Calcio

«Ho vinto poco, è vero, ma ho l’affetto dei tifosi»

Giancarlo Antognoni, campione del mondo con l'Italia di Bearzot nel 1982 e bandiera della Fiorentina, con cui ha giocato quindici anni, ripassa la sua carriera e racconta il suo doppio legame con la Svizzera
Giancarlo Antognoni, bandiera della Fiorentina, a fine carriera disputò anche 51 partite con il Losanna. © Reuters/Maurizio Borsari
Alberto Cerruti
30.03.2024 06:00

Lunedì, a Pasquetta, compirà 70 anni, e non è un pesce d’aprile, anche se Giancarlo Antognoni, con il suo bel ciuffo di capelli e il consueto spirito, non li dimostra affatto. Per la speciale occasione, lo abbiamo intervistato.

Centrocampista campione del mondo con l’Italia di Enzo Bearzot, nel 1982, bandiera della Fiorentina con cui ha giocato quindici anni, amato in campo e fuori per il suo stile e ancora oggi chiamato «capitano» dai tifosi viola, Antognoni conserva con gratitudine anche un doppio legame con la Svizzera. A Losanna, infatti, nel 1989 ha chiuso la sua straordinaria carriera ed è diventato padre per la seconda volta, come racconta in questa intervista in cui ripassa i suoi primi meravigliosi anni Settanta.

Antognoni, che effetto le fa arrivare a quota 70?

«Mi preparo a giocare il secondo tempo di un’altra partita, ma ancora con lo spirito giovanile del primo e la soddisfazione di avere sempre fatto tutte le mie scelte in buona fede, comprese quelle sbagliate».

Nel suo bilancio ci sono più rimpianti o soddisfazioni?

«Il rimpianto è rappresentato dal fatto di avere vinto poco, ma è ampiamente compensato dall’affetto dei tifosi e della gente comune, e questa per me è la gioia più grande che provo ogni giorno a Firenze, dove ho trascorso gran parte della mia carriera e dove sono rimasto a vivere».

Le dispiace di più non avere vinto lo scudetto nel 1982 o avere saltato per infortunio la finale del Mondiale?

«In poche settimane ho provato due grandi delusioni, ma il Mondiale comunque l’ho vinto, mentre l’unico scudetto che stavo per vincere con la Fiorentina è sfumato proprio all’ultima giornata e quindi è una ferita che brucia di più».

Qual è stato, invece, il giorno più bello?

«Ne scelgo due: l’esordio nella Fiorentina con Liedholm e quello in Nazionale con Bernardini, due grandissimi allenatori».

E il gol più bello?

«Sarebbe stato quello contro il Brasile al Mondiale in Spagna, che però mi è stato ingiustamente annullato e quindi dico quel colpo di testa in tuffo in un 3-3 contro la Juventus a Firenze, perché un gol così non l’ho più rifatto».

Quali sono i compagni che ricorda più volentieri?

«Roggi, Guerini e Caso nella Fiorentina, Scirea, Graziani e Tardelli nella Nazionale».

E l’avversario che l’ha fatta soffrire di più?

«Oriali, perché giocava a uomo e non mi mollava mai».

Come mai dopo la Fiorentina è passato al Losanna?

«Avevo 33 anni e qualche problema fisico. La Fiorentina della famiglia Pontello stava lanciando Roberto Baggio e io avevo capito che per me non c’era più spazio. Potevo rimanere in Italia, ma l’avvocato Mario Morganti mi disse che lo svizzero Umberto Barberis voleva parlarmi. Lui allenava il Losanna e si ricordava di avermi affrontato come avversario in un paio di partite tra l’Italia e la Svizzera. Accettai volentieri la sua offerta e ancora oggi lo ringrazio, perché Losanna in particolare e la Svizzera in generale occupano un posto importante nel mio cuore e in quello della mia famiglia».

Qual è il ricordo migliore che conserva di quella esperienza?

«A livello umano la nascita di mia figlia Rubinia, proprio a Losanna nel 1987. Mi piaceva il nome della bimba di Panatta che si chiamava Rubina e allora alla nostra abbiamo aggiunto una “i”, per darle il nome di un fiore. È arrivata sei anni dopo Alessandro, nato in Italia. Sono fortunato perché con loro e mia moglie Rita ho una splendida famiglia e parliamo spesso di quei due bellissimi anni a Losanna».

In due stagioni a Losanna ha giocato 51 partite, segnando 7 gol: a livello calcistico che ricordi ha?

«Intanto la splendida accoglienza dei tifosi svizzeri che mi hanno sempre fatto sentire a casa, e poi l’affetto degli italiani. Ricordo che al mio esordio ne arrivarono mille da Firenze. Il primo anno abbiamo lottato per i playoff, il secondo per i playout, ma al di là dei risultati quell’esperienza mi ha aiutato a chiudere nel modo migliore con il calcio, giocando tra l’altro contro grandi avversari che conoscevo bene come Tardelli che era nel San Gallo e Rummenigge nel Servette».

Ha mantenuto contatti con il suo vecchio club?

«Certo, e infatti qualche mese fa sono tornato a Losanna per un evento organizzato dalla società. Mi avevano invitato anche per l’esordio di Pafundi, ma purtroppo non ho potuto andare».

Al di là del calcio, che cosa le è piaciuto della Svizzera?

«Cito sempre un episodio che mi colpì moltissimo. Una mattina, quando mi sono alzato, davanti a casa nostra in collina c’era un metro di neve. Pensavo di non potere uscire per andare all’allenamento, ma alle 9 era già tutto pulito. Ecco, questa è la Svizzera, un esempio di efficienza e organizzazione».

Segue ancora il Losanna?

«Non vedo le partite, ma mi informo sempre sui risultati. Sono contento che Pafundi abbia segnato il primo gol, spero di una lunga serie, e mi fa piacere che il Losanna abbia battuto la capolista Young Boys prima della sosta, davvero un grande risultato».

Che cosa pensa del calcio svizzero?

«Quando giocavo io, faticavamo sempre contro la Svizzera. Non dimentico che nella nostra prima partita dopo il Mondiale vinto in Spagna proprio la Svizzera ci ha battuto 1-0 a Roma, rovinandoci la festa. Da allora è cresciuta molto. Basta pensare ai tanti giocatori svizzeri che sono adesso in Italia e una volta non c’erano. Sommer è il numero uno in tutti i sensi, un portiere straordinario che mi ricorda Peruzzi, ma oltre a lui ci sono Rodriguez nel Torino, Okafor nel Milan, Freuler e Aebischer nel Bologna e proprio nel Bologna mi ha sorpreso Ndoye, che non a caso gioca già in Nazionale. Il livello del calcio in Svizzera è cresciuto, e lo dimostra il fatto che dal Basilea sono arrivati in Italia prima Cabral e poi Calafiori».

Che cosa può fare la Svizzera all’Europeo?

«Ha avuto la sfortuna di trovarsi nel girone con la Germania, padrona di casa, ma può qualificarsi come seconda perché ha appena confermato la sua solidità vincendo sul campo sempre difficile dell’Irlanda. E quindi, ammesso che si qualifichi anche l’Italia, mi auguro che poi non trovi la Svizzera perché sarebbe l’avversario peggiore visto che ci ha già fatto un dispetto escludendoci dall’ultimo Mondiale».

Per concludere, che cosa chiede come regalo per i prossimi 70 anni?

«Prima di tutto molta salute per me e la mia splendida famiglia e poi magari un posto nel mondo del calcio, visto che in fondo qualche anno ho giocato, tanto in Italia e un pochino anche in Svizzera».