Calcio

Lustrinelli: «Con Yakin c’è grande affinità, vediamo il calcio allo stesso modo»

Il ct della Nazionale svizzera U21 ripercorre un 2021 ricco di emozioni e nuove esperienze, con un occhio già rivolto ai prossimi Europei di categoria del 2023, in Romania e Georgia
Nel corso dell’estate il ticinese ha studiato e preparato nuove strategie, così da proporre un calcio più aggressivo, fatto di grande pressing. © Keystone/Jean-Christophe Bott
Nicola Martinetti
09.12.2021 06:00

Mauro Lustrinelli, era dal 2011 che un allenatore della nazionale U21 non viveva un anno così intenso. È contento di archiviare questo 2021?
«Effettivamente è stata un’annata ricca di emozioni e insegnamenti, ma è bello così! Sono davvero fiero e contento dei risultati che le nostre selezioni - sia la U21, sia quella maggiore - hanno saputo ottenere. Non solo sul campo, ma anche in termini di crescita e formazione dei giocatori».

L’anno per lei si è aperto con il rinnovo di contratto fino al 2023, firmato a gennaio dopo aver centrato la storica qualificazione agli Europei di categoria. Quanto si è rivelato importante, a posteriori, questo segnale di fiducia da parte della federazione?
«È stato molto importante, ma mi piacerebbe fare un ulteriore passo indietro, al momento in cui ho accettato questo incarico. All’epoca presentai all’Associazione svizzera di football (ASF) una strategia ben definita e un progetto a lungo termine atto a implementarla, con l’intento di operare dei cambiamenti a livello di mentalità e metodi di lavoro. È lì che, in sostanza, è nata la “Mission21”. Un’idea, poi divenuta filosofia, su cui tuttora poggia tutto il nostro impegno. Essa racchiude quel senso di appartenenza e quello spirito che sono fondamentali per la nostra Nazionale. Il processo è progredito e continua a progredire molto bene, grazie anche a degli innesti di valore nel nostro staff tecnico. I risultati, alla fine, non sono altro che una conseguenza di tutti questi fattori. Dall’inizio della “Mission”, per dire, siamo passati dal 26. al 13. posto del ranking europeo, ottenendo 15 successi in 19 partite ufficiali».

Al netto della delusione per il mancato accesso alla fase a eliminazione diretta, comunque, il bilancio degli Europei U21 è stato positivo

Una di queste vittorie è giunta all’esordio nella fase finale degli Europei U21, lo scorso mese di marzo, contro la ben più quotata Inghilterra. Un pomeriggio da sogno a Capodistria (Slovenia), rivelatosi purtroppo una mera illusione...
«La rassegna continentale (la quarta nella storia dell’U21 elvetica, ndr) è stata allo stesso tempo dolce e amara. I ragazzi meritavano di giocarla per quanto fatto vedere durante la campagna di qualificazione, e la splendida vittoria al debutto contro gli inglesi ci aveva dato ulteriore forza. Purtroppo abbiamo pagato a caro prezzo lo scivolone contro la Croazia alla seconda giornata, con in particolare un quarto d’ora di follia nella ripresa che - di fatto - ha segnato il nostro destino. Il Portogallo infatti, ultimo avversario nella fase a gironi, in quel momento era semplicemente inarrivabile. Peccato. Non eravamo comunque giunti in Slovenia nelle migliori condizioni, poiché tanti giocatori - partiti all’estero pochi mesi prima - erano a corto di condizione, essendo poco impiegati nei rispettivi club. Al netto della delusione per il mancato accesso alla fase a eliminazione diretta, comunque, il bilancio della rassegna è stato positivo. Come diceva Nelson Mandela, “nella vita non si perde mai, o si vince o si impara”. Ecco, noi da questa esperienza abbiamo tratto diversi insegnamenti, sui quali ci siamo poi chinati per continuare a crescere».

Alcuni degli elementi passati dalla sua selezione - Okafor e Vargas su tutti - hanno giocato un ruolo decisivo nella qualificazione diretta ai Mondiali in Qatar, ottenuta il mese scorso dalla «Nati» di Murat Yakin. È orgoglioso?
«Anni fa, quando arrivai in federazione, sentii dire che è impossibile ottenere buoni risultati con le selezioni giovanili, se i migliori elementi sono assenti poiché convocati da quella maggiore. Noi siamo riusciti a sfatare questo mito. Dall’inizio della “Mission21” undici giocatori hanno fatto il salto dalla U21 alla prima squadra - Vargas, Cömert, Zeqiri, Zesiger, Lotomba, Okafor, Köhn, Imeri, Okoh, Sohm e Ndoye - e si sono giocati le loro chance, senza che il rendimento della U21 ne risentisse. Alcuni non si sono ancora ritagliati un ruolo importante, ma altri si sono imposti fin da subito, e questo mi rende molto orgoglioso. Parte del nostro lavoro consiste infatti proprio nel preparare i ragazzi, affinché possano arrivare nella selezione di Murat Yakin ed essere immediatamente protagonisti».

Ha fatto il nome del nuovo ct rossocrociato, grande artefice di una qualificazione storica. Che rapporto ha instaurato con lui?
«Abbiamo subito stabilito un contatto diretto, che secondo me è fondamentale per chi riveste le nostre cariche. Anzi, vi dirò di più, è stato proprio lo stesso “Muri” a voler parlare con noi non appena ha accettato di sedersi sulla panchina della Svizzera. Con grande umiltà, siccome non aveva mai guidato una Nazionale prima di allora, ha fatto diverse domande. Voleva comprendere a fondo come io e il mio staff pianifichiamo e svolgiamo il nostro lavoro. Noi due abbiamo poi discusso a lungo della nostra visione del calcio. Non mi piace fare paragoni con il passato e nutro il massimo rispetto per Vladimir Petkovic, che ha fatto grandi cose alla guida della “Nati” e con il quale avevo un buon rapporto. Penso però che non sia sbagliato affermare che con Yakin ho una maggiore affinità, soprattutto a livello di idee di gioco. Vogliamo infatti proporre un calcio simile, e penso che questo abbia facilitato e faciliterà l’inserimento dei “miei” ragazzi nella prima squadra. Anche “Muri”, come il suo predecessore, è fermamente intenzionato a offrire una chance a tutti coloro che si riveleranno decisivi con l’U21, e questo non può che rendermi felice».

Io per il dopo Vlado? Non mi è mai stata fatta alcuna proposta, anche se ammetto che personalmente mi sono chiesto cosa avrei risposto qualora fosse arrivata la fatidica domanda

Visto che siamo in tema, quanto è stato effettivamente vicino a raccogliere lei l’eredità di Petkovic, al posto di Yakin?
«Non mi è mai stata fatta alcuna proposta, anche se ammetto che personalmente mi sono chiesto cosa avrei risposto qualora fosse arrivata la fatidica domanda (ride, ndr). Sono però contento di poter proseguire il mio lavoro in seno all’U21, perché sento che ci sono ancora tante soddisfazioni da cogliere lungo il cammino».

Quanto è stato vicino, invece, a sedersi sulla panchina del FC Lugano al posto di Mattia Croci-Torti, dopo l’esonero di Braga?
«Da quando è finita la scorsa campagna, ogni volta che si è liberata una panchina di Super League è stato fatto il mio nome. Sono voci che non mi va di commentare, anche se non ti nascondo che per il mio sviluppo personale - come tecnico - in futuro non mi dispiacerebbe prendere in mano una squadra di club».

A settembre avete nel frattempo iniziato una nuova campagna di qualificazione, che porterà agli Europei U21 del 2023 in Romania e Georgia. Il vostro inizio è stato ottimo...
«Posso fare una premessa?».

Certamente...
«Dopo aver smaltito le delusioni derivanti dall’Europeo, nel corso dell’estate ho studiato parecchio, focalizzandomi in particolare sulla fase offensiva. Ho guardato diversi video del Salisburgo, dell’Ajax della stagione 2018/19 (che arrivò in semifinale di Champions League, ndr) e del Liverpool. L’intento era quello di apportare alcune modifiche per giocare un calcio più aggressivo, operando un grande pressing. Il tutto sviluppando l’azione con più efficacia, elevando nel contempo la percentuale di possesso palla. Ho quindi apportato dei cambiamenti. Anche a livello di sistema, passando per esempio all’utilizzo del famoso “rombo” a centrocampo, che si adatta meglio agli elementi attualmente a mia disposizione».

Le risposte che ha ricevuto nei primi sei incontri delle qualificazioni, si diceva, sono state ottime...
«Esattamente, la risposta dei ragazzi a questi nuovi stimoli è stata eccellente. Abbiamo vinto 5 partite su 6, pareggiando contro l’Olanda. Il tutto giocando un nuovo tipo di calcio. Devo veramente fare un plauso alla squadra, perché soprattutto nell’ultima finestra di novembre - costellata da diverse assenze, anche dovute a promozioni nella selezione maggiore come appunto per Okafor - hanno stretto i denti e lottato come leoni, facendo comunque risultato. D’altronde non avevo dubbi, considerato il grande affiatamento che vedo anche in questo nuovo gruppo. All’inizio della campagna precedente era stato il famoso ritiro a La Manga (Spagna) a far scoccare una scintilla tra i ragazzi. Questa volta, invece, è accaduto a Marbella, nel ritiro di cinque giorni tenutosi a fine maggio. Lì ho visto un insieme di giocatori - composto per un terzo da elementi rimasti dopo la precedente campagna - diventare una squadra. Il campo, nei mesi successivi, non ha fatto altro che confermare questa mia sensazione».