Calcio

La dolorosa caduta degli dei, una crisi che parte da lontano

L’addio di Lionel Messi ed i gravi problemi finanziari gettano ombre sul futuro prossimo del club blaugrana
Il tecnico del Barcellona Ron Koeman. ©AP PHOTO/Armando Franca
Mario Magarò
01.10.2021 06:00

Le espressioni dipinte sui volti dei giocatori e del corpo tecnico del Barcellona al fischio finale della partita giocata sul campo del Benfica hanno certificato in modo drammatico la sensazione di impotenza che, da alcuni mesi, aleggia dalle parti del Camp Nou e nei vari angoli dell’universo blaugrana. Il k.o. di Lisbona ha infatti sancito il peggior inizio del Barcellona nella storia della Champions League, con due sconfitte sul groppone e nessun gol segnato, numeri impensabili anche per il più disfattista dei tifosi “culés”, a cui si aggiungono quelli relativi ad un inizio della Liga al di sotto delle aspettative, con pochi punti conquistati ed un gioco approssimativo. La partenza di Messi verso Parigi ha inevitabilmente inciso sul bagaglio tecnico dell’ormai ex squadra della “Pulce”, ma la crisi del Barcellona viene da lontano, incastrata tra le pieghe della fallimentare gestione di Bartomeu ed esplosa con la pandemia di COVID-19, che ha privato la società di introiti vitali.

Una montagna di debiti

Il ritorno di Joan Laporta alla presidenza del Barcellona lo scorso mese di marzo aveva parzialmente illuso la tifoseria blaugrana, fiduciosa nelle capacità di colui che aveva già guidato la polisportiva catalana dal 2003 al 2010, anni segnati da ripetuti trionfi, in tutte le discipline, tanto in Spagna come in campo internazionale. Una fiducia, quella riposta in Laporta, basata soprattutto sulla promessa del neopresidente di riuscire a rinnovare il contratto di Messi, in scadenza nel mese di giugno. Le cose però, per il Barça, sono andate in maniera diametralmente opposta.

«La situazione finanziaria del club è drammatica», sentenziava lo stesso Laporta pochi mesi dopo essere tornato sul ponte di comando, con un debito superiore al miliardo di euro ed un patrimonio netto negativo di 450 milioni di euro. Cifre che hanno obbligato la società, secondo quanto dichiarato dalla stessa dirigenza, a non poter offrire un rinnovo contrattuale a Messi, pur disposto a ridursi lo stipendio del 50%, procedendo, al tempo stesso, ad un sostanzioso sfoltimento della rosa con l’obiettivo di ridurre il monte ingaggi, rientrando così nei parametri imposti dalla Federazione spagnola di calcio.

«Diventammo pazzi con la vendita di Neymar ed il presidente Bartomeu non era capace di dire no a nessuno...», raccontava un ex dirigente del Barcellona al quotidiano catalano ARA, una volta resa nota l’esposizione debitoria del club. Parole che aprono uno squarcio sul momento decisivo, in negativo, per le attuali sorti del Barcellona. Incassati gli oltre 200 milioni di euro della clausola rescissoria di Neymar, finito al PSG nel 2017, la presidenza Bartomeu si affrettò infatti ad offrire un rinnovo contrattuale a Messi da 138 milioni di euro annui fino al 2021, una cifra monstre a cui si aggiunsero i rinnovi dei contratti di altri giocatori di peso della rosa, facendo aumentare a dismisura i costi per le casse del club. Cifre che il Barcellona era, ad ogni modo, convinto di poter sostenere grazie ai diritti televisivi, al rendimento della squadra sul campo e, soprattutto, agli introiti generati dal merchandising. La variabile coronavirus, evidentemente impossibile da prevedere, ha però mandato all’aria i conti dei blaugrana, ritrovatisi di colpo senza introiti e con costi fissi impossibili da mantenere.

Stagione al ribasso

Alla partenza di Messi e di altri giocatori della rosa, in primis l’attaccante francese Griezmann, ha fatto seguito un mercato a costo zero, con il Barcellona impossibilitato ad investire anche un solo euro ed costretto a mettere sotto contratto soltanto giocatori liberi sul mercato. Una strategia obbligata che, inevitabilmente, ha avuto ripercussioni sul rettangolo di gioco, con una squadra tecnicamente impoverita, privata della sua stella ed alla ricerca, affannosa, di una nuova identità. Lo scivolone di due giorni fa contro il Benfica potrebbe costare al Barcellona il passaggio del turno in Champions League, un evento che non si ripete, per quanto riguarda la fase a gironi, da oltre vent’anni. Ed anche in campionato le prospettive non sono delle migliori, con la zona Champions mai come quest’anno difficile da conquistare, obiettivo minimo per una squadra del calibro del Barcellona, a causa di una concorrenza, leggasi squadre avversarie, diventata di colpo un ostacolo difficile da superare. Bella differenza con gli anni scorsi.

Tifoseria depressa

A farne le spese sono soprattutto i tifosi, ancora alle prese con il “lutto” legato alla partenza di Messi e preoccupati per le prospettive future del club. Tra le strade di Barcellona si respira un’atmosfera strana, di incredulità mista a rassegnazione, per una situazione che sa tanto di “caduta degli dei”, ovvero quella di una squadra di invincibili tramutatasi di colpo in una squadra di giocatori normali. «Alla tifoseria blaugrana serve un bagno di umiltà, abbiamo perso l’abitudine a festeggiare vittorie e titoli, anche per un trionfo nella Liga, dandoli quasi per scontati», sentenzia duramente Juan, un tifoso catalano di lungo corso. Una voce, la sua, che risulta quasi fuori dal coro, desiderosa di trovare uno appiglio positivo in un contesto storico e sportivo di assoluta incredulità. Il presidente Laporta ha fissato un due anni il tempo necessario per essere competitivi sul mercato e comprare nuove stelle del pallone. Nel frattempo, in molti strizzano l’occhio alla Masia per il futuro, la casa delle giovanili del Barcellona, sperando che nascano presto nuovi Messi.