«Frappart? In campo non c’era una donna, ma un arbitro»

Un arbitro. Donna. In una competizione maschile. Era già successo, d’accordo. Mai, però, a livello di Champions. Il massimo dei massimi. Stéphanie Frappart ha infranto l’ultimo tabù. Dimostrando che sì, fischiare e dirigere non è una questione di sesso. Ma di competenze. Ovvero, chi è bravo merita i palcoscenici migliori. Come Juventus-Dinamo Kiev. Ecco, Stéphanie è brava. Non lo diciamo noi, ma l’osservatore UEFA Francesco Bianchi. «Il suo esordio è andato bene» spiega l’ex fischietto ticinese, chiamato appunto a valutare la collega. «La partita è stata interessante per sessanta minuti. A contare, ad ogni modo, è l’approccio. Il suo è stato brillantissimo, con un cartellino giallo in entrata a Bentancur. Onestamente, non so quanti arbitri avrebbero sanzionato con l’ammonizione un intervento a inizio partita. C’è stato qualche dubbio su un contatto in area fra Bonucci e un avversario, ma l’attaccante ucraino si era attaccato al difensore bianconero: parlerei di trattenuta reciproca. Stéphanie mi è piaciuta, anche come condizione».
Una mosca bianca, o quasi
Tutto molto bello. Ma Stéphanie, trentasei anni, ad oggi è (quasi) una mosca bianca. Sono poche, infatti, le colleghe impegnate nelle competizioni maschili. «Con il boom del calcio femminile, tuttavia, anche le donne si sono avvicinate all’arbitraggio. Con l’avvento del professionismo o del semiprofessionismo, inoltre, la qualità è migliorata sensibilmente. Alla fine, appunto, è un discorso di qualità. Le donne devono superare gli stessi test previsti per gli uomini. E questo rimane un ostacolo». Detto ciò, con il presidente della commissione arbitrale UEFA, Roberto Rosetti, è stata avviata una piccola rivoluzione. «Rosetti ha voluto dare un’impronta nuova, moderna, che io definirei una sorta di ecumenismo dell’arbitraggio. Mi spiego: con lui, anche arbitri di Paesi minori possono ambire a grandi palcoscenici. C’è, alla base, un discorso di ricambio generazionale. Molti fischietti famosi come Orsato e Cakir sono al passo d’addio per raggiunti limiti di età. E qui, va da sé, si inserisce anche il discorso femminile. Con l’ingresso in Champions di Stéphanie è stato abbattuto un muro».
Gli occhi del mondo addosso
Frappart, manco a dirlo, mercoledì sera aveva gli occhi del mondo addosso e non solo quelli dell’osservatore UEFA. «Io, però, in campo non ho visto una donna ma un arbitro» prosegue Bianchi. Ovvero, un direttore di gara con personalità. Capace di prendere delle decisioni forti e coerenti. «Ricordo bene i tempi di Nicole Petignat, primo fischietto donna ad arbitrare una partita internazionale maschile. Quando dirigeva bene, allora i complimenti si sprecavano. Quando invece commetteva un errore veniva subito detto: è una donna. Eccolo, il tabù da abbattere». Pensare che un errore o una svista siano legate al genere, già. L’erede di Nicole, in Svizzera, si chiama Esther Staubli, classe 1979. «Lei ha tutto per sfondare fra i maschi, avendo partecipato a due Mondiali e avendo diretto due finali di Champions League fra le donne. Ha tutto quello che serve per fare l’arbitro, con o senza apostrofo. Attualmente è impegnata nella nostra Challenge League ma, idealmente, dovrebbe esordire in Super. Ha una personalità forte, è brava a rapportarsi con i giocatori tant’è che si sforza perfino di parlare in italiano con i ticinesi, è competente e Rosetti la apprezza. Il problema? I test di cui parlavo prima».
Migliorare ancora
Viene da chiedersi, al netto del discorso fisico, quando la presenza di una donna in una competizione maschile non farà più notizia ma sarà considerata normale dall’universo pallonaro. «Non lo so» chiosa Bianchi. «Stéphanie e Kateryna Monzul, impegnata in Europa League, sono sicuramente due pioniere. Come lo erano Nicole Petignat o Bibiana Steinhaus che ha fischiato in Bundesliga. Le donne ci sono, soltanto in Francia sono 1.200 ad esempio. Non credo e non ho mai creduto alle quote rosa, in alto deve arrivare chi merita indipendentemente se è maschio o femmina. In Svizzera dobbiamo ancora crescere, è chiaro, ma con l’introduzione del semiprofessionismo il percorso di un fischietto si è semplificato molto anche da noi».
I complimenti di Bonucci
L’esordio di Stéphanie, nel frattempo, è stato salutato positivamente dalla stampa italiana e internazionale. E anche i protagonisti in campo, i giocatori, non hanno mancato di sottolineare l’importanza del momento. «I fatti sono cambiamenti» ha scritto il difensore juventino Leonardo Bonucci su Twitter, con tanto di foto assieme all’arbitro. La francese ad ogni modo non è nuova ai complimenti e agli attestati di stima. Nel 2019, a Istanbul, diresse la Supercoppa europea fra Liverpool e Chelsea. Incassando la fiducia dell’allenatore dei Reds, Jürgen Klopp, che affermò: «C’era tanta pressione per questo momento storico ma lei è rimasta calma e ha fatto tutto al meglio. Si merita il massimo rispetto». Già, il rispetto.

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Lei fu la prima donna a fischiare un incontro internazionale fra i maschi. Che effetto le fa vedere questo clamore per Stéphanie Frappart?
«Onestamente? Me ne frego. Io fui seguita da qualcosa come quarantacinque giornalisti, le donne arbitro allora erano una rarità. La musica è cambiata, sì, anche grazie al VAR».
In che senso?
«Quando arbitravo, ero sola. E così, spesso, mi dicevo: quello è rigore o no? E più pensavo e più passava il tempo e più la partita continuava senza che io prendessi una decisione. Con l’avvento del VAR, beh, un arbitro sa di avere sempre una spalla che può decidere per lui in caso di difficoltà. Ecco, la responsabilità non è più solo del fischietto. Non al 100%».
Ai tempi, insomma, un arbitro doveva avere anche parecchia personalità?
«Era meno protetto. Era solo, come spiegavo. Urs Meier, per dire, dovette pagare di tasca sua delle guardie del corpo. E Massimo Busacca fu cacciato dai Mondiali 2010 sebbene la sua decisione, espulsione del portiere sudafricano e rigore per l’Uruguay, fosse giusta. Con il VAR il mondo avrebbe detto bravo Massimo, invece allora venne massacrato per il semplice fatto che il Sudafrica era il Paese ospitante».
Davvero non le scalda il cuore la parabola di Frappart?
«Non è una questione di uomo o donna. Posso dire che una partita di calcio femminile può emozionarmi, certo. Penso a Inghilterra contro Stati Uniti agli ultimi Mondiali. Quanto all’arbitraggio, la rivoluzione non è legata al genere ma alla presenza del VAR. Peccato che i metodi di allenamento degli arbitri non mi sembrino così rivoluzionari».
La tecnologia avanza, gli arbitri no?
«Più o meno. Un arbitro rischia di perdere fiducia per colpa del VAR. Vieni corretto una, due volte e alla fine ti chiedi se non hai sbagliato mestiere».
Concorderà sul fatto che per una donna arrivare in alto, ovvero in Champions, non sia semplice. E che serva più sensibilità.
«VAR e assenza di pubblico al momento stanno favorendo il percorso di Stéphanie. Io, per contro, mi concentrerei su chi dirige le partite amatoriali. Donne e uomini che ricevono insulti, minacce e chissà cosa solo perché in bocca hanno un fischietto. Stéphanie, ai miei occhi, vive in un mondo più ovattato. In campo gode di un certo rispetto anche perché, senza pubblico, i giocatori non provocano. E, ribadisco, con il VAR sa che gli stessi giocatori tenderanno a non buttarsi o a non ingannare l’arbitro».
A suo tempo lei fu discriminata in quanto donna?
«No, anzi, venivo accolta con entusiasmo ovunque. Certo, se arbitravo male tutti a dire che ero una donna. Ma io ero rispettata. Anche dai colleghi. D’altro canto, io non potevo permettermi di bucare un test fisico. Tant’è vero che ai tempi della mia relazione con Urs Meier mi allenavo tre o quattro volte più di lui. Se mai avessi fallito sul piano fisico, mi avrebbero congedata. Del tipo: ciao Nicole, grazie».
Lei ha parlato tanto del VAR: che carriera sarebbe stata la sua con la tecnologia?
«Posso dire che avrei fischiato almeno cento partite a livello internazionale. Le partite, con la tecnologia, sono più facili da gestire».
È vero che la sua percezione del mestiere cambiò nel 2006?
«Sì, perché nonostante non ci fosse ancora il VAR la finale dei Mondiali, e io ero presente al fianco di Collina, fu decisa da un replay video. Fu il quarto uomo a sbirciare, anche se la verità non è mai saltata fuori. Di fatto, la Francia perse per un buco nel regolamento. La questione uomo o donna, per me, non è fondamentale. Me ne frego, ecco. Io sono per un arbitraggio serio. Se Stéphanie ne fa parte, ben venga».
