L’intervista

Maurizio Jacobacci: «In Super ci sarebbe stato spazio per dodici squadre»

L’allenatore del Lugano a ruota libera, dalla mancata rivoluzione del massimo campionato all’eventuale ripresa di allenamenti e partite per portare a termine la stagione
Maurizio Jacobacci, 57 anni. © CdT/Gabriele Putzu
Marcello Pelizzari
23.04.2020 17:08

C’è un calendario. O, meglio, un’idea per tornare in campo. Poi, tutto dipenderà dall’emergenza sanitaria e dalle decisioni del Consiglio federale. Maurizio Jacobacci, in ogni caso, è pronto. «Certo, non sarà evidente» dice l’allenatore del Lugano.

Mister, la Swiss Football League ha presentato un protocollo per la ripresa dei campionati. Molti club si sono detti scettici sulle reali possibilità di riprendere la stagione. Lei da che parte sta?

«Premessa: la salute, ora, è la cosa più importante. Detto ciò, alcuni punti del protocollo mi sembrano un po’ complicati. Difficili da mettere in pratica. Il Consiglio federale, però, ci darà delle direttive concrete a fine mese. Noi, comunque, ci siamo messi in moto per una ripresa degli allenamenti ad inizio maggio e per tornare in campo a fine maggio-inizio giugno».

Gli allenamenti saranno diversi, almeno inizialmente. A gruppi e senza contatto. Funzionerà?

«Sarà una cosa nuova e sarà, per noi, un bell’impegno. Ma a Cornaredo avremo parecchio spazio tutto per noi. Potremo dividere i giocatori sui vari campi, tutelando così la loro salute. Inoltre, dispongo di uno staff numeroso. Significa che potremo dividerci i vari compiti».

Il calcio è uno sport di squadra. Non è strano dividere la rosa in tante, piccole parti?

«Se ci limitiamo alla condizione fisica, lavorare a gruppi può avere i suoi vantaggi. Non sarà un problema, ecco. Quanto al lavoro tecnico e tattico, sono d’accordo: il calcio è uno sport di squadra e trova nel gruppo il suo significato. All’inizio non potremo stare assieme, sarà difficile perché non ci sarà il calore. Difficile e brutto, dato che noi viviamo di emozioni».

Se le immagina le partite? Zero abbracci dopo un gol. È ancora calcio, questo?

«Anche qui, sarà strano. Per un calciatore, esaltarsi dopo una rete e condividere la gioia con i compagni è tutto. Credo che qualcuno se ne dimenticherà e, spontaneamente, cercherà il contatto con il collega. Io stesso, al di là di tutto, allungo ancora la mano se incontro qualcuno. È naturale, direi. Ma posso garantire che faremo di tutto e di più per la sicurezza nostra e di chi ci sta intorno. Sarà, in generale, uno sforzo notevole: sia logistico, sia sul piano delle energie. Caldo e tante partite ravvicinate. Per il Lugano sarà un’impresa. Ecco, mi piacerebbe disporre di 4 o 5 cambi: così eviterei stress e infortuni».

Il Lugano, con lei, stava andando in una precisa direzione. Poi c’è stato lo stop. Sarà difficile, ora, ritrovare lo spirito di squadra?

«Non lo costruisci dall’oggi al domani, è chiaro. È proprio il discorso che facevo: bisogna stare assieme per crescere. In ritiro, ad esempio. Mangiare in gruppo, vivere in gruppo. Questo processo di crescita è stato interrotto, ma qualcosa nel cervello dei giocatori c’è ancora. Starà a loro ritirarlo fuori. Il segreto è la testa, sì. Credo, altresì, che la voglia di calcio ci darà una mano».

Capisco bene le motivazioni di Renzetti, che vorrebbe uno stop della stagione

Il presidente Renzetti, ma non è l’unico, vorrebbe uno stop della stagione. Capisce il suo punto di vista?

«Sì, lo capisco. D’altronde non stiamo vivendo una situazione normale e, come detto, il protocollo di ripresa non è di facile attuazione. Ci sarà, in più, il discorso porte chiuse. Giocare senza pubblico non è bello, non fa parte del nostro sport. Anche se, a Lugano, non avendo mai avuto affluenze importanti ci siamo abituati a cavarcela da soli, a trovare per conto nostro le risorse. Sì, io capisco il presidente. È anche vero che se ci fermassimo ci ritroveremmo con altri guai: a chi dai il titolo? Chi mandi giù? Chi va in Europa?».

Come ha mantenuto i contatti con squadra e staff?

«Ho motivato i giocatori sulla chat di gruppo, mandando un mio video. Ho chiesto loro di tenersi in forma. Di farlo per i compagni, più che altro. Poi ho tenuto un canale aperto con il ‘‘prof’’, Nicholas Townsend, e con l’intero staff. Ho cercato anche di parlare singolarmente con ogni giocatore, mentre so che fra di loro i ragazzi non si sono mai persi di vista fra chiamate video e altro. Era, per me, importante che la squadra non perdesse contatto. Anche pensando a chi vive da solo e non ha famiglia».

Ci è riuscito?

«Sì, l’unico che mi è sfuggito ad oggi è Sasere. Lui è tornato in Africa e non è così semplice trovare il momento adatto per una chiamata».

E Janga? Ha disputato una sola partita, poi è rientrato in Olanda.

«L’ho sentito il giorno del suo compleanno. La sua parabola è stata indubbiamente fra le più particolari. È arrivato, non ha fatto nemmeno in tempo a mostrare il suo potenziale e si è ritrovato lontano da tutti. Spero possa tornare e darci una mano».

E il suo futuro?

«Ho manifestato la mia voglia di rimanere a Lugano. Qui sto bene e credo che la mia idea di calcio sia apprezzata. Resta da capire quando ne potremo parlare, ma se c’è volontà da ambo le parti non vedo chissà quali ostacoli. Il mio accordo scade a maggio, per forza di cose ne discuteremo».

Nel frattempo, l’allargamento della Super a partire dalla stagione 2021-22 è stato respinto da 10 club su 20. Se lo aspettava?

«Forse non era il momento. Si era ipotizzato di allargare già a 12 squadre la prossima Super, qualora questo campionato non dovesse riprendere. E io credo ci sia spazio per altre due formazioni. Ma la proposta non è passata, per cui non c’è molto da discutere».

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