Qatar 2022

Issa: «Ora il calcio africano è visto con altri occhi»

L’incredibile cammino del Marocco ha generato euforia in tutto il continente, che ora sogna di ospitare il Mondiale del 2030 - A 12 anni dall’unica edizione africana, ne abbiamo parlato con l’ex nazionale sudafricano Pierre Issa
L’ex centrale, qui raffigurato mentre affronta il danese Brian Laudrup nella fase a gironi dei Mondiali francesi del 1998. © Reuters
Maddalena Buila
15.12.2022 06:00

Signor Issa, rompo il ghiaccio chiedendole una conferma: è vero che il cammino del Marocco in Qatar sta venendo supportato dall’intero continente africano?

«Nonostante io non viva in Africa ormai da qualche tempo, posso confermare che questo fatto è vero. Tutti gli africani, dai calciatori al semplice appassionato, si aspettavano un exploit di una squadra del nostro continente a questa edizione. Questo perché il movimento calcistico in Africa è cresciuto molto negli ultimi tempi. Ecco perché tutti i Paesi, dal Marocco al Sudafrica, sono felici per quanto realizzato dai Leoni dell’Atlante. Una dinamica che, immagino, difficilmente può essere compresa in Europa, dove verosimilmente una cosa simile non potrebbe accadere. Tutta l’Africa sta sostenendo i marocchini perché sono riusciti a dimostrare che una Nazionale proveniente dal nostro continente - seppur con tanti talenti che giocano in Europa - può andare lontana nel torneo più prestigioso. Sì, il Marocco ha mostrato proprio questo, eliminando di fronte a tutto il mondo delle superpotenze come il Belgio, la Spagna e il Portogallo. Ora le altre nazionali africane potranno prendere spunto da questo bellissimo cammino».

Le imprese dei Leoni dell’Atlante stanno già fungendo da ispirazione. Il Marocco, così come altri Paesi nordafricani, sta infatti valutando se presentare una nuova candidatura per ospitare la Coppa del Mondo del 2030. Andasse in porto, sarebbe la seconda della storia a tenersi in Africa, dopo quella del 2010 nella sua patria…

«A mio avviso sarebbe ora che il Mondiale tornasse in Africa. L’edizione del 2010 fu un enorme successo, e credo lo sarebbe pure qualora venisse ospitato a nord del continente. Pensando magari a una candidatura congiunta tra Marocco, Egitto, Tunisia o Algeria. La gente di tutto il continente ne sarebbe davvero fiera. E poi, come accennavo prima, il movimento calcistico in Africa è cresciuto molto. Basti pensare a Samuel Eto’o che ha scelto di abbracciare la carica di presidente della Federazione camerunese, oppure a Didier Drogba, che sta anche lui tentando di ricoprire un ruolo in una realtà africana. Sono tutti segnali che fungono da cartina di tornasole. Il calcio africano conta. E grazie - mi ripeto - all’impresa del Marocco, credo che tutto il mondo ora guardi il nostro movimento con altri occhi».

Il Mondiale in Qatar non ha coinvolto appieno la popolazione locale. Allo stesso tempo gli organizzatori hanno arruolato i cosiddetti «tifosi finti» per evitare di esibire degli stadi vuoti. Qualora si ospitasse un’edizione nel Nordafrica, l’entusiasmo sarebbe secondo lei differente?

«Penso proprio di sì. L’edizione sudafricana era stata splendida, seguita da moltissima gente del posto. È vero, quella qatariota non è riuscita a generare lo stesso entusiasmo nei suoi cittadini, ma va ricordato che la popolazione del Paese asiatico è ben minore rispetto a quella della mia Nazione d’origine. O di quella dei Paesi nordafricani. Inoltre, lo si sa, il nostro popolo è festoso, sempre allegro. Non è stato difficile generare euforia intorno alla Coppa del Mondo di 12 anni fa e penso non lo sarebbe nemmeno qualora il Mondiale venisse ospitato più a nord. Credo però che, nonostante la mancanza di entusiasmo da parte dei locali, l’edizione qatariota ci abbia mostrato diversi aspetti positivi. Uno dei più importanti, a mio modo di vedere, è la decisione di organizzarla in inverno. Una scelta non scontata, che ha fatto capire al mondo intero che può esistere anche questa possibilità. I giocatori sono arrivati al top della forma e, a parte un paio di partite con risultati perentori, abbiamo potuto assistere a dei match equilibrati e di altissima qualità. I tifosi finti, d’altro canto, non sono stati una gran bella invenzione (ride, ndr). Ma ritengo che gli organizzatori non l’abbiano pensata per riempire gli stadi, bensì solo per essere certi che ogni Nazionale avesse il giusto sostegno. Cosa che poi non si è resa nemmeno necessaria. Ogni squadra aveva infatti i suoi tifosi giunti apposta in Qatar per sostenerla. Ho assistito dal vivo a Senegal-Ecuador e Francia-Tunisia, e posso garantirvi che erano presenti tanti tifosi “reali”».

Una candidatura per un Mondiale non può però basarsi sul solo entusiasmo. Ci vogliono innanzitutto le infrastrutture. In Qatar, lo abbiamo visto, si è addirittura optato per lo smaltimento o lo spostamento di alcuni impianti. Oggi cosa resta, al proposito, degli stadi utilizzati per l’edizione in Sudafrica?

«Purtroppo il mio Paese non dispone delle ricchezze del Qatar, una Nazione che ha mezzi pecuniari ingenti grazie alla presenza di petrolio e altre risorse naturali. Ciononostante, gli stadi utilizzati per la Coppa del Mondo di 12 anni fa non sono rimasti a prendere polvere, vengono infatti utilizzati dalle squadre locali per le partite ufficiali. Il Sudafrica si era preparato molto bene per quel Mondiale, anche perché non era la prima volta che ospitava un evento importante. Penso ad esempio alla Coppa del Mondo di rugby».

Lei non ha vissuto da protagonista, in campo, il Mondiale casalingo del 2010. Ma ha vestito la maglia dei «bafana bafana» nelle edizioni del 1998 e del 2002…

«In entrambe le occasioni il Sudafrica era purtroppo uscito alla fase a gironi. Ciononostante, ho degli ottimi ricordi degli anni trascorsi in Nazionale (sorride, ndr). Soprattutto relativi alla Coppa d’Africa del 2000, giocata in Ghana, quando raggiungemmo la semifinale. Al di là dei risultati, rappresentare il proprio Paese è sempre una grande emozione. Ora sono in pensione (ride, ndr), ma bazzico ancora il mondo del calcio. Sono stato direttore sportivo dell’Olympiakos per due anni e ora gestisco la mia agenzia dedicata ai talenti del calcio, molti dei quali militano in Europa e in Africa. Un lavoro che mi piace moltissimo».