Calcio

Ignacio Aliseda: «L’affetto di mamma Lorena, la chiave per conquistare Lugano»

Il 21.enne argentino, il cui valore di mercato è stimato attorno ai 3,5 milioni di euro, è il primo giocatore a muoversi sull’asse Chicago-Lugano - In Ticino proverà a rilanciare una carriera parzialmente arenatasi negli Stati Uniti
Il nativo di Buenos Aires ha bagnato il suo esordio in bianconero, sabato scorso nell’amichevole contro il Vaduz, con la rete che ha sancito il definitivo 3-0. ©CdT/Gabriele Putzu
Nicola Martinetti
19.01.2022 06:00

Buenos Aires è il cuore pulsante del «fútbol» argentino. Più che uno sport, da quelle parti, il calcio è quasi religione. Che, nella capitale, solitamente si declina in due fedi polarizzanti: quella «azul y oro» per il Boca Juniors, e quella «rojo y blanca» per il River Plate. Incurante del clamore generato da questa storica rivalità - una manciata di chilometri più a Sud-Est, sempre nella grande area metropolitana della Regina del Plata - c’è però un club che negli ultimi anni si è inserito con prepotenza ai vertici della gerarchia nazionale. Si tratta del Defensa y Justicia di Florencio Varela, una realtà di minor prestigio, ma in forte ascesa. «La società sta vivendo un’epoca d’oro - spiega Ignacio Aliseda, nuova ala del FC Lugano, il cui viaggio verso il Ticino è partito proprio da lì -. Ha recentemente vinto Copa e Recopa Sudamericana (gli equivalenti di Europa League e Supercoppa UEFA; n.d.r.), oltre ad aver collezionato due secondi posti nel massimo campionato argentino. Il “Defe” sta insomma crescendo rapidamente, guadagnando importanza e rispetto grazie alla sua mentalità vincente. Lo stesso, per certi versi, proverò a fare io qui a Lugano, in questo nuovo capitolo della mia carriera».

Lo zampino di Crespo

Quella bianconera, per «Nacho», rappresenta la terza tappa di un percorso iniziato in patria sotto i migliori auspici. Sempre inserito nelle nazionali giovanili dai 15 anni in poi, il talentino argentino si è ben presto affermato come uno dei prospetti più intriganti dell’intero Paese. Tanto che, per strapparlo al Defensa, nel 2020 i Chicago Fire di Joe Mansueto dovettero sborsare tre milioni di euro. A sbloccare definitivamente la trattativa non fu però la cospicua offerta, bensì un curioso retroscena: «A convincermi fu nientemeno che Hernán Crespo, che mi spinse a lanciarmi in quella nuova avventura - ci racconta Aliseda -. Nel periodo in cui il club statunitense bussò alla mia porta, “Valdanito” divenne infatti il nuovo tecnico del “Defe”. Fu mio allenatore soltanto per una manciata di giorni, ma il suo carisma e le sue parole mi persuasero ad accettare la proposta. Lui avrebbe voluto tenermi, ma al tempo stesso - dopo alcuni scambi di opinione - mi mise la famosa pulce nell’orecchio. Realizzai che mi sentivo ormai pronto per voltare pagina. Volevo crescere, come calciatore e come uomo».

Nostalgia canaglia

L’impatto con la MLS, novemila chilometri più a Nord, si è tuttavia rilevato diverso rispetto a quanto auspicato. Al netto di qualche promettente sprazzo - come il premio di miglior giocatore della settimana, ricevuto nel luglio del 2021 -, i due anni trascorsi in Nord America possono di fatto essere etichettati come deludenti. Il motivo, non strettamente legato al calcio, ce lo racconta il diretto interessato: «Il primo anno negli USA è stato duro. Anzi, durissimo. Ho sofferto molto la nostalgia di casa e la mancanza della mia famiglia, acuita dalla pandemia e le sue restrizioni. Non poter vedere mia mamma Lorena sugli spalti, per mesi, mi ha fatto male. Ho un bellissimo rapporto con lei, che ci ha dato tutto quando non avevamo niente. Il secondo anno ho sofferto meno per questo aspetto, ma complici alcuni infortuni e un rapporto non particolarmente felice con il tecnico elvetico Raphaël Wicky, non sono comunque riuscito a rendere come avrei voluto. Non ritengo la mia esperienza a Chicago un errore, perché ho appreso delle importanti lezioni. Quando però si è presentata l’occasione di cambiare aria, l’ho colta al volo».

Supporto a 360 gradi

La domanda, giunti a questo punto, sorge però spontanea: in Europa, ancora più lontano da casa - e quindi con presupposti peggiori -, «Nacho» potrà davvero ritrovare le migliori sensazioni? Il nuovo numero 31 dei bianconeri ne è convinto, e per una ragione in particolare: «Qui potrò finalmente tornare a contare sull’affetto e la vicinanza della mia famiglia, mamma Lorena su tutti. I miei cari arriveranno in Ticino il 26 gennaio e rimarranno qui per tre mesi, supportandomi nella fase più calda del girone di ritorno. Forte del loro sostegno e della loro presenza, punto a ritagliarmi un ruolo importante qui a Lugano». A fungere da appoggio per il 21.enne, in questi primi giorni in Ticino, vi è invece capitan Sabbatini: «Mi sta aiutando tanto. Io parlo solo spagnolo e un pizzico di inglese, dunque potermi esprimere con lui nella mia lingua madre è sicuramente confortevole. Anche altri nuovi compagni di squadra - come Custodio, Facchinetti, Baumann e Bottani - si sono già fatti avanti, dimostrando peraltro una buona padronanza dello spagnolo. L’italiano, rispetto all’inglese, è comunque molto più simile allo spagnolo. Sono dunque certo che in pochi mesi riuscirò a comunicare meglio di quanto sia stato in grado di fare nei miei due anni negli Stati Uniti».

Nessuna pressione, solo fame

La speranza dei tifosi bianconeri, però, è che Aliseda riesca ad esprimersi al meglio innanzitutto in campo. Anche perché, sulle sue spalle, poggia una responsabilità non indifferente. L’argentino è infatti il primo giocatore a muoversi sull’asse Chicago-Lugano, i due club posseduti da Joe Mansueto, e nella storia del club bianconero mai nessuno è approdato a Cornaredo con un valore di mercato così alto. Quello di «Nacho», stando a Transfermarkt, ad oggi si attesta infatti sui 3,5 milioni di euro ed è di gran lunga il più elevato tra le fila dei sottocenerini: «Sono aspetti che però non mi toccano - afferma il diretto interessato -. Non avverto alcun tipo di pressione. Sono qui perché credo di poter dare una mano al club. In che ruolo? Dal centrocampo in su posso ricoprirli tutti, sia a destra sia a sinistra. Mi piace attaccare e puntare l’uomo nell’uno contro uno, non mi tiro mai indietro da un dribbling. D’altronde il mio fisico, minuto e col baricentro basso, si adatta perfettamente a questa mia peculiarità (ride; n.d.r.). Sono contento di aver subito trovato la via del gol contro il Vaduz, era importante. Ma il mio lavoro, qui, è appena cominciato». Buena suerte, allora.