Il domani è parigino e ha il sorriso dei giovani

Cinque gol in una finale di Champions League non si vedono spesso. Cinque gol senza risposta, poi, quasi mai. Eppure, sabato sera a Monaco, il Paris Saint-Germain ha cancellato decenni di attesa e umiliazioni europee schiantando l’Inter con un clamoroso 5-0. Una partita senza storia, dominata dai francesi dal primo all’ultimo minuto. I nerazzurri, mai pericolosi, mai lucidi, hanno alzato bandiera bianca molto prima del triplice fischio. Parigi ha festeggiato il suo primo trionfo in Champions, Milano è rimasta a guardare, muta, davanti a un’occasione svanita. Ma oltre al risultato, questa finale ha raccontato soprattutto due progetti, due visioni, due futuri diametralmente opposti.
Neanche ventenni
Il PSG, che per anni aveva inseguito la Champions a colpi di milioni e superstar, ha vinto quando ha deciso di cambiare tutto. Via le individualità ingombranti, dentro i giovani, la coralità, la costruzione. Sotto la guida di Luis Enrique, il club parigino ha scelto di affidarsi a un’idea più giovanile e profonda, basata su un’identità collettiva. Il volto di questa nuova era, per dire, ha il sorriso timido e il destro educato di Senny Mayulu, classe 2006, parigino di Le Blanc-Mesnil. 19.enne che ha messo la sua firma sulla vittoria dei francesi con il gol del definitivo 5-0. Entrato nei minuti finali, è stato capace di sfruttare l’unica occasione avuta con freddezza da veterano. Un tiro secco, basso, imparabile. Per lui non era solo il primo gol in Champions, ma anche il primo in assoluto con la maglia del PSG, nel giorno più importante della storia del club.
Un futuro radioso
Ma Mayulu non è un’eccezione: è il simbolo. La rosa parigina è piena di ragazzi come lui. Come Désiré Doué, altro fenomeno - domani vent’anni -, finito sul tabellino con una doppietta personale. «Abbiamo molti giocatori giovani che devono ancora migliorare, io sono uno di loro. Lavoreremo, rimanendo umili, per andare a vincere i trofei più importanti», le parole del nativo di Angers a fine match. Dichiarazioni ragionate, mature. E poi c’è Zaïre-Emery, Lucas Beraldo, Khvicha Kvaratskhelia. È la mentalità di Enrique, questa, che sabato ha portato in campo il più giovane undici titolare in una finale di Champions League del XXI secolo, con una media di 25 anni e 96 giorni. Sorridono i francesi e il tecnico spagnolo, che dopo la tragedia personale vissuta nel 2019 con la perdita della figlia Xana, ha costruito un collettivo che riflette la sua nuova filosofia di vita: vietato arrendersi e obbligatorio sognare. Non c’è posto per l’ego individuale, insomma, nel PSG del 55.enne iberico. Emblematica, in questo senso, la partenza di Kylan Mbappé nel 2024.
Le sirene dall’estero
Dall’altra parte, l’Inter ha visto sgretolarsi sotto gli occhi il castello costruito in due stagioni convincenti con il ko più duro nella storia centenaria del club nerazzurro. Il 2024-25 doveva essere l’anno del salto definitivo, e invece è stato quello dello «zero tituli»: niente scudetto, niente Coppa Italia, e una finale europea trasformata in disfatta. L’Inter è arrivata a Monaco stanca, sgonfia, senza idee. Simone Inzaghi ha confermato ancora una volta, quest’anno, la sua difficoltà nel gestire le partite che contano, e adesso il suo futuro è un’incognita. Il contratto lo lega ai nerazzurri fino al 2026, ma le sirene dall’estero suonano forti, e la società non ha ancora preso una decisione in merito. A chiamare il 49.enne di Piacenza, in primis, ci sarebbe l’Arabia Saudita. Poi, forse, pure la Premier League. Ma prima c’è il Mondiale per Club in America, al quale Inzaghi non è nemmeno certo di partecipare. «Non so rispondere a questa domanda - ha commentato nella pancia dell’Allianz Arena -. Vedremo nei prossimi giorni con la società. Adesso, dopo una finale, la seconda in tre anni persa, c’è troppa amarezza per pensare».
Tanti nomi al capolinea
Sul piano tecnico, poi, l’Inter è di fronte a un bivio. Tanti protagonisti sono arrivati al capolinea: i 37 anni di Francesco Acerbi, i 36 di Henrikh Mkhitaryan, i 36 del rossocrociato Yann Sommer, i 31 di Hakan Çalhanoğlu e via-via tutti a scalare, per una media età che sabato toccava i 30 anni e 4 mesi. Una generazione che ha dato, ma che oggi non offre più garanzie. La società, ora, dovrà prendere decisioni rapide e coraggiose. Il nuovo corso, stando alle indiscrezioni, sarà basato su profili giovani e meno costosi. Ma rifondare una squadra con aspettative da vertice non è mai semplice. Il progetto dovrà essere ricostruito dalle fondamenta, con un allenatore da confermare (o sostituire), una rosa da svecchiare e un’identità da ritrovare. In panchina, data l’umiliazione subita, sarà altamente improbabile immaginare ancora Simone Inzaghi.
La notte di Monaco, insomma, ha chiuso una stagione, aprendo al contempo lo sguardo al futuro che per le due finaliste appare agli antipodi. All’orizzonte, ora, si staglia il Mondiale per Club. Da lì potrebbero arrivare le prime riposte e occasioni. Per il PSG l’occasione di riconfermarsi capace di stare in alto. Per l’Inter l’occasione di capire chi vuole diventare.