Il personaggio

Jonathan Sabbatini e lo «spagnolo» di Mattia Bottani

Il capitano del Lugano condivide la stanza con il numero dieci nel ritiro di San Pedro del Pinatar: «Ci conosciamo da una vita, l’ho perfino aiutato a conquistare il suo amore»
Jonathan Sabbatini durante l’allenamento. © CdT/Gabriele Putzu
Marcello Pelizzari
14.01.2020 06:00

«Pensavamo tutti facesse più caldo, ma va bene così». Già, l’importante è stare assieme e pazienza se a San Pedro del Pinatar, in Spagna, le temperature non sono propriamente primaverili. Il capitano bianconero ci apre le porte del ritiro. «Io dormo con Mattia Bottani, sta sempre dietro alla PlayStation».

«La mattina è un problema» ci dice Jonathan, 31 anni. «Oddio, non fa freddo. Diciamo che fa freschetto. Ma lo sapevamo. Eravamo stati qui nel 2017, con Tramezzani. Per l’occasione nevicò. Non succedeva tipo da quarant’anni, ci dissero». San Pedro del Pinatar, in Spagna, è una meta ambita. Molti club l’hanno scelta come base per il ritiro invernale. «E il ritiro è un momento importante per noi» prosegue Sabbatini. «Si può lavorare in profondità, ma soprattutto si cementificano i rapporti. E poi, lo ammetto, c’è anche del tempo per starsene da soli. Sono papà di famiglia, a casa non sempre ho tempo per le mie cose. Anche solo per riposare come si deve. Qui, al contrario, posso ritagliarmi degli spazi per riflettere o per leggere un libro».

«Un po’ come con Celestini»

Di più, Maurizio Jacobacci sta sfruttando queste settimane per far passare una volta di più il suo messaggio e la sua idea di calcio. «Siamo più o meno nella stessa situazione di un anno fa, con Celestini. Anche all’epoca ci fu un cambio in corsa e il mister sfruttò ritiro e preparazione invernale per approfondire il suo calcio con noi. Per farci capire che cosa voleva, esattamente. Per ora siamo soddisfatti del lavoro. Vero, sono mancati i risultati in amichevole. Ma fa parte del gioco, considerando i carichi. A poche ore di distanza dal test con l’Anversa ci siamo trovati di fronte l’Anderlecht. Una squadra di classe A, come dico io in questi casi. Detto ciò, in entrambe le partite ho visto un Lugano determinato e vivo. Eppure, dobbiamo migliorare la resa sotto porta».

«Che emozione Kompany»

Nell’Anderlecht, in difesa, c’era un certo Vincent Kompany, già perno del Manchester City e del Belgio. «Soltanto dal vivo ti rendi conto quanto è grosso» afferma sorridendo «Sabba». «In televisione sembrava più piccolo. Invece è una bestia. È stata un’emozione forte, per me, dargli la mano e ricevere i suoi complimenti. Ma anche nell’Anversa c’erano nomi di grido: Mirallas e Mbokani su tutti. Affrontare questa gente ti dà ulteriori stimoli».

Campioni veri, dicevamo. Non solo in campo. «Parliamo di ragazzi normalissimi, come noi che giochiamo in un club piccolo. Ma a volte è proprio vero: quelli che si atteggiano li trovi in categorie più basse, mentre in Champions League vedi parecchia umiltà».

«Ardaiz ha tanta fame»

Tornando al Lugano, davanti il nome caldo è quello dell’ex Vancouver Joaquín Ardaiz, il cui cartellino è di proprietà del Chiasso. «Sapevo chi era, noi uruguaiani essendo in pochi ci conosciamo tutti» scherza Jonathan. «Abbiamo amici in comune. Ad ogni modo, lui è da pochi giorni qui con noi in ritiro. Per me è un talento, non a caso ha fatto tutta la trafila nelle nazionali giovanili. Ha una gran voglia, spero tanto sia una situazione soddisfacente per tutti: per il giocatore e per il Lugano. Abbiamo bisogno di fare un gran girone di ritorno».

Il capitano in azione. © CdT/Gabriele Putzu
Il capitano in azione. © CdT/Gabriele Putzu

«Vogliamo stupire ancora»

Ecco, il Lugano vuole stupire. Un’altra volta. E chi se ne frega se il ranking UEFA non è più quello di una volta e i gironi di Europa League oramai sono un miraggio. «Mi dispiace per il ranking, il calcio svizzero non meritava di scivolare così indietro, ma noi siamo noi e ci teniamo a finire il più in alto possibile. Gironi o non gironi». Un ricordo dell’Europa che fu, Jonathan, vuole comunque condividerlo: «Per me siamo stati più bravi nel 2019 che nel 2017. Allora i punti, diciamo, arrivarono un po’ per caso. A questo giro abbiamo davvero fatto capire chi siamo. Siamo stati, però, sfortunati».

Detto della sfortuna, questo Lugano riparte con certezze importanti. Una su tutte: il presidente, rimasto in sella. «Non l’abbiamo sentito, ma sia Marco Padalino sia Eugenio Jelmini ci aggiornano sul suo recupero dopo l’intervento. Ad ogni modo, le vicende del club e la possibile cessione non ci hanno mai infastidito. È vero, io ci sono passato in estate: chi deve rinnovare il contratto, magari, ha qualche dubbio in più. Ma noi pensiamo solo al pallone, davvero».

«È stata dura stare fuori»

Il 2020 per Sabbatini è l’anno del ritorno in campo dopo un infortunio beffardo. «È stato brutto stare fuori, ricordo che i primi giorni ero incazzato con me stesso. Ho preso tante botte in carriera, senza mai farmi male. E ora, mi dicevo, mi spacco facendo tutto per conto mio? Assurdo. Niente, si vede che era destino. Non so se stessi disputando o meno la mia miglior stagione, so che ero continuo e che lì davanti alla difesa mi trovavo bene. Ora ho ripreso anche i miei vecchi ruoli, la mezzala o il suggeritore. Lavoro sodo, in un certo senso devo far capire al mister che il titolare sono io. È uno stimolo in più. Sì, devo guadagnarmi il posto come tutti. Ma non è che prima non lavorassi perché ero sicuro di giocare. Sono dell’idea che uno debba dimostrare ogni giorno il suo valore».

«Lo spagnolo di Mattia»

In conclusione, Sabbatini ci svela alcuni retroscena della sua vita in ritiro. Uno su tutti: le dinamiche con il «Botta», suo compagno di stanza. «Mattia Bottani è come un fratello, ci conosciamo da otto anni. Io e lui abbiamo sempre diviso la stessa stanza in ritiro come in trasferta. No, aspettate. Ci fu un anno che cambiò compagno. Ma poi tornò indietro, da me. Il nostro rapporto è nato spontaneamente, anche se è un peccato che il Pibe non beva il mate come faccio io. Gli piace quella cavolo di PlayStation. Ma c’è sintonia, anche in campo». Non finisce qui: se Bottani ha trovato l’amore, beh, il merito è anche del suo amicone Sabbatini. «È vero, lui faceva il filo a questa ragazza di origini cilene. Voleva fare colpo, era disposto a tutto. E così, mi chiese alcune frasi in spagnolo». Il risultato? Oggi Mattia è legatissimo alla sua Carolina e, stando al capitano bianconero, «ogni tanto tira fuori dei colpi in spagnolo».