Incroci particolari

La Serbia di Sulser e una lezione per il presente

L’ombra di Russia 2018 potrebbe allungarsi sulla Svizzera e la sfida decisiva di venerdì – I ricordi dell’ex delegato delle nazionali: «Un’esperienza negativa, sottovalutata, ma ora preziosa più che mai»
Claudio Sulser fra Vladimir Petkovic e Peter Gilliéron. © KEYSTONE / PETER SCHNEIDER
Massimo Solari
30.11.2022 06:00

Al nono giorno di Mondiali, infine, sono spuntate le nuvole. In cielo, con delle leggere pennellate di bianco. E sopra la Svizzera, creando delle inevitabili zone d’ombra. Già, per quanto nell’ordine naturale delle cose, la sconfitta contro il Brasile ha incrinato il sorriso a diversi rossocrociati. A chi, come Akanji, ha portato di peso la squadra al 974, prima di venire tradito. O Embolo, il protagonista trasformatosi in comparsa. Rieder, lui, ha compreso la portata del torneo nel quale è stato catapultato a sorpresa, mentre Zakaria - beh - guida probabilmente la schiera di coloro che le scelte di Murat Yakin proprio non le capisce. E così, gli interrogativi mascherati dallo stringato successo ottenuto all’esordio con il Camerun sono tornati ad aleggiare sui rossocrociati. Insidiosa e minacciosa, la Serbia si staglia invece all’orizzonte.

«Abboccammo alla finta»

L’inferno di Kaliningrad, già. Nessuno lo ha dimenticato. Men che meno chi, quei giorni complicati, li ha dovuti gestire in prima linea. Claudio Sulser riavvolge il nastro dei ricordi senza risentimenti di sorta. Ai Mondiali del 2018, ammette, «la situazione ci sfuggì di mano». Sia in campo, quando le esultanze di Xhaka, Shaqiri e Lichtsteiner fecero divampare le polemiche e finirono per mandare in fumo gli ottavi di finale contro la Svezia. Sia all’esterno, con i pasticci sul piano della comunicazione che destabilizzarono ulteriormente l’ambiente. «Ovviamente si trattò di un’esperienza negativa» prosegue Sulser: «Sul momento non ci rendemmo conto della portata degli eventi. Credevamo di avere a che fare con dei gol festeggiati in modo goliardico. Lo scalpore per quei gesti, al contrario, fu enorme. Sì, la situazione venne sottovalutata. Volendo fare un paragone calcistico, speculammo sulla finta dell’avversario. E, purtroppo, andammo a destra e non a sinistra». A Claudio Sulser, l’onestà intellettuale non fa di certo difetto. «Non si può tornare indietro, ma fare tesoro del proprio vissuto, questo senz’altro. Perciò sono fiducioso. Chi c’era allora e sarà della partita anche venerdì dovrebbe aver imparato la lezione. Una lezione che in Qatar potrà rivelarsi più che mai preziosa».

Il fatto di giocare a Doha dovrebbe essere d’aiuto. L’ambiente, rispetto a quattro anni e mezzo fa, sarà meno ostile
Claudio Sulser, ex dirigente ASF

Attenzione al contorno

L’ex dirigente dell’ASF allarga lo sguardo. Soppesa il contesto. E costruisce un ponte tra la Russia e il Qatar. «Il fatto di giocare a Doha dovrebbe essere d’aiuto. L’ambiente, rispetto a quattro anni e mezzo fa, sarà meno ostile». Focalizzarsi sul contorno è per certi versi inesorabile. A piazzare micce qua e là (e magari una bandiera provocatoria) sono sovente figure esterne. Media, politici, personalità. «Anche a Kaliningrad - osserva al proposito Sulser - a rilevarsi incendiari furono elementi estranei al rettangolo verde. I giocatori si rispettavano. E si rispettano. In campo, animosità e durezza degli interventi non furono maggiori di molte altre partite alle quali ho potuto assistere in carriera. Anzi». Eppure, dicevamo, il team rossocrociato non vide arrivare la tempesta. «La crisi fu evidente e però acuita dalle grandi aspettative per l’ottavo di finale. La sconfitta con la Svezia, sul piano sportivo, poteva persino starci. Al cospetto di una compagine che aveva già fatto piangere l’Italia nei playoff, perdemmo la sfida per uno sfortunato autogol. L’eliminazione, però, amplificò inevitabilmente malessere e critiche». In un climax che per alcune settimane non conobbe l’apice.

Alla fine, la ricompensa

Sulser, non a caso, pone l’accento sulla reattività. «Se dovesse ripetersi qualcosa di simile, il grado di prontezza degli attuali dirigenti sarà fondamentale. Insomma, il peggiore scenario possibile dev’essere messo in conto. Anche se, lo ribadisco, mi auguro e anzi sono quasi certo che nulla del genere si verificherà». L’accaduto, all’opposto, costrinse Sulser a una scelta paradossale. «Già nelle settimane precedenti l’inizio del Mondiale avevo deciso di lasciare l’incarico. L’impegno con la Nazionale era per me troppo gravoso accanto a quelli di carattere professionale e privato. Con lo scoppio della crisi, al rientro dalla Russia, rimanere fu al contrario una scelta necessaria: un passo indietro in quel momento sarebbe stato interpretato malamente: da capitano che abbandona la nave in un momento di difficoltà. Non mollare, a conti fatti, costituì la scelta più saggia e appagante. La reazione della selezione maggiore fu molto positiva. Nemmeno un anno più tardi la Svizzera raggiunse la Final Four di Nations League. Una ricompensa. Per i giocatori, per lo staff e pure per il sottoscritto».

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