L’intervista

«Cara Juventus, sono stanco di aspettare»

Chiacchierata a tutto tondo con l’ex attaccante bianconero Fabrizio Ravanelli, in gol nella finale del 1996
Fabrizio Ravanelli e la sua celeberrima esultanza dopo il gol firmato all’Ajax nella finale di Champions League del 1996, vinta dalla Juventus ai calci di rigore. (Foto Keystone)
Alberto Cerruti
09.04.2019 06:00

Fabrizio Ravanelli, 50 anni, ex attaccante della Juventus e della nazionale italiana, ha segnato tanti gol nella sua carriera. Uno, però, è rimasto indimenticabile, per lui e la Juventus, perché è stato l’unico realizzato su azione nelle due finali vinte dai bianconeri in coppa dei Campioni (1-0 su rigore nel 1985 contro il Liverpool) e in Champions League (5-3 ai rigori nel 1996 contro l’Ajax), dopo l’1-1 con la sua firma al 120’. Adesso che la Juventus torna a sfidare l’Ajax nessuno meglio di lui, quindi, può spaziare tra passato e presente, parlando delle prossime sfide di Champions in esclusiva per i lettori del «Corriere del Ticino».

Ravanelli, partiamo da quel suo gol contro l’Ajax: che cosa ricorda?

«La gioia quando ho visto la palla in rete. Furono attimi interminabili, perché avevo calciato dalla destra, quasi dal fondo, e sembrava che il pallone non entrasse mai. Un’emozione fortissima che riprovo ogni volta che ne parlo, perché quello rimane il gol più importante della mia vita. Mi spiace soltanto che non bastò per vincere, perché poi pareggiò Litmanen e dopo l’1-1 finale ci toccò soffrire fino al rigore decisivo di Jugovic per esultare».

Le è dispiaciuto non battere uno dei rigori finali?

«Molto, perché io ero un rigorista e sicuramente ne avrei calciato uno, ma purtroppo ero già uscito. Al mio posto entrò Padovano e guarda caso lui trasformò il terzo rigore, dopo Ferrara e Pessotto, prima di Jugovic».

Non si è stancato di raccontare quell’unico gol su azione?

«Più che altro sono stanco di aspettare che la Juventus vinca un’altra Champions, anche perché io sono da sempre un tifoso juventino».

Diventai juventino grazie a mio papà che a Perugia aveva l’abbonamento e mi portava sempre a vedere le partite. Avevo sette anni quando la Juventus perse lo scudetto proprio a Perugia e quel giorno scoppiai a piangere

Come è diventato juventino?

«Grazie a mio papà che a Perugia aveva l’abbonamento e mi portava sempre a vedere le partite. Avevo sette anni quando la Juventus perse lo scudetto proprio a Perugia e quel giorno scoppiai a piangere. Poi ero allo stadio anche quando è morto Curi, in una partita contro la Juventus. Ricordo Furino che cercò di soccorrerlo quando crollò sul campo. Poi, mentre tornavamo a casa in macchina, ho ascoltato alla radio la tragica notizia della sua morte».

Quindi giocare nella Juventus per lei fu il massimo...

«Proprio così, anche perché nella Juventus ho avuto la mia consacrazione che poi mi ha portato in nazionale».

Chi la soprannominò «Penna Bianca»?

«Non l’ho mai saputo, ma mi ha fatto piacere che molti mi avessero paragonato a Bettega, che era «Penna bianca» prima di me».

Da quando ha giocato con i capelli così bianchi?

«Li ho bianchi da quando avevo 14 anni. I miei genitori mi portarono da un pediatra per capire il motivo, ma la risposta fu che non c’era niente da vare. E’ un problema genetico, anche mio papà li aveva sempre avuti bianchi e così io non ho mai pensato di tingerli, perché non ho avuto il minimo complesso. Mi sentivo forte come mio papà che per me era un eroe e mi ha sempre seguito fino a quando, purtroppo, se ne è andato nel 2000».

Lei è stato il primo a mettersi la maglia sulla faccia dopo un gol: come è nato quel gesto?

«Era la stagione dello scudetto 1995. Un giorno a Torino giocavamo contro il Napoli, ma non riuscivamo a segnare. Lippi all’intervallo ci disse: state tranquilli perché uno dei nostri campioni ci farà vincere. Segnai il gol dell’1-0 e istintivamente mi coprii la faccia con la maglia, così senza motivo. Da allora mi sono ripetuto ogni volta che segnavo e tanti mi hanno imitato».

Lippi, invece, ha inventato il primo vero tridente moderno: Vialli-Ravanelli-Del Piero...

«Si parla tanto di tridenti, ma il nostro era un vero tridente, con tre grandi attaccanti. Vialli aveva la maglia numero 9 ma non stava mai fermo davanti alla porta, io avevo la 11 e mi scambiavo con lui, mentre Del Piero che aveva la 10 partiva dal centro e non dava mai punti di riferimento a nessuno. Giocavamo come il grande Ajax, tutti avanti e tutti indietro. Ci siamo divertiti e in due anni abbiamo vinto tutto: scudetto, coppa Italia e Champions».

Le è mancato soltanto il mondiale per club che la Juve ha vinto subito dopo: perché non è rimasto?

«Alla fine di quella stagione avevo giocato l’Europeo in Inghilterra con la nazionale e mi ero innamorato del calcio inglese. La Juve aveva altri programmi e così colsi al volo la possibilità di andare al Middlesbrough. Anche se non nascondo che mi è dispiaciuto lasciare la Juventus. Tra l’altro, visto che era andato via Vialli, sarei stato io il nuovo capitano».

Senza di lei la Juventus ha perso tutte le finali di che poi ha disputato: crede davvero che la società e la squadra abbiano un complesso-Champions?

«Quando sono arrivato io, la Juventus aveva già perso due finali, contro l’Ajax nel 1973 e l’Amburgo nel 1983, poi però aveva vinto nel 1985 e non mi pare che nell’ambiente ci fosse un complesso. Non so se adesso c’è, ma sono convinto che questo possa essere finalmente l’anno buono per cancellare un eventuale complesso».

Era più forte la sua Juventus o questa?

«Io dico che la mia Juventus se la potrebbe giocare con questa, perché non partiremmo affatto battuti con il nostro 4-3-3 contro il 4-3-3 di Allegri. Anche la Juventus di Lippi aveva una difesa fortissima, con Vierchowod e Ferrara che non erano inferiori a Bonucci e Chiellini. E il nostro tridente vale questo, perché io mi rivedo un po’ in Mandzukic per il movimento e la generosità, mentre Cristiano è potente come Vialli e Dybala è un numero dieci come Del Piero. Sì, sarebbe proprio una bella sfida».

La vostra Juventus, però, non vinse otto scudetti di fila...

«E’ vero, ma senza nulla togliere al valore di questa Juventus la nostra aveva una concorrenza maggiore in campionato. C’erano le famose «sette sorelle» che potevano vincere lo scudetto: oltre a noi, le due milanesi, le due romane, la Fiorentina e anche il Parma che infatti arrivò secondo un anno».

La Juventus rischia contro l’Ajax o è già lanciata verso la finale?

«Parte favorita, a patto che giochi una partita con intelligenza ad Amsterdam perché questo Ajax non va sottovalutato».

Poi incontrerebbe la vincente di Tottenham-Manchester City: chi vede favorito?

«È la sfida più equilibrata dei quarti, direi da classico 50 per 100 a testa. Non sarei sorpreso se passasse il Tottenham, anche se il City ha un grande allenatore come Guardiola che mi piace molto».

Se Allegri se ne andasse Guardiola sarebbe l’allenatore ideale, ma io dico che Max può dare ancora molto alla Juventus

Se Allegri andasse via, lo vedrebbe bene al suo posto?

«Guardiola sarebbe l’allenatore ideale, ma io dico che Allegri può dare ancora molto alla Juventus».

Il Liverpool ha il compito più facile contro il Porto?

«In teoria è l’avversario meno forte, per cui direi che ha almeno 70 probabilità su cento di passare».

L’altra squadra inglese, il Manchester United, dovrà fare un’impresa per eliminare il Barcellona?

«Il Barcellona è superiore e in Champions raramente sbaglia. Ma da quando è arrivato Solskjaer, il Manchester ha cambiato marcia. E poi Solskjaer mi sembra anche fortunato, il che non guasta, per cui non darei più di 60 per cento al Barcellona».

Quale sarebbe la finale ideale?

«Credo che tutti vorrebbero vedere Juventus-Barcellona, visto che gli incroci del calendario lo consentono. Sarebbe una finale da sogno con la sfida Messi-Ronaldo».

Chi preferisce tra i due?

«Dipende dal periodo. Ma a me piacciono tutti e due allo stesso modo, anche se sono diversi».

Ronaldo da solo basta per vincere la Champions?

«Io me lo auguro, perché contro l’Atletico ha già fatto la differenza. E se con lui la Juventus arriva in finale vado a Madrid, sperando di portare fortuna come nel 1996. Con Ronaldo si è alzata l’asticella e quindi è importante che lui ci sia sempre, perché se manca ne risentono tutti».

Sarebbe un fallimento per la Juventus non vincere la Champions?

«No, perché in Champions ci sono squadre fortissime e basta poco per vincere o perdere».

Su quale panchina la vedremo prossimamente?

«Spero su un panchina straniera. Purtroppo l’ultima esperienza in Ucraina è stata negativa, per cui preferirei ripartire da Paesi più sicuri sotto tutti i punti di vista. Aspetto proposte dal mio procuratore francese, Ivan Lemè. Siccome parlo francese e inglese, andrei volentieri in Francia o in Inghilterra, ma anche in Spagna, in Germania o in Svizzera».

Perché in Svizzera?

«Perché la Svizzera mi è sempre piaciuta e ci verrei di corsa. Tre anni fa avevo avuto un contatto con il presidente del Lugano, Renzetti, poi purtroppo non se ne fece nulla. So che a Lugano si sono trovati bene Zeman, Manzo e Tramezzani e sicuramente mi troverei bene anch’io. Mai dire mai, quindi, anche se per adesso faccio soltanto il tifoso della mia Juventus».