Il ritorno di Sandro Piccinini è una sciabolata morbida

«Non va!». Anzi, sì. Sua maestà Sandro Piccinini è pronto a tornare. Proprio lui. Dopo due anni di stop, il noto telecronista riparte da Sky, dove indosserà una nuova veste: quella dell’opinionista. L’occasione perfetta per analizzare la Serie A alle porte ma anche per scoprire tanto altro sul mondo del calcio narrato.
Con gli stadi deserti (o quasi) e milioni di tifosi attaccati alla tv, le voci dei commentatori hanno assunto un’importanza capitale. Sono loro, ora più che mai, a trasformare un gesto tecnico, una rete o un’occasione mancata in una scarica di adrenalina. «Con l’avvento della pandemia il prodotto televisivo si è dovuto adattare moltissimo» sottolinea Sandro Piccinini. «Ci si è accorti che il fattore pubblico è addirittura il più importante. Incide più del telecronista e dello stesso livello della partita. Prendiamo la finale di Champions, che è anche stata una bella sfida: in determinati momenti sembrava di assistere a un’amichevole. In tutto questo il telecronista è perciò chiamato a reinventarsi. Deve ad esempio calare i decibel, perché urlare nel silenzio può anche essere fastidioso. Al tempo stesso deve però tenere alto il ritmo per non annoiare il telespettatore. La professione si è complicata e a far la differenza è probabilmente l’esperienza. A dirla tutta sono quasi stato contento di non dover convivere con simili condizioni».

Una nuova avventura
In prima linea sino all’estate del 2018, per certi versi Piccinini avrà la fortuna di continuare a ricoprire il ruolo di osservatore esterno. «Al termine dei Mondiali russi ho avvertito l’esigenza di una pausa. E dopo 40 anni di lavoro, penso di essermela meritata. In quel momento avevo bisogno di riordinare le idee, riflettere sulle mie motivazioni. Diciamo che la voglia di ritornare si è fatta sentire trascorso un annetto e un po’. Il coronavirus non ha facilitato le cose, ma poi durante l’estate ho ricevuto alcune proposte. La più stimolante è quindi arrivata da Sky Sport, con il direttore Federico Ferri che mi ha convinto a cogliere l’occasione. Si tratta di una sfida nuova e divertente, da opinionista, al fianco del conduttore Fabio_Caressa. Un ragazzo che conosco bene, avendo cominciato con me nelle tv locali di Roma. I presupposti per farmi uscire dal letargo c’erano tutti».
Il pubblico a casa, così, continuerà a restare orfano delle espressioni cult di Sandro Piccinini. Niente «sciabolate morbide» e «mucchi selvaggi» insomma. «Effettivamente dovrò trovare nuove frasi, più da talk show diciamo. Battute a parte, a Sky avevano bisogno tutto fuorché di un telecronista. Ne hanno tanti e pure bravi. Io ho firmato un contratto di un anno e non escludo di poter tornare nel giro in futuro, perché il racconto delle partite in presa diretta rimane una grandissima passione. Prima, comunque, iniziamo a vedere come andrà questa esperienza e quale sarà il panorama dei diritti tv, che sembra destinato a cambiare».
Ma come giudica, Piccinini, il livello dei colleghi che oggi commentano la Serie A? Non è raro sentire parlare di ultrà più che di telecronisti... «A mio avviso la qualità media delle telecronache è aumentata parecchio. E mi permetto di prendermene anche un po’ il merito. Molti dei diretti interessati hanno in effetti cominciato con me e negli anni hanno fatto tesoro di determinati insegnamenti sulla preparazione, il ritmo, il linguaggio o ancora la gestione del pathos. Poi è vero, vi sono altresì dei telecronisti che tendono a esagerare, a diventare un po’ troppo protagonisti. Un errore, questo, da non commettere».


L’eredità di Aldo Biscardi
La generazione di cantastorie in questione è senza dubbio cresciuta a pane e puntate de Il processo di Biscardi. Un programma la cui prima messa in onda risale esattamente a 40 anni fa. «Parliamo del pioniere dei talk show sul calcio. Tutto è cominciato da lì» riconosce Piccinini. Per poi chiarire: «Basti pensare che Controcampo nacque anche per contrapporsi al Processo. Non a caso il primo anno andammo in onda il lunedì. Cercavamo un programma meno urlato, costruito maggiormente sul dialogo. Il tutto condito con personaggi anche non legati al calcio, come lo sono stati Diego Abatantuono, Giampiero Mughini o l’avvocato Prisco. Una formula nuova che ottenne un bel successo».
In quegli anni Sandro Piccinini continuò comunque a usare le giuste chiavi per entrare nelle case degli italiani. E non solo. Qual è la partita che porta nel cuore? «Invero sono due. A livello di puro divertimento dico la finale di Champions del 1999 a Barcellona, con il Manchester United capace di ribaltare il Bayern all’ultimo respiro. Ai tempi avevo un debole per il calcio inglese e, sotto sotto, simpatizzavo per la squadra di Ferguson. Quegli storici minuti di recupero mi gasarono e ogni volta che riascolto quella telecronaca percepisco una grande partecipazione». Sul piano professionale Piccinini menziona tuttavia un altro, epico scontro. «Come importanza dell’evento e difficoltà nel gestirlo sicuramente la finale di Champions del 2003 tra Milan e Juve. Una sfida con due italiane, seguita da oltre 20 milioni di persone. Senza dimenticare la posizione delicata di Mediaset, etichettata come tv rossonera. C’era una pressione pazzesca, ma riuscimmo ad accontentare tutti. Pagai il tutto nei giorni successivi, passati con il mal di testa».


Andrea VS Antonio
Ora, dicevamo, Sandro Piccinini si regalerà un nuovo giro di giostra. La Serie A 2020-21, già. «Ad occhio non si scapperà dalla tenzone tra Juve e Inter. I bianconeri non sembrano più quella strapotenza economica, sopra tutte le avversarie, degli ultimi anni. La società di Andrea Agnelli presenta un rosso di bilancio di 90 milioni di euro e in questa situazione serve muoversi sul mercato con estrema accortezza. Per dire: non arriva Ronaldo ma Dzeko». E ad approfittarne, appunto, vuole essere l’Inter, che ha investito un po’ di più riducendo ancora - almeno sulla carta - il gap che la separa dalla Vecchia Signora.
Andrea Pirlo, tiene comunque a evidenziare Piccinini, «rappresenta una scelta meno azzardata di quanto si possa pensare. Ha carisma, anche se il maggior ostacolo lo troverà nella ricerca della giusta empatia con lo spogliatoio». Anche Antonio Conte ha grande carisma: farsi bagnare il naso dall’ultimo arrivato, l’allievo, significherebbe però fallimento. Piccinini conferma: «Conte è indubbiamente sotto pressione. Una vittoria, la scorsa stagione, sarebbe stata vista come un’impresa. Quest’anno invece la proprietà si aspetta dei trofei. A mio avviso basteranno comunque poche settimane per capire se tra l’allenatore e la dirigenza c’è un’armonia sincera o se il confronto alla fine della scorsa stagione ha portato a una pace solo di facciata». Dinamiche e retroscena che Sandro Piccinini si appresta a commentare di nuovo. Incredibile!