La croce di Cristiano Ronaldo

Cristiano Ronaldo e il suo segno della croce fatto dopo un gol faranno scoppiare l’ennesima guerra di religione nella storia dell’umanità? Scenario troppo grande, dal punto di vista mediatico e dei click, per essere vero: mai confondere qualche infelice che passa la vita sul web (diventando «Il popolo del web», «Il web insorge» o cose del genere) con la realtà. Certo la sua esultanza di mercoledì scorso non è piaciuta nemmeno ai tifosi dell’Al-Nassr e la vicenda è comunque interessante nel momento in cui sta partendo la prima edizione della Saudi Pro League con l’ambizione dichiarata di essere l’embrione di una futura superlega. Ma cosa è successo, in sostanza?
La Champions League araba
È successo che nella semifinale della Champions League araba, giocata da favoritissimo contro gli iracheni dell’Al-Shorta, l’Al-Nassr di Cristiano Ronaldo, ma anche dell’ex Liverpool Mané e dell’ex Inter Brozovic, ha faticato più del previsto ed è passato soltanto su rigore, a un quarto d’ora dalla fine: rigore tirato e segnato da CR7, ovviamente, mentre meno ovvia è stata la sua esultanza, con il segno della croce a precedere il tradizionale ‘Siuuuuu’. Un gesto, il segno della croce, che in carriera ha fatto centinaia di volte, non soltanto dopo i gol fatti ma a volte anche dopo quelli sbagliati, insomma nella vittoria e nella sconfitta. Certo nei primi mesi della sua avventura araba, iniziata lo scorso gennaio poco dopo il Mondiale in Qatar, si era trattenuto, o comunque nessuno aveva sollevato il caso. Ed è probabile che si trattenga anche in futuro, a meno che non si sia già pentito di avere accettato i 600 milioni di euro degli arabi: 100 alla firma, 100 per la mezza stagione appena giocata, 200 per ognuna delle prossime due. A 38 anni difficile trovare di meglio, anche se basta mezza partita per avere nostalgia del grande calcio europeo.
Cosa rischia CR7?
Cristiano Ronaldo rischia qualcosa? La domanda non è provocatoria, visto che in Arabia Saudita qualsiasi segno di appartenenza ad una religione diversa dall’Islam è considerato proselitismo e quindi punito in teoria anche con il carcere. Nella realtà gli stranieri ricchi e famosi come Cristiano Ronaldo rischiano poco, se non un richiamo da parte della polizia: 12 anni fa accadde a Juan Pablo Pino, che guarda caso giocava nell’Al-Nassr. Per l’attaccante colombiano il problema non fu l’esultanza ma un tatuaggio sul braccio raffigurante Gesù Cristo: lui e la moglie furono arrestati e poi rilasciati quando l’Arabia si rese conto del danno di immagine che sarebbe derivato da una condanna. E parliamo del 2011, con il progetto Vision (in sintesi: migliorare l’immagine dell’Arabia Saudita per mezzo dello sport) non ancora partito. Per Cristiano Ronaldo non si arriverà a tanto, vista la sua visibilità, mentre un muratore filippino non se la sarebbe cavata con i rimproveri di qualche hater da tastiera. Certo è che i milioni di lavoratori stranieri ‘normali’ che ci sono in Arabia, dei quali almeno un milione è cristiano, non sono liberi di professare la loro religione né pubblicamente (possono esistere soltanto moschee, le poche chiese sono case anonime e senza segni, la croce non è nemmeno immaginabile) né in privato. Il paese usa i calciatori per sembrare moderno, ma ancora nel 2023 l’apostasia (cioè un musulmano che si converte ad altra religione) è punita con la morte ed addirittura è impossibile dire cose che siano associabili all’ateismo, qui con una pena massima che può arrivare a vent’anni di carcere.
La madre Dolores
Cristiano Ronaldo è poi un caso di calciatore per il quale il segno della croce non è un gesto come un altro, ma parte del proprio essere. La sua vita è infatti un miracolo, fin dall’inizio visto che sua madre Dolores pur essendo una cattolica devota aveva deciso di abortire: aveva già tre figli, era poverissima ed il marito alcolizzato le faceva vedere il futuro ancora più nero. Ma il medico al quale si rivolse per l’aborto le spiegò che in Portogallo nel 1984 l’aborto era illegale (nella sostanza lo sarebbe rimasto fino al 2007). Dolores non si arrese e tentò di perdere il bambino ubriacandosi e con altri metodi raccontati da lei stessa in un libro da brividi. Non ci riuscì ma invece di vedere un futuro ancora più disperato, con un neonato condannato alla miseria a Madeira, vide Dio e decise che questo bambino così motivato a nascere si sarebbe chiamato Cristiano. Ronaldo fu un’aggiunta del padre, ricomparso per il battesimo, in onore di Ronald Reagan del quale era un grande fan. Questa storia drammatica è stata alla base di tutto Cristiano Ronaldo e del suo rapporto con la religione, ben al di là di quei gesti che nei calciatori sono abitudine, spesso anche superstizione. Non c’è partita che non sia preceduta da una sua preghiera negli spogliatoi, preghiera privatissima. Ed è quindi evidente che CR7 sia di fronte a un bivio: finora in Arabia si era trattenuto, ma adesso sbaglierà qualsiasi cosa faccia. Il segno della croce sembrerebbe una provocazione, non farlo un atto di sottomissione.
Soluzione Benzema
L’interesse del governo saudita è che il caso si sgonfi e che non diventi un’operazione di marketing al contrario, buttando via centinaia di milioni. Per questo è probabile che non accada niente, con la quadratura del cerchio che potrebbe essere l’ingaggio sempre più frequente di giocatori che siano al tempo stesso famosi e musulmani. Già a questo giro se ne è avuto un assaggio, con Benzema e con altri. E proprio l’ex compagno di Cristiano Ronaldo al Real Madrid ha spiegato che il fattore religioso è nella sua scelta stato decisivo: sarà, ma fino a quando non ha avuto 36 anni ed un’offerta da 200 milioni l’anno, in pratica uguale a quella di CR7, Benzema tutta questa devozione all’Islam non l’aveva manifestata. La Saudi Pro League, che dichiaratamente punta ad essere il primo campionato per importanza dopo i top 5 europei, di tutto ha bisogno tranne che di aprire discussioni religiose. Il suo primo problema rimane la classe media dietro ai vari Mané, Milinkovic-Savic, Kessie, Mahrez, Koulibaly, Kanté, eccetera: era e rimane imbarazzante, almeno per un appassionato di calcio europeo. Perché si possono comprare i calciatori, ma non i loro tifosi.