Il personaggio

Il ribelle irlandese che si trasformò in «diavolo»

Trent’anni fa iniziò la carriera di Roy Keane che contribuì negli anni Novanta ai trionfi del Manchester United di Alex Ferguson - Piedi buoni, ma temperamento focoso: «Il calcio di oggi? Troppo ‘soffice’»
Con la maglia del Manchester, di cui è stato anche capitano. (Foto Internet)
Alan Del Don
27.02.2019 18:34

Trent’anni fa iniziò la carriera del “nuovo” Bobby Charlton, come venne definito. Decisamente più rude, aggiungiamo noi. Roy Keane il duro, il ribelle, l’ex pugile, persino arrestato per una scazzottata fuori da un night. Roy Keane l’irlandese. Il guerriero. Che ha vinto tutto con il Manchester United diventando anche il capitano. Una volta appesi gli scarpini al chiodo, nel 2006, si è lanciato nella carriera di allenatore alternata a quella di opinionista televisivo quando si trovava senza una panchina. “Conosco bene i miei punti di forza e quelli deboli. Non sono uno che scende in dribbling e insacca da 20 metri, come mi piacerebbe. Capita che mi porti in avanti, se la partita è aperta, e ci provi. Ma il mio lavoro è lanciare le punte: un lavoro senza fronzoli”, ha dichiarato alla stampa quando era ancora temuto dagli avversari. Senza fronzoli come è stata la sua vita sportiva. Cominciata, come detto, nel 1989 nelle riserve del Cobh Ramblers, squadra nei pressi di Cork, città natale di Keane (ci siamo stati in estate: la sua autobiografia, ci hanno assicurato, è stato il libro più venduto negli ultimi due decenni). Lo stesso anno debuttò in prima squadra. Destò un’ottima impressione; i club britannici iniziarono ad interessarsi di quel 18.enne che dava del tu al pallone. Così nel 1990 passò al Nottingham Forest, di cui è attualmente l’assistente allenatore. La sua carriera decollò. Fino ad atterrare sul campo dei “Diavoli Rossi” del maestro Alex Ferguson. Con lo United ha vinto 7 campionati, una Champions e una Coppa Intercontinentale e sollevato 4 trofei nazionali. Il trasferimento, infine, agli scozzesi del Celtic: appena dodici mesi che gli sono comunque valsi il titolo. “Guanti, sciarpe, cappelli, scaldacollo, e tutte queste altre cose non c’erano ai miei tempi. Sono un vezzo moderno che ha reso il calcio più ‘soffice’, lo ha rammollito. Non so nemmeno come facciano i giocatori a concentrarsi con tutta quella roba addosso”, ha risposto Roy il ribelle a chi gli chiedeva cosa ne pensa del mondo del pallone odierno. Sempre schietto. Diretto. Tosto. Restio alla vita mondana. Alle feste. Agli agi. Un calciatore controcorrente. Anarchico, se si vuole. Irlandese fino al midollo. Nella testa e nel temperamento. Ma, in primis, nel cuore.