La storia

Hakan Sükür e quel dribbling a Erdogan

Con Bruno Bottaro, giornalista e grande esperto di calcio turco, ripercorriamo l’incredibile vicenda dell’ex bomber dell’Inter e della nazionale turca, costretto a fare l’autista di Uber negli Stati Uniti perché ripudiato dal Sultano
Hakan Sükür durante lo spareggio per Germania 2006 contro la Svizzera. © Keystone/Murad Sezer
Marcello Pelizzari
15.01.2020 06:00

«Raccontare la vita e la storia di Hakan Sükür non è facile». A dirlo è Bruno Bottaro, giornalista di DAZN e grande esperto di Turchia e calcio turco. Già, non è facile: l’ex bomber del Galatasaray è finito nel mirino di Reçep Erdogan. E così, da uomo simbolo di un Paese è diventato una persona non gradita. Un «terrorista», addirittura.

Proprio così. Hakan Sükür, il dio del pallone, è un terrorista. Lo è, quantomeno, agli occhi di Reçep Erdogan. Il padre e il padrone della Turchia. «Mi ha preso tutto» le parole che l’ex calciatore ha affidato alla «Welt am Sonntag». Tutto, sì. Libertà compresa. La stella, oggi, deve arrangiarsi come può. Vive e lavora negli Stati Uniti, dove fa l’autista per Uber. Sembra una barzelletta. È la realtà.

Alle radici del problema

«Per capire come si è arrivati ad una simile conclusione è bene partire da lontano» dice Bruno Bottaro. Lui la Turchia la conosce benissimo. Parla fluentemente la lingua, sa che il calcio è uno strumento di propaganda fortissimo laggiù. «Bisogna tornare indietro, fra la fine degli anni Novanta e i primi Duemila. Tempi nuovi, si diceva. Di cambiamento. L’AKP, il partito di Erdogan, sfruttò il boom economico per salire al potere. E Hakan non nascose mai le sue simpatie per il citato AKP. La vicinanza a fine carriera si trasformò in militanza, al punto che Sükür divenne forse l’esponente più significativo del partito. Era un esempio positivo e utile alla causa: un nome spendibile per Istanbul, visto che la maggior parte dei membri dell’AKP proveniva dall’Anatolia più profonda».

Parte dell’establishment

E poi? E poi arrivò il 2013, con una prima, forte spaccatura in seno all’AKP. Vi dice nulla il nome di Fethullah Gülen? Sì, l’ex alleato di Erdogan finito pure lui nel mirino del Sultano (con l’accusa di terrorismo). «Gülen fu costretto all’esilio già anni prima, con i laicisti al potere. Non è un fondamentalista, ma resta un imam. Era nell’AKP, sì, ma all’interno aveva creato una vera e propria setta. Un network attivo non soltanto in Turchia ma nel mondo turco: Azerbaigian, Kazakistan ma anche Romania. Gülen era ed è molto potente, aveva e ha dei mezzi finanziari importanti. Ha influenzato generazioni di turchi tramite le sue scuole. Si calcola che un 20% di cittadini sia passato dai suoi istituti. Sükür era, orgogliosamente, parte di questo movimento. Lo stesso il cestista Enes Kanter».

Il 2013, appunto, fu l’anno in cui Gülen uscì dalle grazie di Erdogan. «E questo perché fu Gülen, che aveva agganci un po’ ovunque, a far scattare un’inchiesta per corruzione che coinvolse molti membri del governo. Una mani pulite che spinse Reçep Erdogan ad accentrare il potere e che poi si tradusse nelle purghe del 2016, a margine del tentativo di golpe perpetrato, a detta del Sultano, dai gulenisti».

Purghe che toccarono un po’ tutti. Compresi i vecchi simboli. «Sükür aveva aperto un locale a San Francisco, ma fu costretto a chiuderlo. Pare che gli uomini di Erdogan lo perseguitarono anche lì e lo minacciarono di morte. Ora lui gioca la carta del campione perseguitato, del martire. Ma è una narrazione sbagliata a mio avviso. E questo perché Hakan era parte di un sistema già tendente all’autoritarismo (fu parlamentare dal 2011 al 2013, ndr) e contribuì a creare l’establishment attuale. Poi è stato fatto fuori, certo. E la sua parabola è incredibile, dato che adesso fa l’autista di Uber a Washington. Ha pagato in maniera sproporzionata, non ci piove. Lo stesso dicasi per Kanter, le cui partite di NBA nemmeno vengono trasmesse dalla televisione in Turchia. Il che è assurdo. Ma il Paese, prima o poi, dovrà fare i conti con queste repressioni e con questo clima. E dovrà rendere giustizia ad un campione del calibro di Sükür, prigioniero della lotta fra due uomini. Il ricordo delle sue gesta è ancora vivo, la gente in qualsiasi bar si ricorda delle sue esultanze».

Il calcio e la politica

Impossibile, in un Paese come la Turchia, separare lo sport dalla politica. Tant’è che negli anni Novanta, ad officiare le nozze di Sükür, c’era Erdogan (allora sindaco di Istanbul). «Erdogan intuì che il calcio avrebbe portato voti. Sfruttò l’immagine dei giocatori, quel glamour insomma, per farsi lui stesso portavoce del nuovo che avanza, di una Turchia in pieno boom». Dal boom alle derive il passo è stato breve, anzi brevissimo. «Oggi, fra le varie polemiche, c’è quella del saluto militare che i calciatori della nazionale esibiscono, si dice, con troppa baldanza. Ma quel saluto inizialmente era per le famiglie e per i ragazzi che partivano in servizio. In Turchia, il militare, è infatti obbligatorio. Alla storia che sport e politica sono due cose distinte non crede nessuno, tantomeno in un Paese come quello turco. Anzi, se questa nazionale ha fatto così bene e si è qualificata ad Euro 2020 è anche perché, al suo interno, si è compattata contro UEFA e Unione Europea. Un vero e proprio nemico comune, che ha permesso alle varie anime della squadra di unirsi. Così, anche chi parla tedesco come Hakan Calhanoglu si è sentito parte integrante del progetto. Dispiace, però, che siano le questioni politiche a farla da padrone sui giornali europei. Da un punto di vista sportivo, siamo di fronte ad una nidiata eccezionale. La migliore dai tempi, guarda un po’, di Hakan Sükür. Demiral, infortunato, poi Söyüncü e tutti gli altri. Purtroppo, appunto, si parla dei saluti militari. Ma questa Federazione si è mossa bene. È anche attenta e sensibile al calcio femminile. Piccole, grandi luci fra tante ombre».

L’Europeo del 2020

La Turchia, a giugno, sfiderà l’Italia e la nostra Svizzera agli Europei. «Sarà un avversario tosto» conclude Bottaro. «Per varie ragioni, in primis perché vedo la stessa compattezza del 2002. I turchi chiusero quel Mondiale al terzo posto. E, ad oggi, il gol di Hakan Sükür nella finalina è il più veloce nella storia della Coppa. Tanto per riaffermare la centralità dell’ex Galatasaray nella storia della Turchia calcistica. Il tecnico dell’epoca, Senol Günes, è lo stesso di oggi. Ma rispetto a quei tempi ha costruito di più: allora si ritrovò molti talenti cresciuti in Austria, Germania. In Europa. Ora ha modellato una squadra, salvo delle rare eccezioni, fatta in casa. Con giovani cresciuti nei vivai del Paese. È rimasto lo spirito, un po’ retorico ma pur sempre credibile. Ed è rimasta questa voglia di vincere contro tutto e tutti, ecco perché la politica rimarrà sempre legata allo sport in Turchia».

Un legame logico, «visto che il 75% della popolazione segue attivamente il calcio». Baku, poi, dove i ragazzi di Günes giocheranno due partite fra cui quella con la Svizzera, «è come casa». E chissà cosa farà quel giorno Sükür, l’autista di Uber ripudiato da Erdogan.