Heysel, la tragedia eterna

Non è vero che il tempo cancella tutto. Perché il nome «Heysel» fa ancora venire i brividi, quarant’anni esatti dopo quel maledetto 29 maggio 1985. Doveva essere una notte di festa e invece la finale di Coppa dei Campioni Juventus-Liverpool, in programma a Bruxelles, si trasformò in una tragedia, con un bilancio di 39 morti (32 italiani, 4 belgi, 2 francesi e un nordirlandese) e più di 600 feriti. Tutta colpa della furia di centinaia di «hooligans», gli scatenati teppisti inglesi gonfi di alcool, che prima dell’inizio della partita si scagliarono senza motivo contro i tifosi italiani presenti nella “curva Z” di un impianto fatiscente costruito nel 1930 e ormai insicuro, che infatti poi venne abbattuto e ricostruito con il nome di «Re Baldovino».
Sette minuti di follia
Crollati in fretta un muretto e una rete metallica troppo sottile, che in teoria separavano le opposte tifoserie, l’effetto domino provocò drammatiche conseguenze con corpi morti schiacciati uno addosso all’altro, o uccisi dai coltelli. Complici l’inefficienza delle autorità belghe e dell’Uefa, furono sufficienti 7 minuti di follia per far calare il gelo della morte su un settore dello stadio, mentre le squadre erano ancora negli spogliatoi. E in un altro secolo, è proprio il caso di dirlo, senza telefonini e notizie in tempo reale come oggi, la partita incominciò ugualmente, anche se con un’ora e ventisei minuti di ritardo rispetto all’orario previsto delle 20.15. Eppure che qualcosa di grave fosse successo lo si era già capito prima del calcio d’inizio, quando il capitano della Juventus, Gaetano Scirea, su invito delle autorità, lesse questo breve messaggio ai tifosi italiani nella curva opposta a quella degli incidenti: «Rimanete calmi, giocheremo per voi».
Disputata soltanto per motivi di ordine pubblico, come poi si giustificò l’allora presidente dell’Uefa, Georges, la partita in realtà sembrò vera, grazie anche alle grandi parate dello juventino Tacconi. E dopo un rigore concesso dall’arbitro svizzero Daina, per un fallo di Gillespie su Boniek commesso però fuori area, Platini dal dischetto firmò il definitivo 1-0. Per la cronaca, anche se macchiata dal sangue, Trapattoni aveva mandato in campo: Tacconi; Favero, Cabrini; Bonini, Brio, Scirea; Briaschi, Tardelli, Rossi, Platini, Boniek. Nella mente, però, rimangono soprattutto le storie tristi di quei trentanove morti, dal più giovane Andrea Casula di appena 10 anni, alla più grande Barbara Lusci di 58. Con un’altra storia, per fortuna a lieto fine, che ha rischiato di arrotondare a quaranta il numero delle vittime.
La storia di Marco
Infatti, nel tragico elenco diramato dalle autorità belghe, inizialmente figurava anche il nome di Marco Manfredi, svenuto e considerato cadavere. In realtà questo tifoso juventino, poi sparito misteriosamente dall’ospedale dove era stato ricoverato, nove giorni più tardi venne ritrovato da un suo amico davanti all’ospedale, “Molinette”, a Torino, malgrado la barba lunga, i capelli arruffati e i vestiti sporchi. Alla domanda «Dove eri finito?», Manfredi rispose: «Giravo il mondo». E quando gli chiesero se era allo stadio disse: «Non lo so», in evidente stato confusionale, diventando così «lo smemorato dell’Heysel». La moglie Rosita e la mamma Carla lo riconobbero subito e lui riconobbe loro, ma il calcio per lui non esisteva più perché di quella notte non ricordava più nulla.
Ricordano, invece, i protagonisti di allora, costretti a riaprire una vecchia ferita. Come Cabrini, secondo il quale «Era giusto non giocare, ma siamo stati obbligati». Come Tardelli, che ammette: «Un errore giocare e un errore esultare». E come Brio, che aggiunge: «La verità ci fu raccontata soltanto alla fine, perché prima della partita Boniperti venne negli spogliatoi e ci disse che avremmo dovuto giocare per onorare un nostro tifoso morto nei tafferugli. La verità è che in quella situazione saremmo stati criticati in ogni caso».
Le squadre inglesi furono escluse per cinque stagioni dalle coppe europee, con una di squalifica in più per il Liverpool, tornato a giocare oltremanica soltanto nel 1991 quando Platini aveva già smesso da quattro anni, proprio perché quella sera all’Heysel si era spenta dentro di lui la passione per il calcio. E non a caso, da allora non ha mai più voluto riparlare del suo rigore in particolare e di quanto era successo prima in generale. Perché è vero che nell’albo d’oro del calcio quella rimane la prima coppa dei Campioni vinta dalla Juventus. Ma soprattutto, ricordando quei 39 tifosi che non la festeggiarono, rimane la triste verità coraggiosamente riassunta, due giorni dopo, nel titolo dell’editoriale di Candido Cannavò sulla prima pagina de “La Gazzetta dello Sport”: «Juve, nascondi la tua coppa». Anche se nessuno potrà mai nascondere quei ricordi, come testimonia la targa in memoria dei 39 morti nel nuovo stadio “Re Baldovino”. E così, quarant’anni dopo, il nome «Heysel» fa ancora venire i brividi.