Kosovo e Svizzera: «La scelta di Avdullahu? Speriamo diventi una tendenza»

Non è una partita come le altre. E non lo sarà nemmeno questa volta. Alba delle qualificazioni al Mondiale 2026, Svizzera-Kosovo ha riacceso un dibattito invero mai sopito. Un dibattito delicato e, di riflesso, divisivo. La miccia, a ridosso delle convocazioni dei commissari tecnici delle due nazionali, è stata ravvivata da Leon Avdullhau, 21 anni, talento cresciuto in casa Basilea e da luglio giocatore dell’Hoffenheim. Murat Yakin, a fronte di un impatto subito positivo in Bundesliga, era pronto a offrirgli la prima chance con la selezione maggiore. Il tutto coronando un percorso lineare e convincente che ha visto Avdullahu lasciare il segno dalla U15 alla U21. Già. Ma domani sera, al St. Jakob-Park di Basilea, il centrocampista non porterà la maglia rossocrociata. A schierarlo, verosimilmente dal primo minuto, sarà Franco Foda, allenatore del Kosovo.
La 95. forza del ranking FIFA
Nato a Soletta e in possesso del doppio passaporto, Avdullahu ha fatto la sua scelta. E la questione, dicevamo, non ha tardato ad alimentare discussioni e riflessioni, con il lavoro dell’ASF e del direttore delle squadre nazionali Pierluigi Tami finito sul banco degli imputati. Il tema, appunto, non è nuovo. Scandisce il percorso della nazionale svizzera da oltre un decennio. Vivendo di malintesi, strumentalizzazioni, polemiche - ah, il Mondiale 2018 - e prese di posizione. L’ASF, come suggerito da Tami a inizio settimana, non sottovaluta il dossier, e però non accetta critiche gratuite. «Negli ultimi 20 anni ci siamo qualificati a tutti i grandi tornei, tolto l’Europeo del 2012. Insomma, non mi sembra che sia stato tutto sbagliato. Solo in due, forse tre casi, la Svizzera ha perso giocatori che si sarebbero rivelati un valore aggiunto». Certo, Rakitic e Petric (Croazia). Forse Kuzmanovic (Serbia). Mentre Behrami, Xhaka, Shaqiri, Rodriguez, Dzemaili, o ancora Seferovic e Akanji davano forma alle nostre ambizioni. Eppure, la scelta di Avdullahu - favorevole alla 95. selezione del ranking FIFA - solleva giustamente degli interrogativi, e finanche dei timori, in ottica futura.
«La gratitudine di un popolo»
La strategia della Federcalcio kosovara, d’altronde, è chiara. E a confermarlo, intervistato dal Corriere del Ticino, è il suo presidente Agim Ademi: «Il passo intrapreso da Avdullahu? Non credo lo si possa già associare a un cambiamento radicale della mentalità dei giocatori con radici kosovare. Ma l’idea che tutti questi profili diano precedenza alla nostra nazionale, naturalmente, mi piace. Spero, anzi, che questo approccio diverso si trasformi in una tendenza. E il motivo è semplice: molti calciatori kosovari, cresciuti in Svizzera, possiedono grandi qualità e potrebbero essere utili alla causa del Kosovo».
Okay, ma quale causa? In fondo la Svizzera ha dimostrato di potersi spingere con regolarità sino agli ottavi e ai quarti di finale di Mondiali ed Europei. A Pristina, invece, le aspirazioni crescono, rimanendo al contempo acerbe. Parliamo, infatti, di una nazionale che è stata ufficialmente ammessa da FIFA e UEFA nel 2016. Nemmeno 10 anni fa. E quindi: che cosa può garantire il Kosovo calcistico, oggi, più dell’ASF? Sentite Ademi: «Ai calciatori kosovari offriamo qualcosa che non solo la Svizzera, ma nessun’altra Federazione al mondo può offrire: la sensazione di giocare per il Kosovo, la sensazione di rappresentare un Paese con un passato difficile e però glorioso. Come pure la gratitudine di un intero popolo, da rendere orgoglioso con l’impegno e lo spirito battagliero portati in campo. Si tratta dunque di emozioni. Anche se c’è dell’altro. Il Kosovo, ora, fa pure rima con prospettive sportive. I giocatori convocati si sentono parte integrante del progetto di sviluppo della nazionale, con la speranza di poter presto disputare una competizione importante».
Il peso delle famiglie
L’ASF, da parte sua, fa leva su due strumenti in particolare. Da un lato il progetto Footuro, nato nel 2008 e finalizzato al sostegno individuale dei giovani calciatori di talento. Dall’altro, e a partire dal 2020, la figura del talent manager, chiamato a seguire e supportare le migliori promesse, svizzere e binazionali. Non solo. Come spiegato alla Tribune de Genève da Tami, «ai calciatori con doppio passaporto viene fatto firmare un contratto che li impegna, qualora decidessero in futuro di lasciare la Svizzera, a restituire la somma investita per la loro formazione». Tutto molto bello. Peccato che lo stesso dirigente ticinese abbia riconosciuto la fragilità legale di questo vincolo, parlando di un «contratto morale» attraverso il quale indagare le intenzioni e il grado d’identificazione del singolo.



I mezzi utilizzati dalla Federcalcio kosovara sono differenti. I tasti toccati sono altri. E, spesso, sono le famiglie a fungere da ago della bilancia. Riprendiamo il caso Avdullahu. «È passato molto tempo - spiega il presidente Ademi - dal primo contatto fra le parti. Non ci siamo fatti avanti direttamente con il giocatore; Leon, all’epoca, si trovava all’inizio della sua carriera e quindi si trattava di agire con cautela. Abbiamo contattato le persone che lo circondavano, abbiamo discusso con loro e abbiamo chiarito il nostro grande interesse nei suoi confronti. In seguito abbiamo tenuto vivo il rapporto, aspettando che fosse pronto». La decisione, infine, è caduta. «E se dovessi individuare un fattore decisivo, ovviamente direi che è stata la parte emotiva, ciò che provava e il modo in cui lo abbiamo fatto sentire. Ma oltre a questi aspetti, e lo ripeto, ha pesato altresì la prospettiva sportiva presentata al giocatore. Ad Avdullahu sono state illustrate le tappe d’integrazione in nazionale, ponendo l’accendo sulla sua importanza per il nostro progetto».
Il prossimo nome sulla lista
Il matrimonio tra l’ex Basilea e il Kosovo è stato ufficializzato proprio da Ademi, che su Instagram ha pubblicato una foto abbracciato alla nuova risorsa della selezione maggiore. «Leon, con questa decisione, ha dimostrato una volta di più e con forza che il Kosovo rimane una scelta di cuore e che l’identità e l’origine non vengono negate». Ora il presidente spera di regalarsi e regalare ai tifosi dei «Dardani» un altro scatto: quello insieme ad Albian Hajdari. Il classe 2003, già difensore del Lugano e sin qui schierato solo in un’amichevole da Murat Yakin, avrà sicuramente modo di discuterne con Avdullahu, suo nuovo compagno all’Hoffenheim. «E, non lo nego, desidero una foto con Albian più di chiunque altro» ammette Ademi. Per poi precisare: «Non ragiono in termini di soddisfazione personale, ma per il bene della nostra nazionale, a cui si andrebbe ad aggiungere un altro calciatore di qualità, capace di accrescere il valore della squadra. Perciò spero che Hajdari scelga il Kosovo. Detto questo, non vogliamo mettergli pressione in questa fase. Da parte nostra occorre prudenza e al giocatore il tempo necessario per decidere. Rispetteremo qualsiasi strada prenderà».
Xhaka e il passo «più difficile»
E a proposito di scelte di campo. Quando il Kosovo divenne membro ufficiale di FIFA e UEFA, il tema si pose pure per i vari Behrami, Xhaka e Shaqiri. Non vi fu alcuno strappo, anche se l’attuale capitano rossocrociato la definì «la decisione più difficile della mia vita». E ancora: «Decidendo di continuare a giocare per la nazionale svizzera, voglio restituire qualcosa al popolo svizzero, che mi ha sempre dimostrato rispetto e gratitudine. E quando vedo che 300.000 albanesi vivono in Svizzera, è inoltre un onore per me rappresentarli in rossocrociato». Chissà, oggi, considerati i passi avanti del Kosovo sul piano sportivo, infrastrutturale e di governance, la valutazione dei diretti interessati sarebbe diversa. Il presidente della Federazione Agim Ademi non si sbilancia, ricordando piuttosto come Xhaka e Shaqiri «continuino a essere figure molto amate e importanti in patria, dove non si è smesso di apprezzarne la dedizione e il coinvolgimento a favore della causa kosovara. Tuttavia, se parliamo di idoli calcistici, per i nostri giovani occupano un posto speciale coloro che difendono i colori del Kosovo: Edon Zhegrova, Amir Rrahmani, Vedat Muriqi... Oggi sono loro, domani saranno giovani come Avdullahu, Fisnik Asllani o molti altri». Alcuni dei quali, c’è da scommetterci, nati e cresciuti anche calcisticamente in Svizzera».
Il legame che unisce i due Paesi, dopotutto, trascende lo sport. E domani sera, in un St. Jakob invaso anche da tifosi balcanici, se ne avrà un’ulteriore prova. Svizzera-Kosovo non è una partita come le altre. E non lo sarà nemmeno questa volta.