L'intervista

«Il nostro sport è in crescita, accantoniamo la negatività»

Chiacchierata a tutto campo con la presidente del calcio femminile elvetico dell’ASF, nonché project manager dell'Euro2025 - al via domani - Marion Daube
Marion Daube ha preso il testimone da Tatjana Hänni il 1. gennaio del 2023. © Keystone/Urs Flueeler
Maddalena Buila
01.07.2025 06:00

Chiacchierata a tutto campo con la presidente del calcio femminile elvetico dell’ASF, nonché project manager dell'Euro2025 - al via domani - Marion Daube.

Marion, come sta?
«Sto bene. Un po’ stanca in realtà. Organizzare un torneo di questa portata non è semplice. Ma ora ci siamo e siamo pronti per dare il la alla competizione».

Qualche mese fa abbiamo fatto una lunga chiacchierata con Tatjana Hänni. In quell’occasione ci ha raccontato dell’enorme emozione che ha provato quando la Svizzera è stata scelta dalla UEFA per ospitare il torneo. Lei come ha vissuto quel momento? E che cosa è successo da allora fino ad oggi?
«Anche per me la gioia è stata immensa. D’altronde nessuno si aspettava che la scelta ricadesse su di noi. La più accreditata era la Svezia. Da qui la nostra grande emozione, non credevamo davvero di farcela. Da quel momento in poi è iniziato il lavoro duro. Sono cominciate le prese di contatto con le varie organizzazioni coinvolte, con la Federazione, i cantoni, i comuni e gli sponsor. In ballo ci sono moltissimi soldi, dunque tutto andava gestito con cautela e precisione. Le cose da fare sono state davvero molte e i due ruoli che ricopro spesso mi hanno portato via tante energie. Per fortuna non ero sola. Il nostro team è stato estremamente performante».

La sua è una vita particolarmente intensa. Dove va e cosa fa quando ha a disposizione un giorno libero?
«Al momento le ore di svago sono incredibilmente rare (sorride, ndr). Quando capitano, mi piace staccare la spina con una passeggiata insieme il mio cagnolino, un bulldog francese».

Qual è, secondo lei, l’aspetto più problematico del calcio femminile oggi?
«Devo sceglierne solo uno? Se così fosse sarebbe un’impresa alquanto ardua (ride, ndr). Dobbiamo crescere ancora tanto, ma ci servono figure influenti, attenzione mediatica e visibilità. Questi aspetti portano risorse finanziarie importanti che possono essere utilizzate per migliorare il movimento dalle sue fondamenta. Partendo dai piccoli club e arrivando poi ai salari equi per le calciatrici. Non parlo di uguaglianza tra uomo e donna. Mi riferisco a condizioni decenti per le ragazze e una lega professionistica, così che non debbano lasciare la Svizzera. Qualcosa però si sta muovendo nel grande ingranaggio calcistico. Se davvero riuscissimo a raddoppiare il numero di giocatrici nelle società, come pare stia accadendo, potremmo far partire una spirale positiva che porti al raggiungimento dei traguardi tanto agognati. Servono anche più persone. Come già detto, il mio team lavora in modo eccellente, ma per raggiungere determinati obiettivi sarà necessario ampliare la squadra».

Tra le ragazze di Pia Sundhage aleggia però un certo scetticismo quando si parla di alzare l’asticella in Svizzera. Lei cosa ne pensa?
«Comprendo il loro punto di vista. Non è però immaginabile che da un giorno all’altro le cose cambino. Serve un grande supporto finanziario per fare in modo che lo scenario venga a poco a poco rivoluzionato. Noi comunque ci stiamo muovendo. Stiamo analizzando diversi dossier e al contempo stiamo investendo per ampliare lo sponsoring per il campionato. Così facendo il potenziale cresce, i club ricevano più soldi, le regioni possono migliorare le infrastrutture e tutto il meccanismo si avvia».

La sfida più grande che ha dovuto affrontare da quando la candidatura svizzera è stata accolta?
«La scelta degli stadi. Siamo un Paese piccolo, le scelte non erano tantissime. Anche i campi d’allenamento utilizzabili non erano infiniti. A questo si aggiungeva la difficoltà nel trovare degli hotel prossimi ad essi, per facilitare gli spostamenti delle nazionali. Le discussioni sono state molte, ma alla fine abbiamo trovato una soluzione ideale. Il secondo grande problema sono stati i soldi. I soldi sono sempre un cruccio (ride, ndr)».

A proposito di stadi. Se l’AIL Arena di Lugano fosse già ultimata, anche il Ticino sarebbe stato protagonista di Euro2025?
«Assolutamente! Abbiamo infatti parlato con la Città ma purtroppo ci era stato comunicato che lo stadio non sarebbe stato terminato in tempo. Eravamo molto dispiaciuti. Volevamo davvero portare l’Euro in ogni angolo del Paese. Ecco perché abbiamo organizzato il Medical Symposium UEFA, ovvero il congresso medico legato alla rassegna continentale, in Ticino dal 4 al 6 febbraio scorso».

Un sostantivo per definire il torneo svizzero?
«La rassegna sarà un catalizzatore. Avremo l’attenzione di mezzo mondo e questo farà davvero bene al movimento. Il vero lavoro inizierà però al termine dell’Europeo. Dovremo essere davvero bravi a tenere alta l’attenzione sul nostro sport. Ecco perché il nostro slogan per il post-manifestazione è “Here to stay”, ovvero siamo qui per restare. Non torneremo nell’ombra».

Nei rapporti tra Federazione, cantoni e comuni è sempre filato tutto liscio?
«Assolutamente. Ovviamente abbiamo preparato degli accordi e dei documenti per tutte le parti in causa, ma non contenevano tutti i dettagli. C’è dunque anche stata una parte di fiducia da parte di tutti gli attori in causa. Questo ci ha fatto molto piacere. Il supporto nei confronti del progetto non è mai mancato, da nessuno e in alcun momento della sua realizzazione».

Come valuta invece l’importanza mediatica che il torneo sta ricevendo e riceverà?
«Sono soddisfatta e al contempo un po’ dispiaciuta. I media, ma soprattutto il pubblico online, sembra sempre alla ricerca di qualcosa che non va per criticare il calcio femminile. So che una notizia negativa ha molta più eco che una positiva, ma questo non è un atteggiamento costruttivo. Se rivolgiamo lo sguardo su nazioni più grandi della nostra, notiamo come l’interesse di tutti è spingere la crescita di questo sport. Alle nostre latitudini a volte pare che qualcuno voglia remare contro. Ed è peccato».

Il suo curriculum vitae è estremamente lungo e dettagliato. Cosa ci può dire che non si può trovare lì? Il suo idolo sportivo in gioventù magari?
«Andre Agassi e Steffi Graf. Ma non ditelo troppo in giro dato che stiamo parlando di tennis e non di calcio (altra risata, ndr)».

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