Il tifo e gli artigli elvetici

«Grazie per l’incredibile supporto. E grazie anche a tutti coloro che ci hanno guardate da casa, vi abbiamo sentiti. Daremo ancora tutte noi stesse ». Ha scelto queste parole, Nadine Riesen, per commentare la cocentissima sconfitta del debutto rossocrociato all’Europeo casalingo. Lei che al 28’ del primo tempo aveva fatto esplodere di gioia il St. Jacob-Park. Le emozioni vissute dalla Svizzera, prima, durante e dopo il match con la Norvegia, sono state diverse. Dalla gratitudine e incredulità di fronte al caldissimo tifo, alle lacrime di commozione durante l’inno, passando alla tristezza infinita per il risultato finale.
Premesse più che buone
Nonostante tutto, dalla città renana arrivano due ottime notizie. La prima: la Nazionale di Sundhage ha gli artigli. Chiaro, contro l’Islanda sarà meglio che le rossocrociate li tirino fuori per 90 minuti senza crolli improvvisi o momenti di smarrimento. Non sono concessi, non quando c’è così tanto in ballo. È vero, la rete trovata dalla Norvegia in apertura della ripresa e l’autogol di Stierli dopo appena pochi minuti dal pareggio delle avversarie non erano bocconi facili da digerire. Ma è impensabile e per certi versi inspiegabile come la Svizzera sia cambiata così tanto da un tempo all’altro. Le ragazze di Grainger d’altronde non hanno creato quasi nulla in fase offensiva. Sono state le elvetiche a permettere loro di portarsi a casa tre pesantissimi punti. E, appunto, questo in realtà non è per forza una brutta constatazione. Se domenica Wälti e compagne mettessero in campo la stessa grinta dell’esordio, imparando la lezione per quanto riguarda i cali di energia e le clamorose sbavature, il loro torneo si riaprirebbe immediatamente. Insomma, le premesse per affrontare il prossimo match sono più che buone.
Il popolo risponde presente
E la seconda buona notizia? Se qualcuno aveva ancora qualche dubbio in merito all’interesse che il calcio femminile riscontra in Svizzera, è stato definitivamente smentito dalle 34.063 persone presenti a Basilea. Il match inaugurale dell’Europeo, quello tra Islanda e Finlandia, ha fatto registrare 7.683 spettatori. Si è giocato a Thun, in uno stadio da circa 10 mila posti. Considerando che si trattava di una sfida tra due nazionali meno accreditate alla vigilia e non tra le più seguite dal grande pubblico, il dato è particolarmente significativo: dimostra un interesse crescente e trasversale per il torneo sin dalle sue prime battute. Ma torniamo sulle sponde del Reno per farci raccontare dalle protagoniste come era l’atmosfera del St. Jakob. «Durante l’inno avevo i brividi ed ero sul punto di piangere», ha raccontato la giovanissima Noemi Ivelj. « La tensione si è un po’ stemperata quando abbiamo capito che era difficilissimo stare dietro a Beatrice Egli (la cantante, n.d.r.): ha attaccato il brano troppo in alto (sorride, n.d.r.) ». Pure per Géraldine Rueteler le emozioni del debutto sono state immense: «È stato tutto così incredibile. Avevo già la pelle d’oca quando siamo entrate in campo per il riscaldamento».
Con i piedi per terra
C’è stata invece una giocatrice che, a ragione veduta, ha preferito lasciare poco spazio a ciò che le diceva il cuore e concentrarsi sulla razionalità. Parliamo di Ana-Maria Crnogorcevic. D’altronde l’attaccante del Seattle ha giusto qualche anno di esperienza alle spalle e sa bene come affrontare le emozioni. Per la tre volte vincitrice della Champions League - nonché record woman di marcature in Nazionale - non si può parlare di soddisfazione. «Certo, si cerca sempre di vedere qualcosa di positivo. Ma non conta niente giocare bene e in modo spettacolare se poi non vinci. Alla fine contano i risultati e i punti, che ora a noi mancano ». E la 34.enne di origini croate ha ragione. Perché, lo abbiamo detto, le premesse sono buone, ma serve concretizzarle. Con un k. o. contro l’Islanda le cose si metterebbero davvero male. Se non criticamente. Quando invece le si chiede delle sensazioni trasmesse dal pubblico di Basilea, beh, anche il cuore di Ana-Maria si scioglie. «È stata una delle esperienze più belle che ho vissuto con la Nazionale»