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Con gli occhi di un bambino

Rubrica a cura di Gianluca Pusterla
Gianluca Pusterla
Gianluca Pusterla
11.11.2019 06:00

Guardare il calcio con gli occhi di un bambino è un esercizio bellissimo. Vi ricordate la vostra prima maglia da gioco? O il vostro primo pallone? Un piccolo pezzetto di cotone, forse contraffatto e made in China, ma che agli occhi di un bambino ha un valore inestimabile e non se ne priverebbe per nulla al mondo. E la prima palla, o pallina, forse non di cuoio ma di plastica. Traiettorie che Holly e Benji in confronto sono dei pivellini. E poi, di conseguenza, il primo vaso rotto. Mannaggia. Il papà che non se la prende più di tanto, in fondo ci è passato pure lui ed è pure orgoglioso di quel destro a giro che ha terminato la sua corsa su quel vaso regalato dalla suocera che in realtà gli faceva pure schifo. La mamma che invece ha meno comprensione e si arrabbia. E poi le prime partite, la squadra, gli amici e il primo gol. Io alla vigilia delle gare, all’asilo, mangiavo addirittura le verdure. Un sacrificio, un pegno che ritenevo necessario. Sarà stata l’influenza di Braccio di Ferro, o la sfiga di segnare una rete la prima volta che feci questo rito. Non mangiavo mai – e nemmeno mangio adesso verdure – ma lì sì. E qualche golletto lo facevo pure. Forse, sarebbe meglio che ricominciassi a ingurgitare qualche ortaggio. Magari continuerò a non segnare, ma almeno scarterei il colesterolo con un tunnel. Il calcio, per un bambino, è puro divertimento. «Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada lì ricomincia la storia del calcio», disse il grande Jorge Luis Borges. Ho parlato l’altro giorno con una mamma che sta seguendo le gesta del suo figliolo (che in realtà di statura è già bello grande) e ha sottolineato quelle che sono le problematiche che, anche il calcio dei più piccoli, affronta. Ogni bimbo, con un pallone tra i piedi, si proietta nei palcoscenici più prestigiosi. La Champions League, il Mondiale o la Serie A. Non tutti, anzi pochissimi, hanno il privilegio di farcela. Il calcio resta però divertimento. Un gioco. E come tale va vissuto, sempre e comunque. Per questo bisogna evitare tutte quelle distrazioni che possono inficiare il percorso. Un percorso che può culminare con il raggiungimento delle vette più alte, ma pure con l’approdo nel calcio regionale. E allora? Cosa cambia? Nulla, se c’è passione e divertimento. Adoro vedere la gente che gioca con il sorriso. Lo ha fatto un certo Ronaldinho per tutta la vita, perché non lo possiamo fare anche noi tutti? Il calcio significa libertà, creatività, significa dare libero corso alla propria ispirazione. Lo disse un uomo abbastanza famoso che avrebbe voluto fare il calciatore ma che alla fine scelse la musica e non sbagliò. Tale Bob Marley, le cui note vengono spesso e volentieri utilizzate per i cori da stadio. Il riassunto di tutto può essere un bel «Don’t worry, be happy». E con un pallone tra i piedi tutto diventa più facile.