Calcio

C'era una volta Neymar

Dopo aver chiuso la fallimentare avventura in Arabia Saudita, il brasiliano cercherà di rialzarsi un’ultima volta nel club che lo ha lanciato: il Santos - Fonte di giudizi spesso ingenerosi, «O Ney» rimane uno dei giocatori più forti del XXI secolo - La croce degli infortuni e un sogno chiamato Mondiali 2026
Brasile-Svizzera ai Mondiali del 2018: Valon Behrami osserva divertito Neymar. Un momento divenuto iconico. © Keystone/Laurent Gillieron
Massimo Solari
30.01.2025 06:00

Per molti di noi, tifosi e giornalisti rossocrociati, rimarrà quel giocatore lì, in preda alle contorsioni e - proprio alla luce dell’ennesima sceneggiata - deriso da Valon Behrami. Anche il nostro, insomma, tenderà a essere uno sguardo dall’alto verso il basso. Non sprezzante, quello no. Ma senz’altro infastidito dal ruolo interpretato da Neymar. Un campione a metà, per l’appunto incapace di essere hombre vertical.

Eppure, per quanto non del tutto mendace, è di una rappresentazione distopica che rischieremmo di rimanere ostaggi. Di una sentenza definitiva e senza attenuanti. Come se O Ney, lungo la sua carriera, non fosse mai riuscito a elevarsi. Come se gli ultimi metri percorsi zoppicando dal giocatore meritassero maggiore attenzione (e disapprovazione) rispetto al resto del cammino.

100 milioni di interrogativi

Il calciatore brasiliano, per la cronaca, non ha ancora appeso le scarpette al chiodo. Nelle scorse ore, semmai, è stato certificato il fallimento della sua avventura saudita. Già, perché all’Al-Hilal Neymar ha disputato la miseria di 7 partite in 18 mesi. Senza incantare. Senza, soprattutto, rendere minimamente sensato lo stipendio annuale di 100 milioni di euro. «È ancora un giocatore eccezionale, ma fisicamente non è pronto per il campionato» ha spiegato Jorge Jesus, oramai suo ex allenatore. Di qui la rescissione del contratto e l’ultima, disperata scommessa: il ritorno al Santos, club abbracciato all’età di 11 anni e - a suon di dribbling e spettacolo - trampolino di lancio per l’Europa.

Oggi Neymar ha 32 anni. Saranno 33 il 5 febbraio. E il rientro in patria con un accordo valido per 6 mesi, dopo aver praticamente smesso di essere un atleta a causa della rottura del legamento crociato anteriore e del menisco del ginocchio sinistro, suscita sentimenti contrastanti. Invita a far partire i titoli di coda, anche. A meno che il protagonista del film decida altrimenti, scovando le risorse mentali e fisiche per risollevarsi un’ultima volta. E, di riflesso, favorendo un giudizio esterno meno severo e più aderente alla realtà dei fatti. Ai numeri di uno dei più grandi calciatori della storia moderna.

Convivere con Messi e CR7

Neymar, d’altronde, resta pur sempre il giocatore che ha realizzato più reti per il Brasile: 79. E, non a caso, sono davvero pochi i connazionali che osano screditare il presunto «erede di Pelé». Vero, il palmarès di O Ney in verdeoro non ha nulla di impressionante: una Confederations Cup e l’oro alle Olimpiadi di Rio 2016. O Rei, lui, così come Garrincha, Romario, Ronaldo e Ronaldinho il Mondiale lo hanno vinto. Mentre gli immancabili infortuni hanno privato Neymar di due fasi finali, nel 2014 (perlomeno evitando il Mineirazo) e nel 2018. Non solo. Il giocatore ha mancato pure l’appuntamento con la Copa America 2019, unico «vero» trofeo vinto dalla nazionale brasiliana negli ultimi anni.

Tuttavia, è soprattutto nel Vecchio continente che la sensazione d’incompiuto viene associata a Neymar. Di nuovo, ponendo l’accento su alcune tappe e alcune decisioni a detrimento di altre. E sorvolando su due considerazioni fondamentali. Nessuno, tolto in parte Vinicius, ha più saputo incarnare l’idea di calcio brasiliano, intesa come divertimento sfacciato e gioia per certi versi ultraterrena. Neymar, a proposito di divinità, ha inoltre dovuto convivere con le gesta e la consacrazione dei più grandi - sin qui - del XXI secolo: Lionel Messi e Cristiano Ronaldo. Il tutto ricordandoci fenomeni del tennis soffocati dai Big Three: Wawrinka, Murray, Roddick o ancora Del Potro.

«La mia ultima possibilità»

Neymar, per dire, non ha mai vinto il Pallone d’oro. Ma sia nel 2015, sia nel 2017, il brasiliano è salito sul gradino più basso del podio. Mica poco. Sull’ultima Champions League vinta dal Barcellona e nell’economia di uno dei tridenti offensivi più spettacolari di sempre (con la Pulce e Suarez) c’era anche la sua firma. Così come sul rilancio delle aspirazioni di grandeur del Paris Saint-Germain, club per il quale ha pur sempre contabilizzato 118 gol in 173 presenze. Poi, ovvio, il concomitante ingaggio di Kylian Mbappé e la ricomparsa di Messi - dalla cui ombra Neymar aveva voluto sottrarsi - ne hanno vieppiù smorzato entusiasmo e impatto.

A incrinare seriamente la reputazione del fantasista, oltre al tracollo atletico, è stato però il trasferimento dorato in Arabia Saudita. Uno dei tanti, d’accordo, ma nel caso dell’immenso talento brasiliano l’assist perfetto per gridare definitivamente allo spreco. Gli ultimi 18 mesi, vissuti più ai tavoli di poker e sui siti di scommesse online, hanno rinfrancato la schiera degli scettici. Il crepuscolo è vicino. Anche se all’orizzonte, oltre lo Stato di San Paolo e il Santos, s’intravede un ultimo appiglio. «So che la Coppa del Mondo 2026 costituirà l’ultima chance e perciò farò tutto il possibile per esserci» ha dichiarato Neymar alla CNN a inizio gennaio. Il brasiliano avrà 34 anni. Come Xhaka, Salah o Caravajal, altri grandi campioni che - corpo permettendo - sognano un addio all’altezza.

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