono fare i conti con una miriade di impegni, tra sponsor, media e tifosi. «Anche se sei una persona estroversa, predisposta al contatto con la gente, questi obblighi spezzano la tua routine. La vita di un atleta è scandita da ore di allenamento alternate a ore dedicate alla rigenerazione fisica, al recupero. Poi, quando arriva la popolarità, ecco che le ore di riposo vengono a mancare, sostituite da uno shooting fotografico, da uno show televisivo, da un evento di gala, dalle esigenze degli sponsor. Capita che in gara l’atleta non è più totalmente lucido, perché non ha potuto seguire la sua routine di preparazione, distratto da questi impegni. Lo sponsor stesso, però, vuole i risultati: se l’atleta perde visibilità e non finisce più sulle copertine delle riviste, il marchio se ne va, si sgancia. Quindi ti senti costretto a vincere. Quando lo sport diventa un dovere, iniziano i problemi».

Oggi gli atleti hanno una distrazione in più: i social media. «Il grosso problema sono i cosiddetti haters, gli odiatori, i leoni da tastiera che criticano ferocemente e gratuitamente gli sportivi famosi a seconda di come si comportano in campo e fuori. Questi commenti possono destabilizzare l’animo dell’atleta».

Spero che il messaggio arrivi ai genitori, affinché non inculchino nei figli l’ossessione del risultato. Fare sport è un’altra cosa. È divertirsi

Durare nel tempo
L’auspicio di Fausto Donadelli è che l’allarme lanciato da celebrità del calibro di Osaka e Biles - ma i precedenti non mancano - possano insegnare qualcosa ai giovani sportivi e a chi li circonda: «Anche in Ticino, dove i talenti non mancano di certo. Bisogna far capire agli sportivi che non è necessario sacrificarsi e costruire tutta la propria carriera inseguendo un obiettivo specifico, sia esso una gara, una coppa o una medaglia. È più importante aspirare ad una crescita costante della persona e dello sportivo, affinché si possa durare nel tempo. Se una gara non funziona non è un problema, si va avanti. Se invece si punta su un unico bersaglio e lo si manca, spesso si rischia di andare in crisi. Spero che questo messaggio arrivi soprattutto ai genitori, affinché non inculchino nei loro figli l’ossessione del risultato. Fare sport è un’altra cosa. È divertirsi».

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