Paso doble

La Mano de Dios e il Gol del Siglo in un pomeriggio di 35 anni fa

Il 22 giugno del 1986, ai Mondiali del Messico, Diego Armando Maradona firmava una leggendaria doppietta contro l’Inghilterra
Il fuoriclasse argentino anticipa Peter Shilton con il pugno. © Keystone/EPA
Stefano Marelli
22.06.2021 06:00

Diego riceve la palla a metà campo, avanza verso la porta avversaria saltando tre uomini e tenta un triangolo con Valdano, che è piazzato sui 16 metri. Valdano però controlla male e favorisce l’intervento dell’inglese Hodge, il cui tocco maldestro alza un campanile destinato a tornare a terra vicino al dischetto del rigore. Pare facile preda del portiere Shilton, che infatti non si danna troppo per andare incontro al pallone: evidentemente stima che Maradona non tenterà nemmeno di lanciarsi su quella palla ormai morta. Del resto, non c’è alcuna possibilità che il nano argentino possa arrivare per primo sulla sfera. Provarci sarebbe un inutile spreco di energie, che vanno invece centellinate, specie a 2.300 metri di quota e sotto il sole del primo pomeriggio. Meglio girare i tacchi e tornare a centrocampo, in attesa del rinvio del portiere rivale. Lo farebbero tutti. Tranne Diego, che si sente investito di una missione e che, con slancio da coguaro, proietta il suo piccolo corpo ad altezze celesti. Con la testa giunge fin dove Shilton protende l’artiglio guantato, ma non è abbastanza: se vuole anticiparlo, El Pibe dovrebbe allungare una mano. Lo fa, e tocca il cuoio quanto basta per fargli scavalcare l’avversario e mandarlo in porta.

Tornato coi piedi sull’erba, Maradona si gira verso l’arbitro, che non si è accorto della frode e convalida. Idem il guardalinee, che si avvia di corsa verso la linea mediana. Diego allora – stringendo in alto il pugno sinistro, cioè l’arma del delitto – corre a festeggiare sotto la tribuna dove siede suo padre. E chiama a raccolta i compagni che, increduli e imbarazzati, impiegano qualche secondo prima di mettersi a esultare. Gli inglesi ovviamente postulano presso Bennaceur, che il suo Dio l’abbia in gloria. Pretendono che annulli, ma lui se ne guarda bene. Se Maradona ritiene di poter segnare anche in quella maniera, pensa il tunisino, chi sono io per poterglielo mai proibire?

Come rubargli il portafoglio
Siamo al 51. minuto, e l’Argentina va dunque in vantaggio grazie a un gol istintivo, disonesto e pìcaro che Diego segna a quegli inglesi che i dittatori di Buenos Aires gli avevano insegnato a odiare, sostenendo che stessero occupando illegalmente una manciata di isole argentine che argentine non erano mai state. E che, per quegli scoglietti dell’Atlantico meridionale, quattro anni prima avevano mandato a morire ragazzi coetanei di Diego con la speranza che il popolo potesse piangerli come eroi e si dimenticasse di altri giovani – i desaparecidos – che si erano opposti alla giunta militare e che il regime aveva torturato e poi gettato in mare dagli aeroplani. Quel gol con la mano fu come scippare il portafoglio agli inglesi, sghignazzerà qualche anno più tardi Maradona in maniera poco elegante. Ai calciatori, del resto, non vengono richieste diplomazia né conoscenze storiche.

La cavalcata danzante
Diego però, quel 22 giugno di 35 anni fa, sa di averla fatta grossa, e giura a se stesso che quel quarto di finale non potrà passare alla storia soltanto per il furto che i telespettatori di tutto il mondo avranno già rivisto tre o quattro volte ancor prima che gli inglesi riprendano il gioco dal dischetto di centrocampo. E così, cinque minuti più tardi, si inventa il gol più bello e più famoso che sia mai stato segnato. Se proprio questo pomeriggio sono destinato ad entrare definitivamente nella leggenda, pensa Diego chiamando il pallone a «El Negro» Enrique, voglio farlo alla grande. Ed Enrique lo serve, un po’ prima della metà campo. Il capolavoro del Pibe inizia con una giravolta strettissima, 180 gradi per mettere la prua in direzione della porta nemica. E prosegue con sessanta metri al galoppo, sei avversari superati e tredici tocchi di palla che ogni amante del pallone andrà a rivedersi su Youtube centinaia di volte nei decenni successivi. Maradona entra in una dimensione spazio-temporale sconosciuta a chiunque altro, l’attraversa in dieci secondi senza sbagliare un singolo gesto e va a firmare il contratto per la sua immortalità. Con quel cavalcare danzato, El Pibe si lancia alla conquista di un intero continente: si beve Samson, Reid, Butcher, Fenwick, Beardsley e Shilton come fossero – in un’utopica singola mano di Risiko – Afghanistan, Cita, Mongolia, Urali, Kamchatka e Jacuzia. Gli inglesi non riescono ad abbatterlo, forse perché non ci arrivano, forse perché il fairplay che gli scorre nelle vene non glielo permette, oppure dipende dal fatto che hanno troppo rispetto per colui che, nella storia, meglio di tutti ha interpretato il gioco da loro inventato, a prescindere dai gol segnati con le mani.

Un mantra magistrale
«La va a tocar para Diego, ahì la tiene Maradona, lo marcan dos, pisa la pelota Maradona, arranca por la derecha el genio del fùtbol mundial... va a tocar para Burruchaga... Siempre Maradona, genio, genio, genio ta ta ta ta ta ta... gooooool... goooool... Quiero llorar... Dios Santo, viva el fùtbol! ...Maradona en recorrida memorable... en la jugada de todos los tiempos! Barrilete cosmico, de qué planeta viniste?». In quei tredici tocchi di palla – narrati magistralmente al microfono da Victor Hugo Morales in un mantra destinato anch’esso a incidersi nella memoria collettiva – si legge la consapevolezza di chi sta per compiere un’impresa epica, lanciandosi non soltanto verso la porta inglese, ma pure verso un destino inevitabile. È l’azione che meglio evidenzia l’unicità e la solitudine di Diego. In quei dieci secondi al limite del paranormale, Maradona riuscì infatti a estremizzare la dimensione individuale nel calcio, sport corale per antonomasia.

Nome e cognome
Nel giro di cinque minuti, il 22 giugno del 1986 a Città del Messico, un solo uomo riuscì dunque a firmare le due reti più celebri della storia del pallone – la più disonesta e la più prodigiosa – gli unici due gol conosciuti universalmente con nome e cognome: la Mano de Dios e il Gol del Siglo. E lo fece all’Azteca, teatro che il destino aveva più volte scelto come palcoscenico ideale per rappresentazioni destinate ad entrare nel mito. Quelle stesse dodici pertiche di prato, infatti, nel 1970 avevano già ospitato quella che ancora oggi qualcuno considera la partita più bella di sempre (Italia-Germania 4-3) e poi avevano definitivamente consegnato la Coppa Rimet al Brasile di Pelé e Jairzinho, la nazionale più forte di tutti i tempi.

Lo stato di grazie dell’ormai Aquilone Cosmico Maradona si protrasse per un’ulteriore settimana, e gli permise di polverizzare praticamente da solo il Belgio – nuova doppietta strepitosa – e di guidare i compagni al successo in finale sulla Germania Ovest, servendo fra l’altro un geniale assist a Burruchaga per il risolutivo 3-2. Il titolo mondiale del 1986 – autografato da Diego – consacrò l’Argentina a potenza del calcio planetario, ma tragicamente ne segnò pure la condanna a un futuro triste. Nessuno infatti, nemmeno Lionel Messi, riuscirà più a portare la Seleccion Albiceleste a certi livelli, perché nulla reggerà mai al paragone col Pibe. Fuori dal campo invece l’Argentina fece di Diego, novello Libertador, un autentico eroe nazionale, scelto dal popolo per riscattarsi agli occhi del mondo. In chi altro avrebbero mai dovuto credere gli argentini? Alla politica a lungo retta da una dittatura sanguinaria? A un clero connivente? Agli intellettuali esiliati in Europa le cui opere nemmeno erano più accessibili? Fu del tutto naturale incaricare Maradona di colmare quel vuoto e trasformarlo in paladino di un paese fallito – ormai orfano di Evita e Gardel – che ancora non aveva riscoperto il mito reimportato di Che Guevara.

Peter Shilton non lo ha mai perdonato

Peter Shilton, leggendario portiere inglese, non riuscì mai a perdonare a Maradona il gol di mano nel famoso quarto di finale del 1986. Tanto che, quando a 48 anni decise di ritirarsi, disse che nemmeno sotto tortura avrebbe invitato l’argentino alla sua partita d’addio. Un’esclusione che Diego – del tutto indifferente – commentò alla sua maniera: «Capirai che dispiacere, la gara d’addio di un portiere...». Più indulgente col Pibe fu il difensore Terry Butcher, che ricordando il Gol del Siglo ammise sghignazzando: «Odio quel piccolo bastardo con grande passione. In quella celebre azione, superò i miei compagni una volta sola, mentre io fui dribblato ben due volte!». La miglior battuta la fece comunque Héctor «El Negro» Enrique, con parole che Osvaldo Soriano avrebbe potuto mettere in bocca a uno dei suoi disarmanti personaggi. Finito il match, il numero 12 argentino avvicinò Diego e a proposito del suo passaggio gli disse: «Ti ho messo praticamente davanti alla porta, non avresti mai potuto sbagliare!».