L'intervista

«A noi olandesi non basta vincere, vogliamo divertirci col bel gioco»

L'olandese Willy Gorter, ex centrocampista offensivo del Lugano a cavallo degli anni '80 e '90, fotografa i Paesi Bassi di Louis van Gaal in vista dei quarti contro l'Argentina
La gioia degli oranje dopo il successo conquistato contro gli USA. © Rungroj Yongrit
Nicola Martinetti
08.12.2022 19:30

Idolo bianconero a cavallo degli anni ‘80 e ‘90, oggi l’ex calciatore olandese del FC Lugano Willy Gorter lavora in Spagna come agente immobiliare. Da casa sua vede Gibilterra, ma osserva attentamente anche quanto accade nel mondo del calcio. Comprese le avventure dei suoi Paesi Bassi.

Willy Gorter, domani andrà in scena il quarto di finale tra i suoi Paesi Bassi e l’Argentina. E la mente, è inevitabile, corre subito alla storica finale del 1978, persa dagli Oranje proprio al cospetto dell’Albiceleste...
«Vuoi davvero testare subito la mia memoria così, in entrata (ride, ndr)? Scherzi a parte, beh, sono passati più di quarant’anni, ma penso che nessun olandese che l’ha vissuta sia riuscito a scordarsi quell’epoca. Nel bene e nel male, intendiamoci. Quella degli anni ‘70 fu la nostra generazione d’oro per eccellenza. Quella di Johan Cruijff, l’Arancia Meccanica e il calcio totale. Purtroppo però, pur raggiungendo la finale dei Mondiali per due edizioni consecutive (1974 e 1978, ndr), quegli Oranje non riuscirono a trionfare. Un vero peccato, perché avrebbero meritato almeno un trofeo».

Da allora i Paesi Bassi hanno sfornato altre generazioni talentuose, che hanno dato vita a lunghe cavalcate tra Mondiali ed Europei. A conti fatti, però, la vostra Nazionale ha messo in bacheca «soltanto» la rassegna continentale del 1988. Come mai?
«Alle volte trovo che ci è mancata un po’ di fortuna, come nel 2010 in Sudafrica, nell’ultimo atto contro la Spagna. Ma la ragione più grande, a mio avviso, è un’altra. Intrinseca alla natura del nostro popolo. A noi olandesi, infatti, non basta vincere. Vogliamo trionfare proponendo un bel calcio, un gioco suadente. Altrimenti non ci divertiamo. È il nostro marchio di fabbrica, ma anche il nostro limite. Altre squadre, col passare degli anni, hanno “copiato” gli aspetti più efficaci del nostro calcio. Che ha fatto scuola in tutto il mondo, proprio a partire dalla già citata generazione d’oro di Cruijff. Il problema è che gli altri hanno plasmato e ritoccato quelle idee, affinché si rivelassero pure vincenti. Noi invece no».

Ha già citato un paio di volte Johan Cruijff. Secondo lei la sua impronta, nel calcio di oggi, è ancora così marcata?
«Certamente, la sua visione è a mio avviso eterna. Tant’è vero che ad anni di distanza, addirittura dopo la sua morte, i suoi principi vengono tuttora studiati e applicati ovunque».

Qualsiasi altro ct sarebbe già sulla graticola, pur avendo raggiunto i quarti. Louis van Gaal, invece, gode di tanto credito per via del suo palmarès

A proposito del presente, l’attuale selezione Oranje impegnata in Qatar le sta piacendo?
«Onestamente no. E leggendo qua e là le impressioni sui media olandesi, mi sembra che anche in patria non stia entusiasmando. Il motivo è facilmente intuibile: non gioca bene. Ha superato senza troppi patemi un girone oggettivamente semplice, e agli ottavi ha battuto a fatica gli Stati Uniti. In un match in cui la selezione a stelle e strisce si è peraltro fatta preferire nel gioco. Vi dirò di più: qualsiasi altro ct sarebbe già sulla graticola, pur avendo raggiunto i quarti. Louis van Gaal, invece, gode di tanto credito per via del suo palmarès. Dunque per ora viene lasciato tranquillo, anche perché nel calcio chi vince ha sempre ragione. Ma vi assicuro che a pochi piace vederlo schierare dieci uomini dietro la linea della palla».

Ora, come detto, la sua squadra dovrà vedersela con l’Argentina di Lionel Messi. Proprio come nella semifinale del Mondiale brasiliano del 2014, quando l’Albiceleste della «Pulce» interruppe bruscamente la cavalcata di Robben e compagni...
«Già, anche lì i sudamericani ci regalarono una delusione. L’ennesima. Ma rispetto ad allora, mi attendo un match molto differente. Bruttino in questo caso, tra due squadre chiuse e poco propense ad attaccare. A meno che una delle due selezioni riesca a trovare il gol già nei primi minuti. Noi probabilmente ci aggrapperemo all’eccezionale stato di forma di Cody Gakpo, che a gennaio - si vocifera - approderà in un grande club per decine di milioni di euro. Il PSV Eindhoven si sfrega già le mani. Se posso aggiungere un ulteriore elemento nella lettura di questo quarto di finale, citerei l’influenza del tifo. I supporter oranje, infatti, non hanno invaso il Qatar in massa come sono soliti fare. Tantissimi hanno rinunciato per motivi economici o morali, altri perché non si può bere birra (ride, ndr). L’Argentina potrà dunque contare su uno stadio caldissimo e pronto a sostenerla. Un’arma a doppio taglio, a mio avviso».

E se i Paesi Bassi ponessero fine all’ultimo Mondiale di Messi?
«Credo che nessun calciatore olandese stia pensando a questo aspetto. Si deve sempre guardare in casa propria».

Allora in chiusura le chiedo: in Qatar gli Oranje riusciranno a togliersi la fastidiosa etichetta di «eterni perdenti», che li accompagna al pari degli inglesi?
«Secondo me è ingrato affibbiargliela. I Paesi Bassi non sono che un puntino sul mappamondo del calcio. Con un bacino infinitamente più piccolo rispetto ad altre superpotenze, come ad esempio il Brasile e la stessa Argentina. Più che tristi per le tante occasioni sprecate, siamo fieri di aver spesso vissuto da protagonisti i grandi tornei internazionali. E se in Qatar - come credo avverrà - non dovessimo andare fino in fondo, saremmo più delusi per il fatto di aver giocato male, piuttosto che per non aver sollevato il trofeo. Siamo fatti così».

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