La storia

La Russia, bandita ma a Doha con discrezione

Escluso a tempo indeterminato dalle competizioni internazionali, il Paese vive comunque il Mondiale dall’interno – Il giornalista Iaroslav Susov: «Guardiamo al Qatar senza lo sdegno dell’Occidente, d’altronde siamo immersi in un regime simile»
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Massimo Solari
25.11.2022 16:45

Alle 14, domani, al cospetto dell’Arabia Saudita, avrebbe potuto esserci la Russia. Vladimir Putin - con la sua guerra scellerata - e la FIFA hanno voluto diversamente. In campo andrà dunque la Polonia, che in primavera si era rifiutata di sfidare la selezione di Karpin nei playoff mondiali. L’esclusione da tutte le competizioni internazionali sarebbe giunta a stretto giro di posta. «A Mosca, non a caso, si sta vivendo un torneo in tono minore» afferma con un velo di tristezza Iaroslav Susov. Ad avvicinarci, in realtà, è lui: a ridosso di Svizzera-Camerun. «Lavoro per un portale indipendente - sport-express.ru - e amo raccontare storie di calcio, sono qui per questo, a maggior ragione in assenza della nostra selezione». Il giovane collega vuole sapere di Murat Yakin, tra il 2014 e il 2015 allenatore dello Spartak Mosca. Ne parliamo qui sotto.

Al Thani e l’amico Putin

Mosca e Qatar 2022, prima. «La tv di Stato ha acquistato i diritti per trasmettere l’evento» sottolinea Iaroslav. Già, per 40 milioni di dollari e nonostante la rottura con la FIFA. «Rispetto alle ultime edizioni, però, l’offerta è molto limitata. Quasi oscurata». Lo scarso seguito nei locali pubblici della capitale non deve quindi sorprendere. La disaffezione dei russi per il torneo - leggiamo - è da ricondurre a quello che è ritenuto uno sgarbo della Federazione presieduta da Gianni Infantino e, va da sé, a un periodo carico di incertezze e altre priorità. «Onestamente non aspettiamo altro che la fine delle ostilità, sia militari, sia sportive» ci dice Susov. Che non è l’unico russo presente in modo discreto a Doha. Sono circa 350 gli specialisti inviati nell’Emirato dal Paese che ha ospitato l’ultima edizione del Mondiale. «Dopo che Mosca ha ottenuto un grande successo nel 2018, gli amici russi hanno fornito un grande sostegno al Qatar, soprattutto in termini di organizzazione» aveva d’altronde dichiarato lo sceicco Tamim bin Hamad al Thani, elogiando Putin al termine dell’incontro andato in scena a inizio ottobre ad Astana. Parole che naturalmente hanno infiammato il dibattito.

L’Hayya Card qatariota, che funge anche da visto, si ispira alla sistema “Fan Id” introdotto negli impianti russi. Si tratta di una misura molto invasiva a livello di privacy e per questo mal digerita da numerosi appassionati
Iaroslav Susov, giornalista per sport-express.ru

Maledetta Hayya Card

«A unire il nostro calcio e il Mondiale in corso è in particolare l’applicazione imposta ai tifosi per entrare allo stadio» spiega Iaroslav. «L’Hayya Card qatariota, che funge anche da visto, si ispira alla sistema “Fan Id” introdotto negli impianti russi. Si tratta di una misura molto invasiva a livello di privacy e per questo mal digerita da numerosi appassionati. L’affluenza alle partite del campionato nazionale, per dire, è crollata». E, ovvio, «il fuggi fuggi di molti giocatori stranieri ha intaccato a sua volta l’appetibilità della lega» riconosce il giornalista di sport-express.ru. A proposito di stadi. Che eredità ha lasciato la Coppa del Mondo del 2018? «Dipende dalle località. Nelle infrastrutture di Mosca, che ospitano pure i club più prestigiosi, utilizzo e di riflesso durabilità non sono messe in dubbio. A Rostov e pure a Sochi i numeri sono discreti. Più complicato, invece, è il discorso per realtà come Samara o Kaliningrad». Un impianto, quest’ultimo, che ricordiamo molto bene.

«Non ci resta che la fine ironia»

Russia e Qatar, dicevamo, continuano a dialogare malgrado l’invito bruciato a partecipare alla festa mondiale. Oddio, festa. L’Occidente non molla la presa sugli organizzatori del torneo. Le critiche, verso FIFA e Comitato supremo, sono all’ordine del giorno. Qual è per contro lo sguardo da est? Iaroslav Susov sospira: «Conoscete la nostra situazione. Conoscete la Russia e quanto stanno vivendo i suoi cittadini. Il regime della famiglia reale qatariota, banalmente, non è un tema. Capisco che nel resto d’Europa lo sia. Perché a Doha, sul piano legislativo e culturale, avete trovato una realtà peregrina. Scioccante, per certi versi. Ecco, per i russi - all’inverso - non c’è nulla di nuovo. Il controllo, la censura, la sicurezza spropositata, scandiscono anche il nostro vivere. Vi siamo immersi e da tempi non sospetti».

Già. Trovarsi nel cuore del Mondiale più discusso di sempre ma non poterne riferire in modo oggettivo e dunque severo, assomiglia tuttavia a un paradosso gigantesco. «Un modo, per aggirare il bavaglio di Putin alla stampa, in verità esiste» replica in merito Susov. «È l’ironia sottile. Sì, nei nostri articoli - quando necessario - proviamo a evitare paletti e vincoli legali attraverso l’ironia». Il collega, a questo punto, non esita ad aprire il proprio computer. Per mostrarci, quasi euforico, diversi commenti pubblicati dai lettori a margine degli articoli inerenti ai Mondiali. «Qui, per esempio, raccontiamo dell’Iran. E un utente russo scrive “ah, quindi anche a Teheran sono avanti anni luce”». Iaroslav traduce per noi un altro paio di post. Sembra contento, ma il suo sorriso è anche amaro.

© KEYSTONE/Laurent Gilliéron
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«Yakin affabile? Non ci credo»

«E com’è Yakin con i media, con i tifosi?». Alla domanda di Iaroslav rispondiamo senza esitare. «Beh, Murat ci sa fare. È intelligente nel coltivare le relazioni con i diversi portatori d’interesse. È furbo, anche. Grazie a risultati sin qui positivi, e rispetto al suo predecessore, gode per altro di un ampio sostegno della stampa svizzero tedesca». Il giornalista russo spalanca la bocca. «Really?!». Sì, really. Lo stupore viene quindi circostanziato. «Quando Yakin allenava lo Spartak Mosca, nel 2015, un collega pose una domanda a margine di una sconfitta. Il club russo non stava andando così male e la domanda non era nemmeno cattiva. L’allenatore svizzero, però, spiazzò tutti: “Del tuo parere e dei tuoi quesiti non importa a nessuno”. Insomma, di lui abbiamo un ricordo un po’ diverso. Di una persona indisponente. Arrogante». Curioso. Probabilmente, lontano dalla propria comfort zone, il ct rossocrociato aveva smarrito le attuali doti diplomatiche. «E poi, quando è stato nominato, non allenava per caso in seconda divisione?» rilancia Iaroslav: «Com’è possibile?». Sempre senza scomporci ricordiamo le esperienze precedenti allo Sciaffusa. In particolare sulla panchina del Basilea, con il cammino avvincente in Europa, allo stesso Spartak, per tacere della carriera da calciatore, nei club e in Nazionale. «È una personalità, oltretutto con alle spalle una storia d’immigrazione che ricorda quelle di molti suoi giocatori». Susov annuisce. Ma quando ci salutiamo non siamo certi di averlo fatto ricredere. 

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