La prima è una perla preziosa
La Nazionale rossocrociata cerca dunque la prima gemma del suo Mondiale. Ad Al Wakrah, sede dello stadio Al Janoub e antico villaggio di pescatori di perle. Fare tesoro della prima sfida, contro l’indecifrabile Camerun, non è solo consigliabile. No, è forse indispensabile. Nell’inclemenza del nostro gruppo, il match di apertura contro il team africano costituisce in effetti un’opportunità enorme. Inutile nascondersi dietro a una prudenza di facciata. E – badate bene – senza con questo voler sminuire qualità e potenziale dei nostri avversari. Incamerare subito 3 punti, banalmente, permetterebbe alla Svizzera di presentarsi al cospetto del Brasile con rinnovata fiducia e una certa dose di leggerezza. Ma soprattutto terrebbe sotto controllo pressione e spettri in vista dello scontro con la Serbia. Già, i rossocrociati hanno bisogno di tutto fuorché di presentarsi all’ultima curva della fase a gironi in una situazione fragile. O peggio ancora disperata. L’infiammabilità di quel match – perché rimane infiammabile, al netto delle buone intenzioni - va mitigata a partire dal debutto odierno.
Alla prima partita di Qatar 2022, la selezione elvetica ha preferito arrivare a fari spenti. Il test di Abu Dhabi contro il Ghana, d’altronde, ha parzialmente intaccato l’ottimismo della vigilia. Peccato. Nonostante le attenuanti del caso – dal clima avverso al freno a mano tirato da diversi leader - l’amichevole persa a una settimana dall’esordio ci ha in qualche modo disorientato. La speranza, va da sé, è che gli esperimenti (legittimi) di Murat Yakin non abbiano confuso gli stessi giocatori, chiamati a confermare quanto di buono mostrato nell’ultimo anno e mezzo. Se chiudiamo gli occhi, certo, è possibile avvertire ancora la pelle d’oca. Sentire le farfalle nello stomaco. La rimonta eccezionale con la Francia, l’apoteosi di Lucerna contro la Bulgaria – dopo il capolavoro di Roma – e mettiamoci pure la vittoria casalinga sul Portogallo, capace di cambiare il volto all’ultima Nations League. Wow.
Osservando più da vicino tali incontri, spalancando di nuovo quelle sliding doors, emerge tuttavia un dato. Significativo? Beh, perlomeno meritevole di attenzione. L’invito è a soffermarsi sulle principali firme poste in calce alle inebrianti prestazioni poc’anzi citate. Spicca, per esempio, il ruolo di Seferovic, decisivo con una doppietta sia agli ottavi di finale di Euro 2020, sia con la rete che in giugno stese i lusitani a Ginevra. Haris, al momento, è il terzo centravanti nella gerarchia del ct rossocrociato. Per tacere di Gavranovic, tanto commovente a Bucarest quanto ritenuto superfluo per il viaggio a Doha. Proprio la formazione che il 15 novembre dello scorso anno staccò il biglietto di prima classe per il Qatar, poi, si era affidata a sei elementi che prima di pranzo probabilmente non vestiranno una maglia da titolare contro il Camerun. Sei su undici. Tanti, sì. Non c’era Xhaka, Yakin – prima di ricredersi – concepiva Okafor come ala offensiva, mentre tra i pali – dopo i miracoli europei – non mancava Sommer. L’elemento che in queste ore presta il fianco ai maggiori interrogativi.
Eppure, sarebbe un errore interpretare le felici costellazioni del recente passato limitandosi a leggere i cognomi sulle magliette. A invadere e trascinare la Nazionale, nelle occasioni in questione, sono stati soprattutto valori collettivi. Trasversali, anche. Umiltà, tenacia, coraggio. E, al momento giusto, un pizzico di follia. Insomma, esattamente ciò che martedì non ha portato in campo l’Argentina, la favoritissima per il titolo secondo molti. «Anche noi siamo qui per scrivere la storia» ha dichiarato al proposito il direttore delle squadre nazionali Pierluigi Tami. Parole coraggiose. Finanche azzardate. Ma perfette per una prefazione a effetto. E allora forza Svizzera, sul fondale dei Mondiali c’è la prima perla preziosa da cogliere.