Calcio

Mangiarratti: «Nel calcio va colto l’attimo, e col Crus nessuna barricata»

In pausa da quasi un anno dopo l’esperienza a Vaduz, lo scorso 31 ottobre il tecnico ticinese è rimontato in sella accasandosi all’Yverdon, dove ha raccolto la pesante eredità di Marco Schällibaum - Domani affronterà un Lugano in difficoltà: «Io Mattia e i suoi non li do mai per morti»
Nel canton Vaud l’ex difensore sopracenerino ha ritrovato due vecchie conoscenze: Marco Degennaro e Nicola Bignotti. © Keystone/Valentin Flauraud
Nicola Martinetti
24.11.2023 06:00

Alessandro, come stai? Stai rispolverando il tuo francese?

«Bien sûr (ride, ndr)! Il francese comunque mi ha sempre accompagnato: dalla scuola alla mia esperienza con lo Young Boys, dove usavo quella lingua per interfacciarmi con il responsabile tecnico e parte dei giocatori. Senza dimenticare che mia sorella vive a Losanna, dunque ogni tanto già lo riesumavo. Diciamo che non sono un mago, e l’accento da “ticinés” è abbastanza marcato, ma me la cavo (sorride, ndr)».

Da fuori Yverdon appare una realtà entusiasmante, incastonata in una bella regione e dove si respira grande passione. È davvero così?

«Direi proprio di sì, ma non bisogna mai dimenticare che si tratta di una neopromossa, che per giunta ha da poco cambiato la sua proprietà. C’è entusiasmo, ma al tempo stesso siamo in una fase di rimodellamento. In ogni caso è un club ben strutturato, con una rosa anch’essa in buona parte rinnovata, ma interessante. Guido la squadra da poche settimane, ma mi sto trovando molto bene».

E poi stai pian piano scoprendo un «nuovo» campionato, la Super League...

«Raggiungerla era uno dei miei obiettivi e sono molto felice di esserci riuscito. In fondo è una lega che per ovvi motivi conosco bene, dunque non è tutto nuovo. È chiaro però che alcune dinamiche cambiano rispetto alla Challenge League. Penso all’interesse attorno alla squadra, e pure alla mole di lavoro. Insomma, in buona parte mi ritrovo in ciò che sto facendo, mentre per altri versi sto scoprendo nuove sfaccettature».

A proposito di mole di lavoro, poco più di un anno fa - era il 16 novembre 2022 - ti eri dimesso dal tuo incarico a Vaduz perché ti sentivi «esausto» e senza più «l’energia e la forza di cui la squadra aveva bisogno». Come eri giunto a quel punto?

«Bisogna un pochino inquadrare le espressioni che avevo utilizzato. Diciamo che nel Principato era diventata una sorta di lotta contro i mulini a vento, nel senso che stavamo facendo i salti mortali sotto tutti i punti di vista e ci mancava un po’ di forza lavoro. Purtroppo però in tal senso non avevo trovato interlocutori, ed è un po’ stato quello il pomo della discordia. Poi chiaro, la mia stanchezza personale c’era, ma era più una conseguenza del quadro che ho tratteggiato poco fa. Quando tu continui a spingere, ma nessuno ti aiuta o ti viene incontro, poi le batterie si scaricano. Calcola che avevamo disputato oltre trenta partite in quattro mesi, comprese le trasferte di Conference League».

Di qui la scelta di prenderti una pausa, che poi si è appunto protratta per un annetto. Come hai vissuto questo periodo?

«Nessuno sta a casa volentieri, però forse questa annata ci voleva. Ho potuto riordinare le idee e trascorrere del tempo con la mia famiglia, che è molto importante. Ammetto tuttavia che quando ho ricevuto la chiamata da Yverdon, ero davvero molto felice. È arrivata di colpo, ma nel calcio bisogna saper cogliere l’attimo. Sono felice di poter vivere questa avventura».

Hai menzionato la chiamata arrivata dal canton Vaud, ma negli ultimi dodici mesi non ne hai ricevute altre, magari dal Comunale di Bellinzona?

«No, concretamente non ho mai parlato con nessuno di quella eventualità. E va bene così, forse non era il momento giusto. Prima o poi arriverà anche per quello».

Torniamo allora all’Yverdon. Allo Stade Municipal hai raccolto la pesante eredità di Marco Schällibaum, che con i biancoverdi ha centrato una storica promozione e che anche in avvio dell’attuale stagione aveva fatto piuttosto bene. Subentrargli in corsa, date le premesse, non dev’essere stato facile...

«Io penso che non bisogna mai misurarsi con chi c’era prima o con chi arriverà dopo. Ognuno è fatto alla sua maniera, ed è il campo a fornire il verdetto finale. Peraltro Marco è stato mio allenatore, e nutro un grandissimo rispetto nei suoi confronti. Sicuramente mi sono ritrovato in una situazione particolare, ma al tempo stesso paradossalmente positiva. Ho infatti ereditato una squadra che si era un pochino appannata, ma che disponeva già di una bella fiducia nei propri mezzi. È meglio partire da lì, piuttosto che da un gruppo con il morale a terra».

In Romandia hai peraltro ritrovato delle vecchie conoscenze come Marco Degennaro e Nicola Bignotti. I volti noti sono sempre importanti quando si apre un nuovo capitolo...

«Esatto. I nostri cammini si erano già incrociati quando ero giocatore (prima) e allenatore alle prime armi (poi), e adesso siamo tutti nel canton Vaud. Mi fa piacere, perché questo contribuisce alla sensazione di ambiente famigliare che avverto attorno alla mia squadra. Anche se nel concreto, la mia figura di riferimento dal punto di vista sportivo è il direttore tecnico Filippo Giovagnoli, che mi sta dando una grossa mano».

Quindi con «Dege» e «Bigno» vai piuttosto fuori a cena nel tempo libero...

«Sì e no (altra risata, ndr). Marco in queste prime settimane è stato davvero assorbito dal lavoro, dunque non abbiamo avuto grandi occasioni per scambiare due chiacchiere. Con Nicola invece, complice la pausa internazionale, ho avuto qualche chance in più».

Prima hai un pochino accennato a ciò che hai trovato una volta approdato nell’«universo Yverdon». Che futuro vedi per questo club?Potrà un giorno sognare degli exploit come quello che ti era riuscito in Europa con il Vaduz?

«Dirlo oggi è difficile. È chiaro che l’exploit lo si cerca sempre. Più che all’Europa o al titolo in campionato, nel caso dell’Yverdon penso ad esempio alla Coppa Svizzera. Al momento stiamo cercando di dare al club un’identità e una struttura ben organizzata. Poi una volta implementate queste idee, si spera che i risultati siano una conseguenza. Sono infatti fermamente convinto che gli exploit non sono sempre e solo casuali, ma che spesso sono il frutto di un percorso forte. Come quello che avevamo appunto vissuto a Vaduz. Ma non va mai dimenticato che in Svizzera gli avversari sono molto forti e molto agguerriti, è davvero dura centrare l’impresa».

Con una proprietà statunitense e - da poche settimane - un tecnico ticinese, il parallelismo con il Lugano viene naturale. Siete sulle orme dei bianconeri?

«Detto che il Lugano non lo conosco dall’interno, mi viene da dire che la società bianconera era partita su basi differenti al momento dell’acquisto da oltreoceano. Era infatti una squadra affermata, che aveva già giocato anche in Europa. Da questo punto di vista, l’Yverdon è ancora un piccolo club. Però la visione è piuttosto imprenditoriale, con delle idee molto chiare. Ed entrambi i club, a livello dirigenziale, possono vantare figure che conoscono molto bene la realtà svizzera. Al netto di questi discorsi, ci tengo a sottolineare che mi fa piacere potermi scontrare col “Crus” domani (sorride, ndr)».

Tra l’altro si tratta della sua seconda sfida contro un tecnico ticinese in Super League, dopo quella con lo Young Boys di Matteo Vanetta del 7 maggio del 2022. Che interpretazione dai al vostro primo incrocio?

«Penso che sia una cosa simpatica. Al netto della negatività che ruota attorno al movimento, il nostro cantone ha sempre prodotto sia buoni giocatori, sia buoni allenatori. Basta guardare che ruoli ricoprono in tutta la Svizzera, dalla Nazionale ai settori giovanili. Ci sono persone valide, ed è bello poter rappresentare la nostra regione».

Con Mattia che rapporto hai?

«Credo che il “Crus” lo conosco dal duemila (ride, ndr). Ci sentiamo tutte le settimane, lo abbiamo fatto anche questa. Non è che perché giochiamo contro, ora facciamo le barricate. Anche se delle formazioni che schiereremo domani non abbiamo parlato. Un ultimo messaggino prima del match? Sì dai, per invitarlo a bere un caffé nel mio ufficio (altra risata, ndr)».

Il suo Lugano sta vivendo un periodo negativo, costellato da infortuni e sconfitte. Al tuo debutto sulla panchina vodese, contro un Basilea in condizioni simili, era andata male. Domani invece arriverà la prima vittoria?

«Io Mattia e il suo Lugano non li do mai per morti, anche perché raramente in campionato hanno perso tre partite di fila. È vero che il calendario ricco di impegni e gli infortuni hanno messo un po’ alle corde i bianconeri, ma noi dovremo essere cauti e diffidenti, pensando in primis alla nostra prestazione. Anche perché la squadra del “Crus” ha qualità, e soprattutto una grande capacità morale di reagire di fronte alle difficoltà. Non credo che sfideremo una squadra facile da gestire. Pensiamo allora a noi, che è la cosa più importante».