Calcio

«Cambiare nazionale? Poche sono appetibili come la Svizzera»

Il direttore delle squadre nazionali Pierluigi Tami commenta le modifiche al regolamento decise dalla FIFA - Il dirigente dell’ASF non nasconde alcune preoccupazioni: «A livello internazionale i club elvetici stanno soffrendo tanto, raggiungere l’Euro con la U21 è cruciale per la nostra credibilità»
©Keystone/Peter Klaunzer
Massimo Solari
23.09.2020 06:00

Abbracciare i colori di una nazionale dopo aver difeso quelli di un’altra? La FIFA ha detto sì. Va da sé, solo se in possesso della doppia cittadinanza e a condizioni molto precise. Il tema interessa da vicino la Svizzera, terra d’immigrazione e multietnicità. Ne abbiamo parlato con il direttore delle squadre nazionali Pierluigi Tami.

La FIFA ha operato una piccola rivoluzione per quei giocatori interessati al cambio di nazionale. I criteri per vestire un’altra casacca restano severi, ma per la nostra Federazione - storicamente confrontata con calciatori dal doppio passaporto - non rischia di diventare un problema?

«Per l’ASF non cambia tantissimo. Il nuovo regolamento interessa soprattutto giocatori convocati una prima volta da una selezione maggiore e poi magari lasciati da parte. Il nostro problema se vogliamo si presenta prima. Non sono infatti pochi i giovani dalla doppia nazionalità, e ancora U17 o U18, che subiscono importanti pressioni da altri paesi. Di norma le federazioni estere si fanno avanti direttamente con i giocatori di poco successo. Nei casi di talenti già più affermati vengono invece contattati i rispettivi entourage e le famiglie».

Da un lato c’è il pericolo che ora questi tentativi di aggancio diventino più insistenti. Dall’altro però la Svizzera potrebbe a sua volta sfruttare le mutate condizioni per anticipare l’inserimento di elementi di prospettiva. Così da frenare gli appetiti della concorrenza...

«L’ASF è sempre stata corretta verso tutti i potenziali nazionali. Fare un discorso di opportunità con i giocatori dalla doppia nazionalità non sarebbe d’altronde accettabile per chi di passaporto ne ha uno solo. Ecco perché il ct Vladimir Petkovic non ha mai convocato un calciatore con l’obiettivo di bloccarlo in rossocrociato. E mai lo farà».

La possibilità di vedersi sfuggire dei potenziali campioni comunque resta. E infatti è già successo. Come se ne esce?

«È una questione di timing. Oggi magari esistono dei paesi di terza o quarta fascia che possono offrire al giovane di turno una maglia da titolare nella propria selezione maggiore. Magari ciò non è ancora possibile con la Svizzera, che però va posta su un altro piano. Perché abbiamo raggiunto un livello tale - e l’attuale status in Nations League lo conferma - da risultare decisamente più appetibili. A livello sportivo, di carriera e aggiungiamoci anche in termini economici. C’è poi un altro aspetto da non sottovalutare. I calciatori che potrebbero essere interessati da queste dinamiche si ritrovano in una U21 vicinissima alla partecipazione all’Europeo. Una vetrina internazionale, questa, che pochi paesi nel continente possono regalarti. Insomma, l’ASF sa bene cosa è in grado di offrire. Ma chi vuole bruciare le tappe non può farlo con la Svizzera. E la Svizzera non si metterà di traverso qualora ai propri progetti dovessero venire anteposti discorsi di altro tipo».

Vladimir Petkovic non ha mai convocato un giocatore solo per bloccarlo in rossocrociato

In che modo l’ASF monitora e cerca di tutelare i calciatori «dei due mondi»?

«Il nostro interesse viene innanzitutto dimostrato attraverso le convocazioni nelle diverse categorie nazionali. Naturalmente, più ci si avvicina alla selezione maggiore più cresce il dialogo con il giocatore e con il suo entourage: procuratore in primis e famiglia. Con loro si delinea quello che potrebbe essere il percorso con la Svizzera. Dopo, e lo ripeto, va individuato il momento giusto per l’inserimento in prima squadra. Una scelta che spetta principalmente al ct, la cui considerazione per la U21 è sempre elevata».

L’immedesimazione con i valori del paese da rappresentare resta centrale? E dopo gli scivoloni al Mondiale del 2018 che accento ha posto Pierluigi Tami sul tema?

«Se non avesse giocato da squadra, unita, la Nazionale non avrebbe mai raggiunto i risultati attuali. Questo per dire che ogni giocatore che inseriamo nella selezione maggiore è chiamato a rispettare determinati valori: rispetto, solidarietà, identificazione. Tutto quello che va contro a questi principi rientra nella categoria degli errori. Che possono accadere, ci mancherebbe, ma che si pagano. Come nazionale svizzera dobbiamo infatti essere coscienti del nostro ruolo».

A proposito di scelte di cuore. Ivan Rakitic ha appena chiuso la sua carriera con la Croazia. Resta il rammarico per non averlo trattenuto in rossocrociato?

«Assolutamente no. Rakitic, in un’epoca per altro diversa da quella attuale, aveva sentito l’esigenza di legarsi alla Croazia. E ne aveva tutto il diritto. Ma la Svizzera non deve avere alcun rimpianto in questo senso. E ciò dal momento che ha sempre cercato di mettere i propri migliori giocatori nelle condizioni ideali per esprimersi. Poi ogni persona è un progetto a sé, con la sua testa e i suoi sentimenti».

L’Under 21 di Mauro Lustrinelli intanto sta ripetendo il cammino che le era riuscito nel 2011, quando la sua selezione si era laureata vicecampione d’Europa. Quanto è rassicurante per la Nazionale A?

«È un segnale importantissimo. Anzi, lo è ancor di più rispetto al cammino della mia U21. E mi spiego. Il calcio svizzero sta soffrendo tanto a livello internazionale, in particolare con i club. Ranking alla mano, rischiamo di scomparire dalle coppe europee. Ecco perché il raggiungimento dell’Euro di categoria, condito da un buon percorso, diventa cruciale per la credibilità del nostro movimento. È una sfida difficile ma Mauro Lustrinelli in queste situazioni sa esaltarsi».

Oltre alla partecipazione all’Europeo conterà però anche l’atteggiamento dei singoli giocatori. A 20-21 anni servono scelte di carriera intelligenti. Vero?

«Parliamo comunque di professionisti che, in buona parte, giocano in pianta stabile in Super League. Di fatto i vari Lotomba, Ndoye e Rüegg sono partiti all’estero solo in questo finestra di mercato. Perciò non mi stancherò mai di ripetere che la massima serie elvetica è il vero specchio del nostro calcio. A fronte di questa situazione intravedo quindi minori rischi rispetto ad esempio al titolo di campione del mondo U17. Se ripenso alla rosa del 2009 non fatico a riconoscere alcune problematiche. Chi, di quei giocatori, rimase in Svizzera - Xhaka a Basilea e Rodriguez a Zurigo per fare due nomi - è poi riuscito a costruirsi una buona carriera all’estero. Diversi di coloro che hanno invece deciso di lasciare il paese a soli 17 anni hanno incontrato grosse difficoltà».

Raggiungere l’Euro con la U21 è cruciale per la nostra credibilità. A livello internazionale i club stanno soffrendo

La pandemia sta contagiando le logiche del mercato. Per i club guardare all’estero e al contempo cercare di fare cassa con i pupilli di casa è sempre più difficile. Paradossalmente la situazione d’emergenza potrebbe favorire la crescita dei prodotti locali?

«Effettivamente la pandemia sta calmierando i trasferimenti. E con essi certe dinamiche un po’ malsane. Nel calcio servirebbe più pazienza e in questa fase difficile, caratterizzata da mezzi e salari limitati, i club dovrebbero favorire maggiormente la formazione e l’inserimento dei propri giovani. Permettendo loro di crescere e imporsi in Super League sull’arco di 2-3 anni, per poi venderli all’estero. La Nazionale d’altronde ha bisogno che i propri giocatori maturino importanti esperienze a livello internazionale. Mentre alle società servono determinate entrate finanziarie»

Quando si discute di ranking l’impressione è di assistere a un cane che si morde la coda. Da un lato per il bene della Nazionale bisogna favorire le carriere all’estero dei giocatori. Dall’altro i club presto o tardi rischiano però di trovarsi scoperti. E così a livello UEFA la Svizzera figura addirittura tra le prime 10 selezioni maggiori, mentre il ranking legato alle competizioni per club ci vede sprofondare...

«L’osservazione è giusta e fa capire l’importanza di poter contare su un buon riciclo di giovani promesse. Come si fa? Chi è lungimirante, in passato lo è stato il Basilea e oggi avviene all’YB, vende e reinveste. È un equilibrio sottile, non facile da raggiungere ma necessario. E a fare la differenza è la capacità di sapersi muovere in anticipo. Per dire: una squadra non può riflettere su come sostituire il suo terzino destro solo dopo averlo ceduto. Questa riflessione deve avvenire 1-2 anni prima, e quindi non cercando i migliori profili del 2000 ma quelli del 2004. A mio avviso la débâcle del calcio svizzero a livello di club è figlia proprio di una mancata visione a medio-lungo termine. In troppe realtà ci si muove mese per mese. In questo lo Young Boys si differenzia positivamente. E così i gialloneri il campionato lo vincono ancor prima di scendere in campo».

La Svizzera è scesa al 10. posto del ranking UEFA, l’ultimo in grado di garantirci di essere teste di serie ai sorteggi di dicembre validi per i Mondiali del 2022. Considerato le partite restanti nel girone di ferro di Nations League con Spagna, Germania e Ucraina, dobbiamo prepararci al peggio?

«Per accedere direttamente al Mondiale serve chiudere in testa il girone di qualificazione. Di qui, inutile negarlo, l’importanza di essere testa di serie ai sorteggi. Negli ultimi anni il ranking ha rivestito un ruolo determinante per i citati sorteggi senza tuttavia rappresentare veramente il valore delle nazionali. Oggi con la Nations League tutto sta ritrovando la giusta dimensione. Anche se poi è chiaro: guardando al cammino nella competizione siamo in pericolo e vogliamo difendere a tutti i costi la nostra posizione. Allo stesso tempo ritengo però che la Svizzera debba preoccuparsi di crescere come squadra. Ben venga dunque la serie di partite di altissimo livello in agenda in questi 3 mesi. A memoria, non si è infatti mai sfidato una dopo l’altra le migliori selezioni al mondo: Germania, Spagna, Croazia o ancora Belgio. Da questo punto di vista se è vero che forse stiamo mettendo a repentaglio il nostro ranking è altrettanto concreta la possibilità di rafforzare il gruppo e la qualità del nostro gioco. A tutto beneficio delle grandi sfide che ci attendono nel futuro prossimo».