Dietro le quinte della «mission 21»

Ogni squadra che si rispetti, solitamente, può contare su elementi che - al contrario di giocatori e allenatore - godono di meno attenzione mediatica. Figure che, pur non essendo costantemente sotto i riflettori, svolgono un lavoro vitale per il funzionamento del gruppo. Uno di questi personaggi, in casa Svizzera U21, è il team manager Amadeo Duarte. In carica da ormai tre anni, lo svizzero-uruguaiano ha seguito in prima persona l’ascesa di Mauro Lustrinelli e della sua squadra: «Circa una settimana dopo che ho cominciato a lavorare per la federazione svizzera (ASF), Mauro è stato nominato allenatore ad interim della selezione U21 - ci confida -. Dunque ho potuto vivere insieme a lui la cavalcata verso gli attuali Europei, fin dalla sua genesi».
Qualcosa in cui identificarsi
Un percorso che, come ama ricordare il tecnico ticinese e come ci conferma lo stesso Duarte, è nato in un ritiro spagnolo (a La Manga) nel novembre del 2018: «Lì ci siamo resi conto che avevamo tra le mani un gruppo eccezionale, anche se nelle categorie precedenti non si era mai qualificato per un grande torneo. È difficile spiegare cosa sia scattato. A volte non è qualcosa di razionale, succede e basta». Un diamante grezzo, insomma, che senza la dovuta lavorazione però, probabilmente non sarebbe arrivato dov’è oggi: «Il nostro è un gruppo composto da elementi di origini e culture diverse, con più nazionalità. Non solo i giocatori, ma anche lo staff, me compreso. Ci serviva dunque qualcosa che ci permettesse di unire tutte queste peculiarità sotto un unico scopo, qualcosa nel quale identificarci a prescindere dalla nostra provenienza. Un soprannome, ad esempio, come i Titani del 2002 allenati da Bernard Challandes. Ci abbiamo pensato a lungo e alla fine, un po’ per caso - durante una discussione - è emerso il termine “mission 21”. Ci siamo detti che eravamo la nazionale U21 e che gli Europei si sarebbero tenuti nel 2021, dunque era il termine giusto. Abbiamo iniziato ad usarlo e anche i giocatori lo hanno apprezzato subito. È diventato il nostro motto e da allora ci ha unito ancor di più».
Una festa a sorpresa
Al di là della scelta dello slogan - oggi divenuto quasi un mantra -, un altro evento ha gettato le basi per l’incredibile campagna di qualificazione che ha portato gli «svizzerini» alla fase finale in Slovenia e Ungheria: «Una festa a sorpresa - ammette Duarte -. Durante il ritiro in vista delle prime sfide diqualificazione. È stata un’idea di Mauro, che ha voluto regalare un momento speciale alla squadra. I giocatori erano convinti di uscire dal ritiro per svolgere un’attività di gruppo, ed invece si sono ritrovati davanti le loro famiglie, con genitori, fratelli, sorelle, compagne, ecc...È stato un evento indimenticabile, che la squadra ha apprezzato moltissimo. Proprio in quell’occasione Lustrinelli ha tenuto un discorso, durante il quale ha sottolineato il valore delle diverse origini e culture di ognuno, ma anche l’importanza di lottare tutti quanti per un obiettivo comune. Scendere in campo con la maglia rossocrociata e un’identità ben precisa, condivisa da tutti, per raggiunge i traguardi prefissati. La squadra ha recepito molto bene il messaggio e credo che quello sia stato un altro passo nella giusta direzione».
Lo spirito resiste
Tutti i successi ottenuti durante le qualificazioni hanno poi fatto il resto, compattando il gruppo in maniera determinante. E oggi questa unione rimane un punto di forza, anche all’interno di un Europeo «blindato» e in bolla, in cui norme di sicurezza e misure protettive la fanno da padrone, limitando tutti quegli aspetti che contribuiscono a rendere un grande evento qualcosa di unico: «Già solo il fatto che la fase ad eliminazione diretta si gioca a mesi di distanza da quella a gironi, rende diversa questa manifestazione. Diventano di fatto due ritiri differenti e non un grande torneo... Ma il nostro spirito di squadra resiste perfettamente, così come ha fatto durante le fasi più dure della pandemia, anche grazie ad una chat sul telefonino. I giocatori sono abituati a questa nuova realtà, perché la vivono quotidianamente anche nei club. Certo, penso che per loro sarebbe bello poter contare sull’apporto dei tifosi, o anche solo delle rispettive famiglie. Avere i propri cari sugli spalti, ti permette di avere una marcia in più. La situazione è però identica per tutti. Vedendo la squadra ogni giorno, posso confermare che i giocatori stanno facendo il possibile per vivere questo torneo come si farebbe in condizioni normali. Una partita a carte o monopoli, del ping pong o dei bei momenti durante le cene. Insomma, il morale rimane alto. Almeno all’interno dell’hotel, dove siamo confinati». E per quanto riguarda la sconfitta con la Croazia? «Anche quella non ha intaccato la squadra. I giocatori sanno di aver commesso degli errori, ma anche di aver disputato una buona partita. In vista del Portogallo, è su questo aspetto positivo che ci focalizziamo».