Evelina Christillin: «Qualche trucco per il calcio femminile»

Torinese, numero uno del comitato promotore delle Olimpiadi del 2006, presidente del Teatro Stabile e presidente della Fondazione del Museo egizio, membro aggiuntivo della UEFA nel Consiglio della FIFA, amica della famiglia Agnelli, mamma e grande tifosa juventina. Evelina Christillin è tante cose. Ma soprattutto è una donna che ha saputo farsi amare in un mondo conservatore e maschile come quello dello sport. Nella sua lunga e vincente carriera dirigenziale, Evelina ha contribuito in larga misura al successo dello sport italiano nel mondo. Con lei, tocchiamo anche l’argomento dei Mondiali femminili di calcio, al via venerdì in Francia.
Signora Christillin, cominciamo facendo subito un passo indietro. A distanza di 13 anni, cosa è rimasto a Torino delle Olimpiadi 2006?
«Qualche sera fa ero a una cena di beneficienza organizzata dalla fondazione di Juan Cuadrado, il giocatore della Juventus. Al mio tavolo erano presenti diversi imprenditori attivi sulla scena torinese. Ebbene, abbiamo affrontato proprio questo argomento. Devo dire che molti concordavano sul fatto che una delle eredità più grandi e durature lasciate da quell’evento di portata mondiale, è stato il cambio di mentalità. Torino ha saputo crescere, aprirsi al mondo. La gente ha mostrato un volto sconosciuto ai più, ha accolto le Olimpiadi con il sorriso, ha contribuito alla buona riuscita dell’evento accogliendo turisti, atleti e addetti ai lavori. È come se si fosse liberata dalle catene dei pregiudizi. Prima del 2006, il capoluogo piemontese era una “one-company town”, legata praticamente solo alla sua azienda storica, la FIAT. Sarebbe stupido dire che i Giochi abbiano soppiantato la fabbrica, ma il fatto di avere avuto una visibilità così grande ha contribuito in larga misura a cambiare la città. Torino si è messa al passo coi tempi, ha cambiato l’organizzazione urbanistica, ha ristrutturato musei, edifici e piazze. Cito un esempio su tutti: Palazzo Madama, chiuso da 40 anni e rimesso a nuovo per l’occasione. A distanza di 13 anni, l’onda lunga della manifestazione a cinque cerchi si fa ancora sentire. Poi è vero, alcune cose non hanno funzionato come avrebbero dovuto, come ad esempio il Villaggio Olimpico del MOI diventato una grande occupazione abusiva. Però nel complesso i Giochi torinesi sono stati un successo, anche dal punto di vista infrastrutturale. Le grandi opere sono rimaste e sono state riconvertite. Pensiamo all’allora Palaolimpico, oggi Pala Alpitur, che ospiterà le ATP Finals di tennis dal 2021. Al di là della diplomazia, Torino si è aggiudicata questo grande evento internazionale grazie a una struttura che arriva direttamente delle Olimpiadi. Ecco, Torino è diventata una città pronta a mettersi in gioco».
Ma oggi, le Olimpiadi, interessano ancora a qualcuno?
«In vent’anni il CIO è come se avesse attraversato un’era geologica. È cambiato tutto: il modo di organizzare un evento simile, la sostenibilità, il discorso legato all’ecologia. Pensateci: qualche anno fa, il Comitato riceveva un numero importante di candidature da tutto il mondo. Oggi non è più così, il CIO fa fatica a trovare città disposte ad accogliere i Giochi. Questi eventi si spostano sempre più ad Oriente, ad esempio. Penso a Pechino, Pyeongchang, Tokyo. Paesi lontani per europei ed americani, anche per una semplice questione commerciale o di diritti televisivi. In Corea, gli europei dovevano assistere alle gare principali a notte fonda. E attenzione: questo cambiamento sta avvenendo pure per altri sport ben più remunerativi a livello di broadcasting e sponsoring. Vi faccio un altro esempio. Sono membro del consiglio della FIFA: lo scorso anno a Mosca abbiamo assegnato i Mondiali 2026 a una mega-candidatura composta da Canada, Stati Uniti e Messico. L’alternativa era solo una: il Marocco. Avere così poche candidature deve far riflettere: la gente, i Paesi, vogliono più sostenibilità, una maggiore attenzione all’ambiente».
A certi svizzeri, invece, piacerebbe ospitare delle Olimpiadi. Ma poi, di mezzo, ci sono le votazioni popolari che hanno impallinato diversi progetti in questo senso. Cosa ne pensa?
«In Italia, con le dovute proporzioni dovute a un sistema democratico diverso, è successa la stessa cosa per Roma 2024. L’amministrazione locale, la sindaca Virginia Raggi assieme alla sua giunta, ha deciso di mettere il veto. Gli svizzeri per natura sono poco inclini all’avventura, dunque è comprensibile che la popolazione dica no a certi grandi eventi. Le iniziative di un singolo comitato promotore spesso fanno fatica a superare lo scoglio del voto popolare».
Lei è una donna che ha saputo farsi largo in un mondo prettamente maschile. Pensiamo allo sport oppure alle istituzioni. Come è riuscita a fare carriera?
«Maschile è il termine giusto, sì. Per favore, non utilizziamo la parola ‘‘maschilista’’ perché è fuorviante. Fatta questa premessa, diciamo che la prima volta che mi sono trovata a essere presidente di un comitato promotore ero molto giovane, ero una studentessa universitaria. A differenza di altri, penso al mondo della politica, io ero libera. Non rischiavo di perdere gradimento in caso di fallimento. Ma il segreto sta nella passione che ci metti. La difficoltà è solo all’inizio: devi sperare che qualcuno pensi a te e faccia il tuo nome. Poi tutto diventa più facile. Bisogna però essere credibile, metterci tanto impegno. Solo con queste qualità nessuno ti dirà più “sei una donna e devi stare zitta”. Anche nel mondo del calcio, maschile per definizione, non ho mai incontrato problemi. Il lavoro e la dedizione pagano sempre».
Domani cominciano i Mondiali femminili in Francia. Il movimento è in crescita, riceve sempre più consensi, e questo fatto aiuta le donne a conquistare spazi anche in altri ambiti. Vero?
«Sì. In Italia il calcio femminile è sempre rimasto indietro rispetto ai Paesi scandinavi. Ma anche noi azzurre siamo riuscite a crescere, tanto da qualificarci alla fase finale del torneo francese. Cosa che i maschi, in Russia, non hanno saputo fare. L’Italia qualificata per i Mondiali ha risvegliato l’interesse dell’opinione pubblica, a tutto vantaggio delle donne nello sport. Non è finita qui: anche a livello di club femminili il movimento ha saputo svilupparsi notevolmente. Un paio di mesi fa a Torino si è giocato Juventus-Fiorentina, partita decisiva per lo scudetto. Ebbene, lo Stadium era stracolmo di gente. Ed è stata una grande festa. Poi è chiaro, il calcio praticato dalle donne non è così spettacolare come quello giocato dagli uomini».
Per quale motivo? Ci sono delle soluzioni?
«La ragione è semplice: i maschi praticano questo sport da 130 anni. C’è una tradizione che le donne non hanno. Piano piano, però, ci arriveremo. Anche grazie a degli stratagemmi tecnici, penso a campi di dimensioni ridotte oppure a tempi di gioco leggermente ridotti. Non ci sarebbe nulla di offensivo. Anzi, il movimento ne gioverebbe, soprattutto a livello di spettacolarità».
Lei è profondamente legata alla famiglia Agnelli ed è una grande tifosa juventina. Domanda secca: preferirebbe vincere cinque scudetti consecutivi e perdere la Champions League oppure vincere la Champions ma non conquistare la Serie A?
«Questa è una brutta domanda (ride, ndr). Io tendo a vedere il bicchiere mezzo pieno, dunque preferirei gli scudetti. Certo che assistere dal vivo alla disfatta contro l’Ajax quest’anno mi ha fatto male. A certe sconfitte non ci si abitua mai, e ve lo dice una che ha visto tantissime finali sul posto. So cosa significa perdere, purtroppo».
Chi per il dopo Massimiliano Allegri? Ha preferenze?
«Se potessi scegliere, vorrei Jürgen Klopp. Ma credo sia inamovibile, soprattutto dopo la vittoria in Champions. Sono molto legata ad Allegri, per me è stato un allenatore eccezionale. Provo tanta gratitudine nei suoi confronti. Conosco bene il Max privato e vi garantisco che è una persona straordinaria».